Le problematiche più frequenti sul versante processuale in materia di riscatto dell’immobile locato

27 Marzo 2024

A fronte della vendita dell'immobile locato in spregio alla prelazione ed a seguito del positivo esito dell'azione di riscatto da parte del conduttore, quest'ultimo perde la posizione di titolare del diritto personale di godimento sul bene, per assumere quella di proprietario, sostituendosi, appunto, al terzo acquirente: in altri termini, l'esercizio del diritto di riscatto comporta l'acquisto, da parte del retraente, della proprietà del bene da lui condotto in locazione, ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978. Si discute, però, se l'acquisto della proprietà avvenga con effetto ex tunc o ex nunc e se, in tema di riscatto, con riferimento al quale il diritto si esercita con la proposizione dell'azione giudiziaria, la sentenza che definisce il giudizio abbia natura dichiarativa o costitutiva. Tali questioni hanno posto sul campo alcune problematiche processuali, in ordine alle quali i giudici di legittimità si sono di frequente confrontati, con risultati interpretativi, però, non sempre collimanti.

Introduzione. Il quadro normativo

L'art. 39 della l. n. 392/1978 (rubricato “Diritto di riscatto”), stabilisce che: a) qualora il proprietario non provveda alla notificazione dell'atto di denuntiatio di cui al precedente art 38, o il corrispettivo indicato sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile, l'avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa; b) ove sia stato esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve essere effettuato entro il termine di tre mesi che decorrono, quando non vi sia opposizione al riscatto, dalla prima udienza del relativo giudizio, o dalla ricezione dell'atto notificato con cui l'acquirente o successivo avente causa comunichi prima di tale udienza di non opporsi al riscatto; c) se, per qualsiasi motivo, l'acquirente o successivo avente causa faccia opposizione al riscatto, il termine di tre mesi decorre dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.

Dunque, l'azione di riscatto ha natura reale, e non personale, atteso che il conduttore agisce contro il terzo acquirente - non perché costui è subentrato al cedente nella posizione di locatore, bensì - perché il terzo ha illegittimamente acquisito la proprietà del bene in violazione della prelazione, e fa valere il proprio diritto ad essere riconosciuto proprietario dell'immobile nei confronti di chiunque.

Il diritto di riscatto spetta al soggetto titolare del diritto di prelazione, nei cui confronti il riscatto svolge funzioni di tutela succedanea.

La disposizione, pertanto, contempla espressamente due distinte ipotesi di esercizio del diritto di riscatto, ossia, da un lato, quando il proprietario non provveda alla denuntiatio e, dall'altro, quando la denuntiatio rechi l'indicazione di un corrispettivo superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile.

La sospensione necessaria del giudizio

Una volta che il conduttore abbia introdotto il giudizio di riscatto ed il terzo acquirente abbia agito per il rilascio dell'immobile, adducendo la cessazione del rapporto di locazione per fatti successivi al sorgere di tale diritto, si discute se la prima causa, in quanto diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa implicante la sostituzione ex tunc dell'avente diritto alla prelazione al terzo acquirente, così privando ab initio l'uno e l'altro delle rispettive posizioni di conduttore e di locatore, abbia carattere pregiudiziale ed imponga la sospensione del secondo giudizio a norma dell'art. 295 c.p.c.

Secondo un primo indirizzo - di cui è espressione Cass. civ., sez. III, 20 giugno 1985, n. 3709 - sul presupposto che l'ipotesi della sospensione necessaria del processo, che non sia imposta da una specifica disposizione, ha per fondamento non solo l'indispensabilità “logica” dell'antecedente avente carattere pregiudiziale (nel senso che la definizione della relativa controversia si ponga come momento ineliminabile del processo logico della causa dipendente, prendendo questa contenuto anche da quanto affermato con la pronuncia sulla controversia pregiudiziale), ma anche l'indispensabilità “giuridica” (nel senso che l'accertamento dell'antecedente logico venga postulato con effetto di giudicato, per modo che possa eventualmente verificarsi conflitto di giudicati) - non va necessariamente sospesa la causa di recesso dalla locazione promossa dal terzo acquirente dell'immobile locato in attesa della definizione di quella di riscatto instaurata dal conduttore che si assume privato del diritto di prelazione a lui spettante, atteso che non è configurabile un contrasto di giudicati tra la sentenza di accoglimento della domanda di recesso e quella di accoglimento dell'azione di riscatto, poiché unica conseguenza di quest'ultima sarebbe l'obbligo di restituzione, da parte del terzo acquirente, dell'immobile in precedenza rilasciato dal conduttore (si richiama, in proposito, anche il principio vigente in tema di retratto agrario, dove si nega ogni pregiudizialità tra le due controversie, in quanto il giudizio sulla scadenza del rapporto è autonomo rispetto a quello sulla proprietà del bene).

Seguendo un diverso indirizzo - affermato da Cass. civ., sez. III, 9 giugno 1986, n. 3832, e da Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1985, n. 2898 - il positivo esercizio del diritto di riscatto determina la sostituzione ex tunc del riscattante nella posizione giuridica acquistata dal retrattato con la compravendita dell'immobile e, quindi, il verificarsi di una situazione giuridicamente incompatibile con il rapporto oggetto della domanda di recesso formulata dall'acquirente dell'immobile, sicché va affermata la pregiudizialità della domanda di riscatto rispetto a quella di recesso, stante che la prima investe la pregressa estinzione dell'azionata titolarità del rapporto di locazione per cumulo, in capo al retraente, della qualità di conduttore e di proprietario concedente.

Il rapporto di pregiudizialità rispetto alla causa di rilascio

A sanare tale contrasto, sono intervenute tempestivamente le Sezioni Unite -Cass. civ., sez.un., 20 dicembre 1991, n. 13757 - le quali hanno prestato adesione al secondo filone giurisprudenziale indicato, secondo cui, appunto, l'accertamento in via di riscatto della proprietà dell'immobile venduto a terzi costituisce l'indispensabile antecedente logico-giuridico della decisione della causa di rilascio dello stesso immobile promossa dall'acquirente sulla base della medesima compravendita in concreto contestata.

Se è vero, infatti, che il terzo fa valere il titolo di acquisto per dimostrare la sua posizione di nuovo proprietario dell'immobile e di successore del locatore (abilitato all'esercizio dei relativi diritti), l'accertamento della concreta operatività di detto titolo incide direttamente sulla legittimazione e sui presupposti dell'azione di rilascio ed integra, quindi, quel rapporto di pregiudizialità considerato dall'art. 295 c.p.c.

Conclusione, questa, che risulta più convincente ove si rifletta sulla natura e gli effetti del riscatto alla stregua della disciplina dettata dall'art. 39 della l. n. 392/1978 e dell'interpretazione che, della stessa, è stata data dalla magistratura di vertice, la quale ha ripetutamente affermato che il diritto di riscatto si esercita mediante una dichiarazione recettizia che produce effetti a partire dalla data della stipulazione della compravendita tra proprietario e terzo e che il giudizio volto a riconoscere tale diritto ha natura di mero accertamento.

Orbene, se la sentenza di riscatto è una sentenza dichiarativa implicante la sostituzione ex tunc dell'avente diritto alla prelazione al terzo acquirente, risulta evidente come l'unico e diretto successore del proprietario-alienante sia il soggetto che ha positivamente esercitato il riscatto e non quello che stipulò la compravendita in violazione delle norme sulla prelazione; in concreto, il riscatto, quale diritto potestativo con effetti retroattivi, preclude ab initio al terzo di acquisire la qualifica di locatore e di esperire i diritti che alla stessa si ricollegano; “correlativamente il riscattante, divenendo proprietario ex tunc dell'immobile locato, perde contestualmente, per evidente incompatibilità logica e giuridica, la veste di conduttore e non può essere convenuto e condannato in tale veste” (così Cass. sez. un., n. 13757/1991, cit.).

A ciò consegue che l'accertamento con efficacia di giudicato della pregressa estinzione del rapporto di locazione a favore del riscattante è pregiudiziale rispetto al giudizio di rilascio dell'immobile che presenta come causa petendi lo stesso rapporto.

I riflessi sulla validità della compravendita

Non può indurre a diversa conclusione l'argomentazione secondo cui l'accoglimento della domanda di riscatto, dopo quella di rilascio, avrebbe come effetto soltanto la restituzione dello immobile al retraente senza incidere sulla validità della compravendita, in quanto proprio la restituzione dell'immobile, come conseguenza dell'efficacia retroattiva della pronuncia di riscatto, conferma la sussistenza di quel nesso di pregiudizialità che si vorrebbe disconoscere e dimostra, inoltre, l'inutilità del giudizio di rilascio.

Quanto detto non implica che la compravendita stipulata in violazione del diritto di prelazione sia nulla o che, al contrario, la validità del contratto rende incompatibili gli indicati effetti del riscatto: invero, il retratto opera come strumento succedaneo di tutela del diritto leso ed è volto ad assicurare, in favore del titolare della violata prelazione, l'acquisizione della medesima posizione di proprietario del bene che egli avrebbe avuto se fosse stato posto nella condizione di esercitare quel precedente diritto; a tal fine, non pone nel nulla il negozio concluso tra alienante e terzo, né determina un secondo trasferimento del bene dall'acquirente al titolare del diritto di riscatto, ma, sulla base della dichiarazione unilaterale e recettizia di quest'ultimo, determina soltanto la modificazione soggettiva della vicenda traslativa sostituendo ex tunc il retraente al terzo acquirente (v., da ultimo, Cass. civ., sez. III, 15 dicembre 2021, n. 40252).

Alla luce di siffatta ricostruzione, emerge anche la sussistenza del pericolo di giudicati contraddittori in difetto della sospensione necessaria, giacché non sono conciliabili la decisione di rilascio dell'immobile locato, che segna la cessazione del rapporto di locazione, e la decisione di riscatto, che nega l'esistenza fra le stesse parti di quel rapporto.

L'eventualità di fatti antecedenti alla nascita del diritto

Ora, il rapporto di pregiudizialità ricorre sicuramente se con l'azione di rilascio vengano dedotti fatti successivi al sorgere del diritto di riscatto, perché, in tal caso, i presupposti e gli effetti del riscatto, in quanto risalenti a data anteriore, non possono essere travolti dalle nuove situazioni poste a base della domanda di rilascio; nell'ipotesi, invece, di domanda di rilascio fondata su fatti antecedenti, è necessario vagliare caso per caso l'oggetto e gli effetti delle specifiche controversie per accertare o escludere quel rapporto di dipendenza.

In particolare, nell'ipotesi di azione di risoluzione del rapporto introdotta dal proprietario-alienante prima della vendita a terzi e basata su inadempimenti pregressi, viene ad investirsi il rapporto di pregiudizialità, posto che, per l'efficacia retroattiva della pronuncia di risoluzione (art. 1458 c.c.), il conduttore resta privato ex tunc della qualifica soggettiva richiesta per la titolarità del diritto di riscatto e, conseguentemente, l'accertamento di quest'ultimo dipenderà dalla sorte della causa di risoluzione; qui, la causa di riscatto è stata instaurata prima della causa di recesso da parte dei soggetti convenuti nel primo giudizio e ricorrono, quindi, tutte le condizioni per l'applicazione dell'art. 295 c.p.c.

Può aggiungersi che l'indiscussa anteriorità della causa di riscatto rispetto a quella di recesso esclude anche la possibilità di un'artificiosa instaurazione del giudizio pregiudiziale a fini dilatori e speculativi e, quindi, quel deleterio ritardo nella conclusione del processo prospettato, a volte, come motivo per un più rigoroso contenimento della sospensione necessaria, aggiungendo che l'eventuale illecito processuale può trovare sanzione nei modi e nei limiti contemplati dall'ordinamento ex art. 96 c.p.c.

Più di recente, è stata esclusa - ad avviso di Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 1998, n. 10083; cui adde Cass. civ., sez. III, 30 dicembre 1993, n. 13012, sia pure in fattispecie antecedente all'introduzione del giudice unico - la sussistenza del rapporto di pregiudizialità tra la causa di riscatto, promossa dal conduttore di un immobile destinato ad uso non abitativo, nei confronti del terzo acquirente, e l'azione di rilascio dell'immobile, promossa dall'acquirente per fatti antecedenti al sorgere di detto diritto, mentre, riguardo alla domanda proposta dal conduttore di condanna del terzo acquirente al pagamento dell'indennità di avviamento commerciale, è stata affermata la pregiudizialità della causa di riscatto (Cass. civ., sez. III, 17 aprile 1996, n. 3625).

La risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore

Il rapporto di pregiudizialità, viceversa, si capovolge nel caso di domanda di risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore, quando trae origine da inadempienze precedenti all'esercizio da parte dello stesso conduttore del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39, atteso che la stessa assume carattere pregiudiziale rispetto alla domanda di riscatto, giacché, in caso di accoglimento della prima domanda, la pronuncia di risoluzione contrattuale retroagirebbe al momento in cui l'inadempimento, ritenuto grave, ha avuto inizio, privando il retraente della qualità soggettiva di conduttore, che lo legittima al riscatto (Cass. civ., sez. III, 2 marzo 2012, n. 4816; Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2010, n. 5771; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 1996, n. 10985).

Anche in seguito, i magistrati del Palazzaccio hanno avuto modo di chiarire che la risoluzione del contratto opera ex tunc, nel senso che essa toglie efficacia alla causa giustificatrice delle attribuzioni patrimoniali eventualmente effettuate tra i contraenti e ristabilisce fra di essi la stessa situazione economica-giuridica esistente prima del contratto, che viene considerato come se non fosse stato mai concluso; questa efficacia retroattiva trova un limite, previsto dall'art. 1458 c.c., nel caso dei contratti ad esecuzione continuata o periodica, soltanto riguardo alle prestazioni già eseguite, cioè a quelle liquidate ed esaurite; cosicché la pronuncia di risoluzione per inadempimento di un contratto ad esecuzione continuata, sebbene di carattere costitutivo, ha efficacia retroattiva dal momento dell'inadempimento e, cioè, dal momento in cui, realizzandosi l'inadempimento rilevante ai fini risolutivi, è venuto meno il sinallagma contrattuale.

Ne consegue che, tra domanda di risoluzione proposta dal locatore e domanda di riscatto proposta dal conduttore ai sensi dell'art. 39, la prima è pregiudiziale alla seconda, solo se il grave inadempimento dedotto in giudizio è anteriore all'esercizio del diritto di riscatto, poiché l'accoglimento di essa priverebbe il retraente della qualità soggettiva di conduttore, che lo legittima al riscatto medesimo.

L'inesistenza del litisconsorzio necessario

L'azione di riscatto proposta, ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, dal conduttore di immobile urbano che assuma violato il suo diritto di prelazione, è diretta nei soli confronti dell'acquirente (o dei suoi aventi causa), sicché l'alienante non è litisconsorte necessario nel relativo giudizio (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 27 maggio 2009, n. 12264; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2007, n. 7501; Cass. civ., sez. III, 26 marzo 2004, n. 6052; Cass. civ., sez. III, 22 ottobre 2002, n. 14901; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 1987, n. 2721).

Invero, l'alienante non è coinvolto nell'azione di riscatto ai sensi del citato art. 39, atteso che, con l'alienazione trasgressiva della prelazione attribuita da quella disposizione, si verifica la sostituzione dell'acquirente all'alienante nel rapporto di soggezione al diritto potestativo di acquisto del conduttore; la dichiarazione unilaterale di riscatto si dirige, quindi, nei soli confronti dell'acquirente ed il giudizio volto a sancirne l'effetto, di mero accertamento, non coinvolge necessariamente gli interessi giuridici dell'alienante.

D'altronde, la natura reale dell'azione di riscatto esercitata dal conduttore implica che il soggetto deputato a stare in causa sia solo l'intestatario del bene, laddove il locatore, che ha definitivamente abbandonato il suo diritto di proprietà, rimane estraneo ad ogni vicenda relativa alla sostituzione del soggetto in capo al quale verranno a fissarsi gli effetti del trasferimento, non escludendosi, tuttavia, un suo intervento ad adiuvandum al fine di paralizzare un'eventuale azione risarcitoria dell'acquirente nei suoi confronti.

Se, quindi, il retraente, anche in appello, cita, unitamente al retrattato, il locatore-venditore dell'immobile, che assume alienato in violazione del suo diritto di prelazione urbana, pur se non svolge alcuna domanda nei suoi confronti, deve rimborsargli le spese giudiziali, se la domanda di riscatto è rigettata, in virtù del principio di causalità del processo (Cass. civ., sez. III, 23 aprile 2001, n. 5977).

La posizione dei coniugi in regime di comunione legale

Passando ad altra questione, secondo un primo indirizzo - Cass. civ., sez. III, 29 luglio 1995, n. 8341; Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1995, n. 6299; Cass. civ., sez. III, 5 maggio 1990, n. 3741 - nel giudizio di riscatto, è litisconsorte necessario il coniuge dell'acquirente, in caso di comunione legale, precisando, però, che la mancata introduzione del giudizio di riscatto nei confronti di un litisconsorte necessario non giustifica una pronuncia di inammissibilità, atteso che nessuna sanzione del genere è comminata dalla legge, mentre specifiche norme (artt. 102 e 354 c.p.c.) prevedono, in simili casi, che il giudice disponga l'integrazione del contraddittorio.

Invero, secondo il regime di comunione legale introdotto dalla l. 19 maggio 1975, n. 151, gli acquisti compiuti da uno degli stessi coniugi, anche separatamente, tornano ope legis a vantaggio dell'altro, nel senso che egli diventa automaticamente comproprietario del bene acquistato, in ragione della quota ideale della metà (art. 177 c.c.); ne deriva che tutte le azioni di natura reale, aventi per oggetto il bene stesso, devono essere proposte nei confronti di entrambi i coniugi, che sono litisconsorti necessari, non potendo la sentenza spiegare effetti nei confronti di colui che non abbia partecipato al giudizio.

Siffatta ipotesi si verifica anche nel caso di esercizio del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39 della l. n. 392/1978, perché, con la relativa azione giudiziale, si tende ad ottenere una sentenza che riconosca il diritto di proprietà dell'immobile in capo al conduttore, con effetti reali, validi erga omnes e, in particolare, nei confronti di tutti gli acquirenti dello stesso immobile; è, quindi, evidente che, al giudizio a tal fine instaurato dal conduttore, deve necessariamente partecipare il coniuge dell'acquirente, in regime di comunione legale, anche se l'acquisto sia stato compiuto separatamente dall'altro coniuge, pena l'inopponibilità allo stesso della sentenza di accoglimento dell'azione di riscatto, che risulterebbe, pertanto, inutilmente pronunciata.

Gli ermellini hanno, poi, mutato in parte indirizzo - Cass. civ., sez. III, 29 maggio 1998, n. 5340; in precedenza, sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Termini Imerese 19 novembre 1982 - affermando che il conduttore deve esercitare il riscatto, nel termine di decadenza, anche nei confronti del coniuge dell'acquirente in regime di comunione legale dei beni, il quale è litisconsorte necessario in quanto diviene automaticamente comproprietario, pur se nell'atto di trasferimento non è menzionato: a tal fine, egli ha l'onere di verificare tempestivamente non solo i registri immobiliari, ma anche quelli dello stato civile per accertare se l'acquirente è coniugato e con quale regime patrimoniale, perché la decadenza del riscatto non è interrotta né dall'esercizio dell'azione nei confronti di un solo coniuge, essendo la normativa della prescrizione applicabile solo dopo l'impedimento della decadenza, né dalla tempestiva esecuzione dell'ordinanza di integrazione del contraddittorio nei confronti dell'altro coniuge, necessaria per l'ammissibilità dell'azione di riscatto, ma ininfluente sul termine di decadenza spirato.

In sintesi, come è stato in seguito rilevato - in particolare, da parte di Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2008, n. 7271 - il coniuge del retrattato è sì litisconsorte necessario, ma l'integrazione del contraddittorio in tanto è configurabile, in quanto il retratto sia stato tempestivamente esercitato nei confronti di entrambi; in caso di acquisto compiuto separatamente da soggetto coniugato in regime di comunione dei beni, l'omessa citazione, nel giudizio di riscatto proposto ai sensi dell'art. 39 del coniuge non contraente, comproprietario ex lege e litisconsorte necessario, non determina l'inammissibilità dell'azione di riscatto, non essendo tale sanzione comminata dalla legge, dovendosi, invece, ai sensi dell'art. 102 c.p.c., disporre soltanto l'integrazione del contraddittorio; l'avvenuta integrazione del contraddittorio nei confronti del suddetto litisconsorte necessario non è, tuttavia, idonea a sanare, di per sé, la decadenza sostanziale sopravvenuta a causa del decorso del termine di cui all'art. 39 citato, senza che il conduttore abbia esercitato il riscatto nei confronti del coniuge dell'acquirente in regime di comunione legale dei beni (il principio è stato ribadito, più di recente, da Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2014, n. 10846).

Componendo il contrasto tra gli opposti orientamenti, le Sezioni Unite - Cass. civ., sez.un., 22 aprile 2010, n. 9523 - hanno statuito che il diritto di riscatto previsto dall'art. 39 deve essere esercitato dall'avente diritto alla prelazione nei confronti di tutti gli acquirenti comproprietari del bene - compreso il coniuge in comunione legale dei beni che lo abbia acquistato ai sensi della lett. a) dell'art. 177 c.c. - i quali sono litisconsorti necessari nella relativa controversia; laddove il diritto di riscatto sia esercitato in via giudiziaria e l'azione sia proposta tempestivamente (entro il termine di sei mesi dalla trascrizione dell'atto, stabilito dal menzionato art. 39) solo contro uno o alcuni degli acquirenti, il consolidamento dell'acquisto è impedito nei confronti di tutti, a condizione che la nullità dell'originaria domanda (dovuta, appunto, alla mancata notificazione a tutti i litisconsorti) sia sanata dall'integrazione del contraddittorio nei confronti delle parti necessarie inizialmente pretermesse.

L'azione di garanzia per evizione nei confronti del dante causa

In un'ulteriore fattispecie, si è chiarito che l'acquirente dell'immobile locato, una volta convenuto del giudizio di riscatto, possa agire per l'evizione nei confronti del proprio dante causa, senza che rilevi, ai fini della responsabilità dell'alienante, la circostanza che l'acquirente fosse a conoscenza della possibile causa di evizione.

Invero, la domanda, con la quale l'acquirente di immobile locato chieda all'alienante dello stesso di garantirlo dalle conseguenze della pronuncia di riscatto, va ricondotta alla fattispecie della garanzia per evizione (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1988, n. 2992); ora, questa forma di garanzia opera indipendentemente dalla conoscenza della possibile causa di evizione da parte dell'acquirente, perché gli effetti della garanzia conseguono al mero fatto obiettivo della perdita del diritto acquistato, che, facendo venir meno la ragione giustificatrice della controprestazione, altera l'equilibrio del sinallagma funzionale e fa sorgere la necessità di porvi rimedio con il ripristino della situazione economica dell'acquirente anteriore all'acquisto (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 1996, n. 3020, la quale ha ritenuto che il giudice di merito aveva erroneamente disatteso la pretesa risarcitoria, sul rilievo che l'acquirente aveva avuto consapevolezza del diritto di prelazione o che di tale diritto avrebbe potuto acquisire, comunque, consapevolezza con l'uso dell'ordinaria diligenza).

La configurazione dell'azione di garanzia intentata dall'acquirente nei confronti dell'alienante come garanzia per evizione comporta, altresì, che egli sia legittimato all'impugnazione autonoma della pronuncia a lui sfavorevole: in altri termini, nel giudizio di riscatto promosso dal conduttore di un immobile urbano nei confronti dell'acquirente, quest'ultimo, ove richieda al venditore di essere garantito nell'eventualità della pronuncia di riscatto, propone una domanda di garanzia per evizione avente natura di garanzia propria, cosicché il venditore è legittimato a proporre impugnazione autonoma efficace ad ogni effetto nei confronti di tutte le parti, anche contro la decisione emessa nella causa principale riguardo alla domanda di riscatto (Cass. civ., sez. III, 21 febbraio 1996, n. 1339

Si segnala, al riguardo, una pronuncia del Supremo Collegio (Cass. civ., sez. III,  31 luglio 2006, n. 17433) la quale lucidamente delinea i termini della questione sotto il profilo processuale: “la prelazione reale urbana - diversamente da quella convenzionale a carattere meramente obbligatorio la cui violazione può dar luogo esclusivamente al risarcimento del danno - può essere fatta valere nei confronti dell'acquirente iniziale e di ogni successivo avente causa, e l'esercizio del diritto di riscatto previsto dall'art. 39 della l. n. 392/1978 a favore del conduttore di immobile urbano adibito ad uso diverso dall'abitazione pretermesso, nel caso di vendita del bene locato, avendo come effetto non già la risoluzione del contratto traslativo a vantaggio del terzo - con contestuale formazione di un titolo di acquisto ex nunc a favore del retraente - né un nuovo trasferimento del diritto sul bene dal terzo acquirente al titolare del diritto di riscatto, bensì la sostituzione con effetto ex tunc, sulla base della propria dichiarazione unilaterale recettizia, di detto titolare al terzo nella medesima posizione che quest'ultimo aveva nel negozio concluso; ne consegue che la pronuncia di accoglimento della domanda è di mero accertamento del già avvenuto trasferimento, e l'alienante non ha interesse alla modifica soggettiva concernente la sostituzione del retraente, non essendo litisconsorte necessario nel relativo giudizio; con l'ulteriore conseguenza che, ove il giudizio si svolga anche in contraddittorio dell'alienante per avere il retrattato nei suoi confronti proposto pure domanda di risarcimento dei danni, si verifica un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, in cui i due giudizi (quello tra retraente e retrattato, da una parte, e tra retrattato e venditore, dall'altra), nonostante la simultaneità del processo, permangono autonomi, sicché in tal caso le difese spiegate dall'alienante per resistere alla domanda del retrattante non possono avere rilievo ai fini dell'esito del giudizio di riscatto tra retraente e retrattato”).

Il giudicato di annullamento della vendita dell'immobile locato

Il diritto di riscatto attribuito al conduttore di immobile destinato ad uso diverso da quello abitativo dall'art. 39 della l. n. 392/1978 presuppone la sussistenza di un valido atto di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile stesso, sicché l'eventuale giudicato di annullamento di tale atto, formatosi in pendenza dell'azione diretta all'esercizio del riscatto, nel giudizio instaurato dal locatore nei confronti dell'acquirente, produce i suoi effetti riflessi nei confronti del conduttore, precludendogli il soddisfacimento del suo diritto, salva la possibilità di quest'ultimo di tutelarsi, ricorrendone i presupposti, con l'azione di terzo revocatoria (Cass. civ., sez. III, 3 settembre 1999, n. 9294, in una fattispecie di annullamento del contratto di compravendita per incapacità naturale del venditore ex art. 428 c.c.: in particolare, l'azione di riscatto era stata promossa nel 1986, mentre la sentenza intervenuta tra il locatore ed il terzo, che aveva dichiarato la nullità della compravendita, era passata in giudicato nel 1989, quando la causa di riscatto era ancora in corso).

In pratica, la sopravvenuta sentenza di annullamento della compravendita risulta opponibile al conduttore, in quanto incide, caducandolo, sul presupposto del diritto di riscatto: invero, il giudicato, oltre ad avere una sua efficacia diretta nei confronti delle parti, degli eredi e degli aventi causa, è dotato anche di un'efficacia riflessa, nel senso che esso, come affermazione oggettiva di verità, produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui la pronuncia è stata emessa, allorquando questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definitiva di quel processo o, comunque, di un diritto subordinato a tale situazione (Cass. civ., sez. III, 24 gennaio 1995, n. 792), precisando che si configura dipendenza o subordinazione del diritto, qualora, nella fattispecie costitutiva dello stesso, sia compresa l'esistenza o l'inesistenza della situazione oggetto del giudicato stesso (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1991, n. 10654).

Atteso che, nella fattispecie costitutiva del diritto di riscatto ai sensi dell'art. 39, è compreso l'avvenuto trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, del quale il riscatto modifica gli effetti sostituendo il riscattante all'acquirente, il giudicato che determina il venir meno di tale trasferimento, intervenuto in pendenza del giudizio di riscatto, produce effetti riflessi nei confronti del conduttore riscattante, ancorché estraneo al giudizio di annullamento, atteso che l'eliminazione dell'atto di trasferimento determina il venir meno della ragione stessa del riscatto, ossia l'eliminazione in radice del presupposto per l'esercizio del diritto di riscatto.

La simulazione dell'atto di trasferimento

In proposito, si è avuto modo di statuire, riguardo all'ipotesi della simulazione dell'atto di trasferimento, che, in tema di riscatto urbano disciplinato dall'art. 39, poiché l'accertamento della sussistenza o meno di una delle condizioni previste in via alternativa per il suo esercizio dalla detta norma incide sul diritto del conduttore, questi subisce gli effetti riflessi della sentenza che accerti la simulazione, assoluta o relativa, dell'alienazione dell'immobile locato, ancorché pronunciata tra locatore e terzo acquirente, ferma restando la possibilità per il conduttore di proporre l'opposizione di terzo revocatoria, ove ne ricorrano gli estremi (Cass. civ., sez. III, 14 novembre 1991, n. 12168; contra, nel senso dell'inopponibilità, traendo peraltro argomento dall'art. 1415, comma 1 c.c., v., invece, Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1992, n. 5181).

Non vale, sul punto, opporre che il riscatto si era già perfezionato, per effetto della sola dichiarazione del retrattante, contenuta nella citazione introduttiva del relativo giudizio, in epoca antecedente alla proposizione della domanda di annullamento, atteso che, nella specie, il convenuto nel giudizio di riscatto aveva manifestato la sua opposizione, sicché la sussistenza o meno dei presupposti condizionanti la fondatezza del diritto azionato era ancora sub iudice alla data di instaurazione del giudizio di annullamento del contratto, ed il riscatto non aveva, quindi, prodotto effetti, occorrendo la pronuncia del giudice, recante l'accertamento della sussistenza delle condizioni dell'azione.

Ne era pertinente il richiamo all'art. 2653, n. 3, c.c., atteso che tale disposizione considera l'ipotesi del patto di riscatto convenzionalmente apposto alla compravendita, laddove, nella specie, si verte in tema di riscatto legale ex art. 39 della l. n. 392/1978; ai sensi dell'art. 1445 c.c., l'annullamento, che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di annullamento; la norma va, quindi, coordinata con l'art. 2652, n. 6, c.c., secondo il quale, nel caso di trascrizione, entro cinque anni dalla trascrizione dell'atto impugnato, della domanda volta a far pronunciare l'annullamento per una causa diversa dall'incapacità legale, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi in buona fede in base ad atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

In conclusione

Pertanto, l'intangibilità della posizione dei terzi di buona fede riguarda soltanto i diritti acquistati a titolo oneroso con atto a sua volta trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda di annullamento, ma tale ipotesi qui non ricorre, poiché il conduttore non era titolare di un acquisto a titolo oneroso perfezionatosi anteriormente alla trascrizione della domanda di annullamento, stante che l'opposizione dell'acquirente al riscatto aveva impedito che la dichiarazione di riscatto producesse i suoi effetti di sostituzione del riscattante agli acquirenti, rendendo necessaria una sentenza favorevole al riscattante.

Né può assumere rilevanza, ai fini in esame, l'avvenuta trascrizione della domanda di riscatto anteriormente a quella della domanda di annullamento; pur volendo ritenere che la trascrizione della domanda giudiziale di riscatto legale sia consentita, in ragione dell'interpretazione estensiva dell'art. 2653, n. 1, c.c., per essere volta l'azione di riscatto all'accertamento della proprietà in capo al riscattante per effetto della sostituzione ex lege all'acquirente, occorre considerare che gli effetti della trascrizione delle domande sono esclusivamente quelli espressamente previsti dalla legge, per cui unico effetto della trascrizione della domanda di cui trattasi è quello di attribuire efficacia alla sentenza pronunciata contro il convenuto anche contro coloro che hanno acquistato diritti dal medesimo, in base ad un atto trascritto successivamente.

Riferimenti

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