Via libera alla videosorveglianza a protezione di una proprietà
21 Marzo 2024
Tollerabile l'impianto di videosorveglianza installato dal privato cittadino se mirato alla protezione di una proprietà e se focalizzato sulla zona da monitorare. Videosorveglianza A dare il ‘la' allo scontro - approdato nelle aule di giustizia - tra due privati cittadini è l'installazione di un sistema di videosorveglianza, piazzato sulla facciata esterna di una casa e mirato a riprendere il tratto di strada privata antistante il cancello di ingresso della proprietà. A censurare l'operato del proprietario delle videocamere di sorveglianza è un privato cittadino, il quale parla di «installazione lesiva della privacy» poiché egli è solito percorrere la via privata, monitorata dal sistema di videosorveglianza, «in forza del diritto di servitù di passaggio esistente in favore del proprio fondo ed a carico del fondo di proprietà» dell'uomo che ha piazzato una videocamera fuori dalla propria casa. Per i giudici del Tribunale, però, è tutto regolare. Di diverso avviso sono, invece, i giudici d'Appello, i quali ravvisano «una violazione della disciplina della tutela dei dati personali, rilevando che l'istallazione e lo svolgimento di riprese di videosorveglianza sono avvenuti», nel caso specifico, «senza la prestazione del preventivo consenso dei soggetti coinvolti». Di conseguenza, in secondo grado viene disposta «la rimozione delle videocamere» e viene riconosciuto un ristoro economico, quantificato in 5mila euro, per la persona monitorata dalla videocamera ma senza avere espresso consenso in tal senso. Trattamento dei dati personali Con il ricorso in Cassazione, però, il legale che rappresenta il titolare del sistema di videosorveglianza sostiene sia illogica la valutazione compiuta dai giudici d'Appello, e ciò perché, innanzitutto, «le telecamere collocate dall'uomo a tutela della propria abitazione avevano esclusivamente un fine personale» e, difatti, «le immagini momentaneamente rilevate non venivano conservate, riprodotte a terzi, comunicate o diffuse». Impossibile, quindi, sempre secondo il legale applicare in questa vicenda la disciplina in materia di trattamento dei dati personali. Comunque, poiché «il trattamento dei dati personali effettuato mediante l'uso di sistemi di videosorveglianza non forma oggetto di legislazione specifica», allora vanno applicate «le disposizioni generali in tema di protezione dei dati personali». In questa ottica, poi, «la raccolta, la registrazione, la conservazione e, in generale, l'utilizzo di immagini configurano anche autonomamente considerate, forme di trattamento di dati personali. Difatti, è considerato dato personale qualunque informazione relativa a persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione». E, ampliando l'orizzonte, «la circostanza che la videosorveglianza possa essere utilizzata per molteplici fini meritevoli di perseguimento (protezione e incolumità degli individui, finalità di sicurezza ed ordine pubblico, protezione della proprietà, rilevazione e prevenzione delle infrazioni, acquisizione di prove) non esclude la necessità di garantire, in particolare, un livello elevato di tutela dei diritti e delle libertà fondamentali rispetto al trattamento dei dati personali, di guisa che la possibilità di utilizzare sistemi di videosorveglianza è consentita purché ciò non determini un'ingerenza ingiustificata nei diritti e nelle libertà fondamentali dei soggetti». In particolare, «l'installazione di sistemi di rilevazione delle immagini deve avvenire nel rispetto, oltre che della disciplina in materia di protezione dei dati personali, anche delle altre disposizioni dell'ordinamento applicabili, quali, tra le altre, le vigenti norme dell'ordinamento civile e penale in materia di interferenze illecite nella vita privata, sia quando avvenga ad opera di soggetti pubblici, sia quando vada ascritta a soggetti privati». In aggiunta, poi, i giudici ribadiscono che «l'attività videosorveglianza deve essere fondata su due pilastri: «un obbligo di attenta configurazione di sistemi informativi e di programmi informatici per ridurre al minimo l'utilizzazione di dati personali»; «l'attività di videosorveglianza deve essere effettuata nel rispetto del cosiddetto ‘principio di proporzionalità' nella scelta delle modalità di ripresa e dislocazione degli apparecchi, nonché nelle varie fasi del trattamento che deve comportare, comunque, un trattamento di dati pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità perseguite». Tirando le somme, «l'utilizzo di sistemi di video sorveglianza può determinare, in relazione al posizionamento degli apparecchi e della qualità delle immagini, un trattamento di dati personali, quando può mettere a rischio la riservatezza di soggetti portatori di una situazione giuridica soggettiva riconosciuta dall'ordinamento». I magistrati precisano poi che in questa vicenda ci si trova di fronte a «strumenti di videosorveglianza idonei a identificare coloro che si accingono ad entrare in luoghi privati (videocitofoni ovvero altre apparecchiature che rilevano immagini o suoni, anche tramite registrazione), oltre a sistemi di ripresa installati nei pressi di immobili privati ed all'interno di condomini e loro pertinenze (quali posti auto e box), con la precisazione che, al fine di evitare di incorrere nel reato di interferenze illecite nella vita privata (art. 615-bis c.p.), l'angolo visuale delle riprese deve essere comunque limitato ai soli spazi di esclusiva pertinenza di colui che effettuata il trattamento (ad esempio, antistanti l'accesso alla propria abitazione) escludendo ogni forma di ripresa, anche senza registrazione di immagini, relativa ad aree comuni (cortili, pianerottoli, scale, garage comuni) ovvero ad ambiti antistanti l'abitazione di altri condomini». Quindi, i giudici ritengono accertata una circostanza di rilievo: «il trattamento di dati personali è stato eseguito da un privato ed ha riguardato le zone antistanti la sua abitazione insistenti sulla strada privata di sua proprietà sulla quale» l'altro privato «gode di un diritto di servitù di passaggio», e i giudici d'Appello hanno ravvisato, in assenza del consenso informato, «l'illiceità del trattamento dei dati personali, ritenuto invasivo e in violazione del diritto alla riservatezza» dei privati cittadini, ossia, nel caso specifico, il titolare di un diritto reale di godimento - il diritto di servitù di passaggio sulle aree rientranti nell'ambito di ripresa delle videocamere -, il quale «ha il diritto-dovere di esprimere il suo consenso quando un impianto di videosorveglianza incida nella sua sfera privata». La decisione dei Giudici In sostanza, «l'affermazione della illegittimità della installazione del sistema di videosorveglianza […] è errata poiché fondata esclusivamente sulla mancata prestazione del consenso preventivo del soggetto titolare del diritto di servitù di passaggio sulle aree rientranti nell'ambito di ripresa». Per fare ancora maggiore chiarezza, prima di riaffidare la valutazione della vicenda ai giudici d'Appello, i magistrati precisano che «il trattamento di dati personali effettuato a mezzo videosorveglianza da un privato per fini diversi da quelli esclusivamente personali è lecito ove sia effettuato in presenza di concrete situazioni che giustificano l'installazione, a protezione delle persone, della proprietà o del patrimonio aziendale e ove si avvalga di un utilizzo delle apparecchiature volte a riprendere le aree di comune disponibilità con modalità tali da limitare l'angolo visuale all'area effettivamente da proteggere, evitando, per quanto possibile, la ripresa di luoghi circostanti, in uso a terzi o su cui terzi vantino diritti e di particolari che non risultino rilevanti». (Fonte: dirittoegiustizia.it) |