Leasing e “patto di deduzione”: conseguenze della mancata vendita del bene da parte del concedente

La Redazione
27 Marzo 2024

Il Tribunale di Milano svolge interessanti considerazioni in tema di contratto di leasing e c.d. “patto di deduzione”, nell’ambito di una vicenda che vede la Curatela di un fallimento agire per ottenere importo dovutole a fronte della risoluzione e restituzione del bene avvenute ben dieci anni addietro.

La pronuncia tratta del contratto di leasing e del c.d. patto di deduzione, quest'ultimo consistente, come si legge, in “una serie di clausole per effetto delle quali a risoluzione intervenuta il concedente, oltre al diritto di ritenere i canoni già percepiti, ha diritto al pagamento dei canoni scaduti e non pagati, dei canoni c.d. a scadere e del corrispettivo per l'esercizio del diritto di riscattare la proprietà del bene. All'utilizzatore spetta invece il diritto a ottenere il corrispettivo derivante dalla vendita del bene”.

La ratio dello strumento risiede nel riequilibrio delle posizioni del concedente e dell'utilizzatore: “si impone che una volta assicurato al concedente quanto avrebbe guadagnato dal contratto nel caso di esecuzione ottimale (ossia comprensiva dell'esercizio del diritto di opzione da parte dell'utilizzatore), questi venda il bene e/o comunque imputi all'utilizzatore il valore in natura dello stesso.”.

Nel caso di specie il bene, restituito nel 2012 dalla società utilizzatrice (poi fallita), pur essendo stato messo prontamente in vendita dalla concedente, dopo dieci anni risultava ancora invenduto. La Curatela chiedeva pertanto di condannare la concedente (in solido con la cessionaria del credito derivante dal rapporto contrattuale) al pagamento dell'importo dovuto in conseguenza dell'avvenuta risoluzione del contratto e della restituzione del bene.

Secondo il Tribunale “Così come l'utilizzatore non può pretendere che il concedente gli attribuisca il valore del bene senza avergli riconosciuto un tempo minimo, una volta restituito il bene, per metterlo sul mercato e aspettarne una risposta, del pari il concedente non può a oltre a un decennio di distanza assumere che, fino a quando non vi è alienazione alcuna, nulla è dovuto (…). (…) la tesi alternativa (il rapporto si chiude quando il bene è venduto e si può procedere alla liquidazione), è certo logicamente sostenibile, ma praticamente inapplicabile, perché espone la chiusura di un rapporto anche, in ipotesi, a decenni di distanza dalla risoluzione: e le conseguenze assurde devono invitare a rivedere la premessa.”.

Sempre secondo il Tribunale, il patto di deduzione (come pure l'art. 1, comma 138, l. n. 124/2017) non appare riconducibile alla tutela risolutoria, integrando piuttosto una sorta di rimedio volto all'integrale esecuzione del rapporto contrattuale nella peculiare eventualità che l'utilizzatore eserciti il diritto di riscatto (potendo peraltro l'utilizzatore inadempiente – con un apparente paradosso – maturare un credito qualora il valore dell'immobile superi il credito di parte concedente).

In definitiva, il Tribunale condanna la concedente al pagamento a favore dell'utilizzatrice del valore di mercato del bene, come ammontante al momento del rilascio, ridotto in via prudenziale del 5%.