La finanza “terza” nel concordato preventivo

27 Marzo 2024

L'articolo traccia brevemente lo stato dell’arte in tema di finanza esterna - ovvero i finanziamenti provenienti da terzi, senza vincolo di restituzione - nel concordato preventivo.

Introduzione

Le nozioni “finanza di terzi”, “finanza terza” o “finanza esterna” nelle procedure concorsuali racchiudono in sé un’ampia tipologia di casistiche che trovano un primo denominatore comune nell’estraneità di tali apporti al patrimonio del debitore destinato al soddisfacimento dei creditori, rappresentandone, dunque, un quid pluris.

Come noto, le risorse poste a sostegno della proposta concordataria sono ricollegabili, in via precipua, alla liquidazione del patrimonio del debitore nella sua conformazione alla data dell’apertura del concorso. Purtuttavia, la proposta concordataria può contemplare ulteriori risorse, attraverso un negozio giuridico con il quale un soggetto terzo si impegna ad erogare risorse finanziarie senza vincolo di restituzione (ovvero non ripetibile, o a fondo perduto o pro bono), al solo fine di agevolare la buona riuscita della procedura di ristrutturazione.

È questa la cosiddetta finanza esterna in senso stretto, che, non essendo soggetta alle cause legittime di prelazione dei creditori concorsuali, può essere utilizzata nella proposta senza alcun vincolo di destinazione.

Tale tipologia di finanza, tipizzata dalla legge fallimentare prima, e dal Codice della crisi poi, si distingue dunque dai finanziamenti di natura prededucibile.

Altro denominatore comune nell’ampia tipologia di casistiche della finanza esterna, è costituito dal miglior soddisfacimento del ceto creditorio.

L’utilizzo di risorse estranee al patrimonio del debitore può, difatti, contribuire a rendere la proposta concordataria più “appetibile” per i creditori chiamati al voto, ai quali vengono in tal modo offerti beni sui quali non potrebbero vantare pretese nel caso di liquidazione (essendo estranee al patrimonio del debitore).

Nei concordati che prevedano la continuità aziendale, inoltre, le risorse esterne assolvono talvolta anche un ruolo funzionale al mantenimento dell’operatività, apportando risorse utili alla prosecuzione.

La finanza esterna può, altresì, consentire un pagamento almeno parziale – purché non meramente simbolico – dei creditori chirografari anche nel caso di insufficienza del patrimonio del debitore al soddisfacimento integrale dei creditori muniti di privilegio generale mobiliare; in tal modo si garantisce l’ammissibilità della proposta per il realizzarsi della causa concreta, senza incorrere nella violazione dell’ordine delle cause di prelazione.

Il principio di neutralità

La finanza di terzi, da destinarsi al miglior soddisfacimento del ceto creditorio, può essere liberamente utilizzata a condizione che sia rispettato il c.d. principio di neutralità, secondo il quale l'apporto del terzo deve essere posto direttamente a servizio del debito concorsuale, senza transitare dal patrimonio del debitore.

E difatti, ai fini dell'ammissibilità della proposta di concordato preventivo, “l'apporto del terzo si sottrae al divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati solo allorché risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice (sul quale i crediti privilegiati dovrebbero in ogni caso essere collocati secondo il loro grado), né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo, indipendentemente dalla circostanza che tale credito sia stato postergato o no” (Cass. civ., 8 giugno 2012 n. 9373; in senso conforme, Cass. civ., 14 maggio 2019, n. 12864; Cass. civ., 17 maggio 2019, n. 13391; Cass. civ., 8 giugno 2020, n. 10884).

Ne discende che il terzo finanziatore può intervenire con mezzi propri alla soddisfazione delle obbligazioni del debitore, senza dover sottostare alle regole della graduazione, purché tale intervento non comporti alcuna variazione dello stato patrimoniale del debitore, né all'attivo (giacché in tal caso i creditori non potrebbero essere privati dei diritti che, in base alla legge, essi vantano sul patrimonio del debitore) e neppure al passivo, con la creazione di poste passive per il rimborso del finanziamento, sia pure postergato e con esclusione di voto.

Il principio di neutralità è stato poi ribadito quando i giudici di legittimità hanno affermato che è possibile procedere al soddisfacimento dei crediti di rango inferiore in assenza di un'integrale estinzione dei crediti di rango poziore, allorquando il trattamento previsto per i crediti privilegiati declassati sia complessivamente più favorevole rispetto a quello che essi ricaverebbero all'esito della liquidazione e rispetto a quello riservato ai crediti di natura chirografaria.

Secondo la Suprema Corte, “l'ammontare della somma ritraibile dalla liquidazione concorsuale segna il limite minimo di soddisfacimento dei creditori privilegiati: e da tale limite si desume che il creditore chirografario non possa vedere adempiuta, neanche parzialmente, la propria obbligazione se il presumibile valore di realizzo dei beni su cui insiste il diritto di prelazione non consenta di soddisfare i creditori privilegiati” (Cass. civ., 8 giugno 2020, n. 10884). Ciò significa, in concreto, che, in presenza di un diritto di prelazione incidente su di un bene specifico (ipoteca, pegno, privilegio speciale) il credito che ne è assistito può essere soddisfatto parzialmente se il valore del detto bene sia inferiore all'ammontare del credito: in questo caso, infatti, il conseguimento di quanto spettante dipende dall'ammontare ritraibile dalla liquidazione del bene su cui insiste la prelazione (da cui sono esclusi i creditori chirografari) e dal valore degli altri beni (su cui concorrono i creditori chirografari).

I giudici di legittimità chiariscono che i creditori chirografari possono essere soddisfatti, pur in presenza di beni oggetto del privilegio generale che risultino essere insufficienti ad assicurare il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati, ove essi abbiano la possibilità di fruire della “c.d. finanza esterna, alle condizioni indicate dalla Cass. civ. 8 giugno 2012, n. 9373” e ciò a condizione che l'apporto del terzo risulti neutrale rispetto allo stato patrimoniale della società, non comportando né un incremento dell'attivo patrimoniale della società debitrice, né un aggravio del passivo della medesima, con il riconoscimento di ragioni di credito a favore del terzo.

In conclusione: è consentito soddisfare in modo non integrale i creditori privilegiati solo in caso di incapienza dei beni sui quali sussiste la prelazione;  se il privilegio è generale, la soddisfazione non integrale è consentita solo laddove si attesti che l'intero patrimonio mobiliare non è sufficiente al pagamento dello  stesso; se il patrimonio non può soddisfare i creditori privilegiati, nulla potrebbe, allora, essere attribuito ai creditori chirografari poiché la regola della graduazione impedisce la soddisfazione del creditore di grado successivo qualora non sia stato integralmente soddisfatto quello di grado precedente, salvo, però, che siano utilizzate risorse finanziarie non provenienti dal patrimonio assoggettato al concorso e che costituiscano apporti "neutri" di terzi estranei.

Il debitore, con il suo patrimonio, non può alterare la graduazione dei crediti; tuttavia, ciò è consentito al terzo con un apporto che non deve incrementare l'attivo e non deve aggravare il passivo del debitore. 

Come sopra anticipato, il requisito del non incremento dell'attivo dovrebbe coincidere con la non entrata dell'apporto nel patrimonio del debitore, neppure in caso di apporti a titolo gratuito e senza corrispettivo: in caso contrario non sarebbe comunque finanza esterna liberamente destinabile. Inoltre, non è sufficiente che l'apporto non entri nel patrimonio attivo del debitore, ma occorre anche che non determini un aggravamento del passivo

Un tipico apporto che non entra nel patrimonio e non genera passività è il pagamento di creditori ad opera di terzi con o senza surrogazione. 

Anche quando il debitore contabilizzi un corrispettivo per l'apporto che il terzo effettua direttamente a favore di uno o più creditori, non si ha un aggravio del passivo, perché il debito assunto verso il terzo è compensato dalla scomparsa del credito tacitato dal terzo, ma nella prassi gli apporti neutrali del terzo consistono prevalentemente in apporti senza corrispettivo.

L'ipotesi più frequente è quella della messa a disposizione da parte di un terzo di risorse per le esigenze concordatarie: occorre peraltro che il terzo imprima all'apporto una destinazione a questo o quel creditore o classe di creditori, indipendentemente dalla loro collocazione nella graduatoria dei privilegiati, dei chirografari o dei postergati. 

Modalità di distribuzione: l’alterazione della graduazione dei privilegi

Posto il rispetto del principio di neutralità, come sopra richiamato, merita approfondimento il tema delle modalità di distribuzione della finanza di terzi senza vincolo di restituzione (ovvero non ripetibile, o a fondo perduto o pro bono), ovvero della necessità di rispettare o meno il divieto di alterazione della graduazione dei crediti privilegiati.

Si rammenti che qualora l’apporto finanziario esterno transiti dal patrimonio del debitore, la soddisfazione dei crediti deve avvenire secondo l’ordine delle prelazioni, essendo a questi effetti irrilevante quale sia l’origine e la provenienza dei mezzi finanziari con i quali il debitore paga i suoi creditori.

Qualora invece l’apporto finanziario esterno non transiti dal patrimonio del debitore (in conformità al principio di neutralità), occorre chiarire la possibilità o meno di poter destinare tale apporto al pagamento dei creditori, secondo un piano che comporti l’alterazione della graduazione dei crediti muniti di prelazione.

A tale proposito, occorre anzitutto ricordare che il legislatore ha individuato due regole fondamentali ai fini distributivi:

  1. è possibile prevedere che i creditori muniti di cause di prelazione non siano soddisfatti integralmente, purché il piano ne preveda la soddisfazione in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione;
  2. il trattamento stabilito per ciascuna classe non può avere l'effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione.

Viene dunque espressa con chiarezza dal legislatore la necessità che la formazione delle classi non alteri in alcun modo l'ordine di graduazione dei crediti muniti di cause di prelazione, che ha il suo fondamento nella legge e non è disponibile dalle parti.

Tuttavia, il legislatore non tratta specificamente delle questioni derivanti dall'apporto finanziario di terzi, e non detta alcuna regola particolare circa il collocamento dei crediti prelatizi su tali apporti.

A tal proposito, si è invece espressa – come già detto - la giurisprudenza di legittimità, chiarendo che l'intangibilità dell'ordine delle cause di prelazione trova il suo limite nel patrimonio del debitore, e ciò non vieta al terzo di condizionare il suo apporto finanziario alla soddisfazione preferenziale di crediti posposti, purché tale apporto non transiti nel patrimonio del debitore.

Si vede, dunque, come l’allocazione delle risorse aggiuntive esterne risulti estranea al regime della responsabilità patrimoniale del debitore sancito dall’art. 2740 c.c., proprio perché tale norma opera esclusivamente con riferimento al solo patrimonio del debitore, attraverso il quale quest’ultimo risponde delle proprie obbligazioni.

L’apporto del terzo ha come oggetto un bene che non è compreso tra quelli che, appartenenti al patrimonio del debitore, costituiscono la garanzia generica dei creditori e quindi non sarebbe destinato al soddisfacimento dei creditori, né in chiave individuale, né in chiave concorsuale.

Del resto, oggettivamente, qualsivoglia destinazione delle risorse esterne non può avere l’effetto di pregiudicare i creditori privilegiati incapienti o i creditori chirografari, i quali non possono dolersi o ritenersi pregiudicati dalla destinazione della finanza esterna a beneficio dei postergati o solo di alcuni chirografari selettivamente individuati; in mancanza del concordato, infatti, i loro diritti non potrebbero comunque estendersi sino a questi beni, provenienti da terzi e quindi non destinati ai creditori.

In conclusione, il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione dei creditori spiega la sua funzione esclusivamente nell’ambito di un concorso esecutivo e con riferimento ai beni del debitore.

Modalità di distribuzione: la par condicio creditorum

La possibilità, dunque, di distribuire la finanza esterna tra i creditori senza rispettare le regole che configurano il sistema di distribuzione del patrimonio tra i creditori e, in particolare senza osservare l'ordine delle cause legittime di prelazione (art. 84, commi 5 e 6, CCII, già art. 160, comma 2, l. fall.), lascia ancora aperta la questione dell'applicabilità della par condicio creditorum. Ovvero quella di stabilire se le risorse provenienti dalla finanza esterna debbano essere distribuite in modo paritario tra tutti i creditori chirografari (compresi i privilegiati per la parte incapiente), senza la possibilità di un utilizzo selettivo in favore di uno o più creditori specificamente individuati.

Difatti, mentre l'ordine delle cause di prelazione disciplina la distribuzione del patrimonio tra creditori di rango diverso, la regola della par condicio creditorum disciplina il modo in cui le risorse vengono distribuite tra creditori di pari rango.

Una parte della dottrina ha escluso che la regola della par condicio creditorum possa essere utilizzata quale limite alla possibilità di utilizzo selettivo della finanza esterna in favore di taluni creditori: anche alla luce della possibilità di suddividere i creditori in classi, è sufficiente osservare che l'ordinamento non impone alcun criterio di eguaglianza nella distribuzione tra i creditori dell'eventuale plusvalore derivante dal concordato, a condizione che nessuna classe subisca un trattamento deteriore rispetto alle alternative concretamente praticabili.

Non è richiesto, infatti, che tutti i creditori ottengano un trattamento vantaggioso al pari degli altri, ma unicamente che nessuno dei creditori ottenga, in sede di concordato, un trattamento pregiudizievole rispetto agli scenari alternativi.

Configurando la finanza esterna in termini di plusvalore derivante dal concordato, in quanto risorse ulteriori rispetto al patrimonio del debitore che costituisce la garanzia generica dei creditori, ne consegue la piena legittimità di un'attribuzione discrezionale della stessa in favore solo di alcuni creditori, senza che ciò possa configurare in alcun modo un pregiudizio per gli altri creditori.

Secondo un'altra parte della dottrina, invece, l'esclusione del vincolo di destinazione della finanza esterna secondo il criterio della responsabilità patrimoniale non implica libertà di utilizzo di tali somme oltre il limite segnato dalle regole procedurali del concordato.

In altri termini, il fatto che le somme del terzo non siano da destinarsi ai creditori concorsuali secondo le regole della responsabilità patrimoniale (che imporrebbero il pagamento al creditore con privilegio generale mobiliare sino ad integrale soddisfazione dello stesso prima di qualsivoglia pagamento ai creditori chirografari) non implica un'assoluta libertà di utilizzo di tali somme, giacché deve comunque tenersi conto delle regole generali non della responsabilità patrimoniale, ma della procedura di concordato.

Pertanto, anche la distribuzione di tali somme dovrebbe rispettare il principio della par condicio creditorum, ribadito nella procedura di concordato; né l'utilizzo di tali somme può essere strumentalizzato ai fini della approvazione del concordato da parte di una maggioranza preindirizzata (come potrebbe verificarsi se la finanza esterna fosse riservata per accrescere il trattamento di alcuni soltanto dei creditori chirografari, quelli costituenti la maggioranza).

Finanza esterna e formazione delle classi

La presenza di finanza di terzi nella proposta concordataria esplica i suoi effetti anche in tema di classamento.

Secondo un primo orientamento, l'obbligo di parità di trattamento tra creditori appartenenti alla medesima classe opererebbe solo con riferimento al patrimonio del debitore, con la conseguenza che, in caso di attribuzione delle risorse esterne solo ad alcuni creditori, la diversità di soddisfacimento dei medesimi creditori non imporrebbe l'inserimento in una classe separata.

Un secondo orientamento, invece, sottolinea la necessità di garantire l'omogeneità dell'interesse dei creditori appartenenti alla stessa classe e la genuinità nell'espressione del diritto di voto con l'inserimento in classi separate, il tutto in ossequio del principio della par condicio creditorum, in forza del quale i creditori appartenenti alla stessa classe devono ricevere un eguale trattamento. La necessità di garantire l'omogeneità di trattamento di una classe è presupposto per l'applicazione del principio di maggioranza all'interno della stessa classe.

Ovvero, l'obbligo di trattare in modo eguale i creditori appartenenti alla stessa classe costituisce espressione del diverso principio che impone di garantire l'omogeneità dell'interesse dei creditori della classe, presupposto per l'applicazione del principio di maggioranza all'interno della classe stessa.

Il principio in forza del quale i creditori appartenenti alla stessa classe devono ricevere uguale trattamento non viene meno nel caso di utilizzo di finanza esterna, in guisa che, nel caso di diversità di trattamento di creditori per effetto di un utilizzo selettivo della finanza di terzi, i creditori che ottengono trattamenti differenziati debbono essere inseriti in classi diverse.

In conclusione, la maggior parte della dottrina propende per l'obbligatorietà dell'inserimento in classe separata dei creditori destinatari della finanza esterna, in quanto portatori di interessi propri ed esclusivi rispetto agli altri creditori.

E dunque, qualora gli apporti dei terzi vengano destinati esclusivamente o non proporzionalmente ad uno o più creditori, questi ultimi vanno inseriti in una classe separata, rispetto ai creditori che non beneficiano di tali apporti o ne beneficiano in misura diversa.

Tale obbligo sussiste sia nel caso in cui i creditori beneficiari vengano ad ottenere, per effetto della finanza esterna, una differenza di trattamento rispetto agli altri creditori, sia anche nell'opposta ipotesi in cui i beneficiari, proprio per effetto delle risorse aggiuntive, riescano ad ottenere un trattamento uguale rispetto a quello degli altri.

Da quanto sopra, discende l'obbligatorietà dell'inserimento in classe separata dei creditori che beneficiano della finanza esterna, in quanto portatori di un interesse proprio ed esclusivo rispetto agli altri creditori, al fine di evitare distorsioni nel corretto operare del principio di maggioranza.

Conclusioni

Il principio di neutralità, sancito dalla giurisprudenza di legittimità, comporta che il rispetto delle cause di prelazione e della graduazione dei creditori spiega la sua funzione esclusivamente con riferimento al patrimonio del debitore, sul quale i creditori concorsuali possono eventualmente soddisfarsi in caso di liquidazione giudiziale.

Diversamente, l’apporto del terzo, senza vincolo di restituzione, esula dal rispetto del divieto di alterazione della graduazione dei creditori privilegiati, purché non transiti dal patrimonio del debitore, ovvero non determini l’incremento dell’attivo piuttosto che l’aggravio del passivo.

Per ciò che concerne il classamento, ovvero il rispetto della par condicio creditorum all’interno di un gruppo omogeneo di creditori, risulta predominante l’impostazione dell’inserimento di una classe separata dei creditori che beneficiano dell’apporto del terzo, in modo da garantire la genuinità dell’espressione di voto.

Si tratta di un risultato che si presenta coerente con gli interessi tutelati dal legislatore, garantendo l’autonomia negoziale del debitore nella definizione della proposta di concordato ed accentuando la tutela dei creditori sul piano della correttezza del processo deliberativo.  

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