L’esclusione dalla base imponibile IRPEF del reddito da lavoro dipendente dei lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera: questioni pratiche

29 Marzo 2024

Per i lavoratori marittimi italiani che siano imbarcati su navi battenti bandiera estera, al ricorrere delle condizioni previste dall'art. 5, comma 5, legge n. 88/2001, è escluso dalla base imponibile Irpef il reddito da lavoro dipendente ritratto dallo svolgimento di lavoro marittimo. Il presente contributo si concentra sull'analisi dei due più importanti requisiti previsti dalla norma, cioè quello oggettivo e quello temporale, ricordando che la prova della spettanza dell'esclusione rimane in capo al lavoratore marittimo che voglia avvalersene.

Introduzione

Il presente contributo intende evidenziare due aspetti pratici di fondamentale importanza che sovente emergono in fase di accertamento tributario in materia di reddito da lavoro dipendente ritratto da lavoratori marittimi fiscalmente residenti in Italia che siano imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali quindi non risulta applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale.

Il cuore della trattazione concerne la norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 5, comma 5, della legge 16 marzo 2001, n. 88, secondo cui “Il comma 8-bis dell'articolo 48 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto dall'articolo 36, comma 1, della legge 21 novembre 2000, n. 342, deve interpretarsi nel senso che per i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali, ai sensi dell'articolo 4, comma 1, e dell'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398, non è applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua ad essere escluso dalla base imponibile fiscale il reddito derivante dall'attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di dodici mesi. I lavoratori marittimi percettori del suddetto reddito non possono in alcun caso essere considerati fiscalmente a carico e, se richiedono prestazioni sociali agevolate alla pubblica amministrazione, sono comunque tenuti a dichiararlo all'ufficio erogatore della prestazione, ai fini della valutazione della propria situazione economica”.

Si tratta di un'evidente deroga al principio generale di attrazione in Italia del reddito di lavoro dipendente prodotto all'estero da contribuenti fiscalmente residenti in Italia.

La norma viene comunemente intesa come agevolativa e, in quanto tale, di c.d. stretta interpretazione, con onere della prova, in ordine alla sussistenza dei presupposti di esclusione del reddito, in capo al percipiente.

Alla luce del proliferarsi del contenzioso instauratosi tra marittimi e Uffici, anche in considerazione della giurisprudenza di merito medio tempore formatasi in materia, premesso un inquadramento generale della disciplina, nonché una menzione dei principali aspetti critici di tale regime fiscale, si intende soffermarsi su due aspetti pratici di fondamentale importanza nella materia che ci occupa, cioè:

i) la prova, richiesta dall'Ufficio al marittimo, di aver prestato l'attività lavorativa di cui all'art. 5, comma 5, legge n. 88/2001;

ii) la determinazione effettiva dei giorni in cui tale attività lavorativa è stata prestata, con particolare riferimento alle ferie, ai riposi settimanali ed analoghi.

Inquadramento

L'art. 5, comma 5, legge n. 88/2001 (“per i lavoratori marittimi italiani imbarcati su navi battenti bandiera estera, per i quali … non è applicabile il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale, continua ad essere escluso dalla base imponibile fiscale il reddito derivante dall'attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di dodici mesi” si pone come norma interpretativa della disposizione di cui all'art. all'art. 48, comma 8-bis, TUIR, oggi art. 51.

Tale ultima norma così dispone: “In deroga alle disposizioni dei commi da 1 a 8, il reddito di lavoro dipendente, prestato all'estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell'arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale di cui all'articolo 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398.

La tassazione del reddito da lavoro dipendente derivante dall'attività dei marittimi imbarcati su navi battenti bandiera estera presuppone la fondamentale distinzione tra “navi italiane” e “navi estere”. Ciò perché, rimandando alla normativa di cui al Codice della navigazione e alla prassi di settore, le navi italiane che si trovino in alto mare ed in luogo non soggetto a sovranità di altro Stato sono considerate territorio italiano. Il chiarimento è importante e, dal punto di vista tributario, significa che i redditi dei lavoratori marittimi imbarcati su navi battenti bandiera italiana in acque internazionali non sono considerati prodotti all'estero e, pertanto, sono assoggettabili a tassazione in Italia.

In questo contesto si inserisce la norma di interpretazione autentica in commento, che pone un accento (quasi) esclusivo sul requisito estero della nave, rilevando, anzitutto, che per gli italiani imbarcati su navi straniere non è applicabile, per ovvi motivi, il calcolo sulla base della retribuzione convenzionale: il legislatore, evidentemente consapevole delle difficoltà che potrebbero derivare dall'applicazione di una ritenuta da parte di un sostituto non residente, ha optato per un regime fiscale di apparente vantaggio nei confronti di coloro che, a parità di mansioni svolte a bordo, vedano la regolamentazione del loro impiego affidata ad un contratto estero, quindi potenzialmente meno garantito rispetto ad uno domestico.

Da qui, verosimilmente, l'apparente scarsità di ulteriori specificazioni in ordine ai presupposti per l'applicazione del menzionato regime di vantaggio: la norma di interpretazione autentica, ad avviso chi scrive lungi dal chiarire gli aspetti fondamentali della tassazione dei marittimi in commento, non detta altre indicazioni tranne il riferimento a:

i) il lavoro svolto a bordo delle navi estere;

ii) l'arco temporale di 183 giorni.

Si tratta quindi di capire cosa si debba intendere con il concetto di “attività prestata su tali navi (quelle battenti bandiera estera, ndr) per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di dodici mesi”.

Il lavoro marittimo: il requisito oggettivo

Come anticipato, trattandosi di norma di c.d. stretta interpretazione, l'Agenzia delle Entrate richiede, in sede di accertamento per lo più relativo ad omesse dichiarazioni di redditi da parte dei marittimi, una prova, di segno positivo, relativa all'aver svolto l'attività, ovviamente per almeno 183 giorni, a bordo di una nave.

Il primo problema interpretativo che sorge è quello relativo a cosa significhi lavorare a bordo di una nave.

Come facilmente intuibile, non pare possano sussistere dubbi di sorta in ordine alle fasi di effettiva navigazione di un'imbarcazione, periodo nel quale il marittimo, insieme con l'equipaggio, si trova necessariamente a bordo, trovandosi la nave a solcare il mare e, conseguentemente, ad integrare in pieno il requisito oggettivo dell'esclusione.

Posta così, la norma pare non suscitare particolari problemi di natura applicativa, rilevando che- effettivamente- un marittimo è uomo di mare e, per ciò stesso, si presuppone che vada, appunto, per mare.

In realtà, si pongono fin da subito evidenti problemi di carattere pratico.

Anzitutto, la norma non si preoccupa di regolamentare i periodi in cui la nave si trovi in secca, cioè materialmente fuori dall'acqua. Una nave, invero, una volta che viene armata, cioè una volta che viene equipaggiata e dotata di un Comandante, non necessariamente entra immediatamente a contatto con l'acqua. Tale fase, che si chiama varo, presuppone anche lunghi periodi di preparazione all'attività di navigazione, navigazione che finisce, per dare un inquadramento generale, con l'alaggio, cioè con il materiale innalzamento dell'imbarcazione dell'acqua.

Ipotesi similari a quella appena menzionata si riscontrano nei casi di rimessaggio a seguito di incidente: la maggior parte delle riparazioni, per non dire la quasi totalità, avviene al di fuori dell'acqua.

Altra problematica di carattere pratico che involge l'aspetto oggettivo dell'esclusione è quella che riguarda la qualificazione giuridica del concetto di marittimo. Invero, va rilevato come il concetto di marittimo sia diverso e più ampio di quello di marinaio, perché il termine marinaio indica, generalmente, il personale impiegato a bordo di una nave, mentre il concetto di marittimo comprende anche quei soggetti che operano nel settore nella nautica in generale, come ad esempio coloro che siano addetto ai servizi tecnici nautici o operino presso i porti e sulla terraferma.

Senza voler rilevare, ma nell'applicazione pratica ciò assume particolare rilevanza, che sono marittimi, quindi membri di un equipaggio imbarcato, anche coloro che non svolgono un'attività strettamente nautica, un esempio su tutti, i cuochi.

A proposito di imbarco, visto che la norma interpretativa menziona quei lavoratori marittimi che siano imbarcati su navi battenti bandiera estera, merita rilevare che l'imbarcato è un lavoratore marittimo con un contratto di arruolamento con una società proprietaria di naviglio; quindi, si è marittimi imbarcati non solo nel momento in cui si sale, materialmente, sulla nave, dovendo anticipare tale momento concettuale a quello della stipula del contratto di arruolamento.

Ecco, in questo contesto di evidente commistione tra stretta interpretazione di una norma agevolativa da un lato, nonché di precise e tecniche regolamentazioni marittime che non necessariamente ben si conciliano con le norme tributarie dall'altro, si rileva come l'Ufficio, in sede di accertamento, richieda una prova specifica al marittimo, cioè quella di essere stato a bordo, cioè materialmente sulla nave, per almeno 183 giorni, ovviamente anche non consecutivi, come si dirà in ordine al requisito temporale.

È da premettere che i marittimi hanno normalmente un contratto di lavoro (subordinato), alle dipendenze di un armatore, che prevede un luogo di effettivo svolgimento dell'attività (di regola, la nave), nonché un orario di lavoro, la previsione di giorni di riposo settimanale, le ferie, ecc.

La circostanza appare di significativa rilevanza se si pensa ai periodi in cui la nave non si trova in effettiva navigazione, bensì, per esempio, attraccata in porto. In questi casi, il marittimo ha il diritto, anche per contratto, di scendere a terra una volta terminato l'orario di lavoro.

Ecco, con particolare riguardo a questa tematica, cioè quella della possibilità di scendere a terra terminato l'orario di lavoro, si registrano problematiche concrete di non poco conto. In particolare, si tratta di capire come dimostrare lo svolgimento dell'attività lavorativa quando la nave effettua tratte di navigazione, per esempio, giornaliere, oppure nei casi in cui la nave si trova, in navigazione, con attracco in porti italiani.

Sul punto si è pronunciata, con decisione degna di nota, la Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Lucca. Con la sentenza 6 settembre 2023, n. 183, la Corte ha affermato che “Il dato letterale della norma interpretativa indica che i redditi corrisposti ai lavoratori marittimi italiani che lavorano per più di 183 giorni in un arco temporale di dodici mesi su navi battenti bandiera estera non saranno assoggettati ad imposizione fiscale in Italia; e, nonostante alcune opinioni minoritarie in senso contrario, a prescindere dal luogo geografico e di svolgimento effettivo della prestazione lavorativa, e quindi non rileva la posizione geografica dell'imbarcazione, la navigazione nelle tratte interne od internazionali.

Questa interpretazione è certamente rispondente al dato testuale; una diversa interpretazione che tenga conto della effettiva navigazione in acque internazionali o estere andrebbe contro il significato letterale delle parole e sarebbe di assai ardua applicazione concreta.

Nel caso in esame risulta con certezza che il … ha prestato attività lavorativa ininterrottamente in qualità di comandante su nave battente bandiera estera per oltre 183 giorni, dal … al …: ciò è dimostrato dal contratto di lavoro, dal libretto di navigazione e dalla documentazione della vertenza in materia di lavoro versata in atti.

Del resto, neppure l'Agenzia resistente contesta la sussistenza della effettiva prestazione lavorativa; in verità, eccepisce solamente la circostanza irrilevante che il … si trovasse sul territorio nazionale durante il periodo di imbarco.

La presenza del ricorrente sul territorio nazionale è compatibile con la prestazione lavorativa: evidentemente l'imbarcazione era ormeggiata a Savona e il comandante nelle ore libere da lavoro (come da contratti collettivi) si recava a Viareggio a fare visita alla famiglia …”.

Il principio di diritto espresso, relativo alla compatibilità della presenza del marittimo sul territorio nazionale con la prestazione lavorativa (prestazione la cui remunerazione è esclusa da tassazione) assume particolare importanza, in quanto conferma che il marittimo, al pari degli altri lavoratori, ha diritto al tempo libero una volta terminato l'orario di lavoro.

Quanto, quindi, al requisito oggettivo dell'esclusione in commento, cioè quello della prova di effettiva attività lavorativa a bordo di una nave per almeno 183 giorni nell'arco di dodici mesi, l'Agenzia delle Entrate richiede una dimostrazione, positiva, di essersi trovati sulla nave per almeno i giorni indicati dalla norma; la giurisprudenza richiamata, però, precisa che il marittimo, al pari di ogni lavoratore dipendente, ha il diritto - ovviamente quando la nave si trova attraccata, di scendere a terra una volta terminato l'orario di lavoro, rendendo così irrilevante l'eventuale riscontro della sua presenza sul territorio nazionale, presenza compatibile con lo svolgimento della prestazione lavorativa.

Il lavoro marittimo: il requisito temporale

L'altro profilo che merita essere analizzato, in materia dell'esclusione in commento, è quello che riguarda il requisito temporale. In particolare, la presente trattazione vuole concentrarsi su un aspetto ancora controverso e che non risulta, almeno al momento, ancora affrontato in via giudiziale.

Premesso che risulta oggi pacifico che il riferimento all'arco temporale dei dodici mesi non debba necessariamente coincidere né con l'anno solare né con l'anno d'imposta, trattandosi di un evidente richiamo al periodo di imbarco, ricordato che i 183 giorni menzionati dalla norma non devono conteggiarsi in via continuativa, ben potendo essere divisi in più “periodi” nell'arco dell'anno, ciò che merita essere rilevato è che i marittimi, in quanto lavoratori parti di un contratto di imbarco, hanno diritto alle ferie, ai permessi, ai riposi settimanali e similari.

Ciò assume particolare importanza laddove si rapporti: i) da un lato, ai periodi di stretta navigazione, nei quali- ovviamente- non possono essere goduti i giorni di riposo settimanale contrattualmente previsti e durante i quali- ovviamente- maturano le ferie; ii) dall'altro lato, l'interrogativo che ci si pone è quello relativo alla cumulabilità di tali giorni al fine del computo dei 183 giorni.

Sul punto, risulta intervenuta la prassi dell'Agenzia delle Entrate ma, va detto, pare che tale prassi non venga correttamente valorizzata, dagli Uffici, in sede di accertamento.

In ordine all'art. 51, comma 8-bis, Tuir, richiamato dalla norma di interpretazione autentica in commento, l'Agenzia delle Entrate ha diramato la Circolare 16 novembre 2000, n. 207/E, dove è stato chiarito che “per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, si fa presente che il periodo da considerare non necessariamente deve risultare continuativo: è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all'estero per un minimo di 183 giorni nell'arco di dodici mesi. Appare opportuno precisare che il legislatore con l'espressione ‘nell'arco di dodici mesi' non ha inteso far riferimento al periodo d' imposta, ma alla permanenza del lavoratore all'estero stabilita nello specifico contratto di lavoro, che può anche prevedere un periodo a cavallo di due anni solari. Per l'effettivo conteggio dei giorni di permanenza del lavoratore all'estero rilevano, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi”.

L'assunto risulta non solo particolarmente importante ma anche in grado, potenzialmente, di determinare l'esclusione o meno da tassazione nel caso di imbarchi di durata di poco inferiore a 183 giorni.

Si pensi, invero, alle ferie che il marittimo matura durante lo svolgimento di un proprio incarico lavorativo di durata quintile, oltre ai riposi settimanali di cui non può godere perché in mare.

L'interrogativo è stato sollevato dalla Federazione Italiana Trasporti, Settore Marittimo e Pesca, sezione Campania, che ha richiesto in materia un parere all'Agenzia delle Entrate, da quest'ultima pubblicato in data 14 febbraio 2006, evidenziando che “… per quanto attiene al caso specifico dei marittimi, vale notare che essi non possono godere, durante il periodo d'imbarco, né di giorni festivi né di giorni di riposo settimanale, né tanto meno di giorni di ferie …”.

La risposta dell'Amministrazione, resa con nota prot. 2005/187866 del 14 febbraio 2006, ha definitivamente chiarito che, ai marittimi in commento, si applichino le indicazioni già contenute nella Circolare n. 207/E/2000, con ciò precisando che, ai fini del computo del periodo di 183 giorni, vanno conteggiate le giornate retribuite e maturate nel periodo d'imbarco, anche fruite a terra trattandosi di riposi o di periodi di malattia o infortunio: “Al fine di dare soluzione alla questione, l'art. 5, comma 5, della legge n. 88 del 2001 … ha stabilito che il comma 8-bis dell'art. 51 del Tuir “deve interpretarsi …”. Pertanto, il reddito derivante dall'attività prestata su tali navi per un periodo superiore a 183 giorni nell'arco di dodici mesi continua ad essere escluso dalla base imponibile fiscale.

Al riguardo si ritiene che tornino utili i chiarimenti forniti con la Circolare n. 207 del 2000 in materia di determinazione convenzionale del reddito di lavoro dipendente prestato all'estero … Per quanto concerne il computo dei giorni di effettiva permanenza del lavoratore all'estero, la menzionata circolare n. 207 del 2000 ha chiarito che il periodo da considerare non deve necessariamente essere continuativo: è sufficiente che il lavoratore presti la propria opera all'estero per un minimo di 183 giorni nell'arco di dodici mesi …

Sempre in relazione al computo dei giorni di permanenza del lavoratore all'estero, è stato precisato che, in ogni caso, nel computo dei 183 giorni, vanno inseriti il periodo di ferie, le festività, i riposi settimanali e gli altri giorni non lavorativi, indipendentemente dal luogo in cui sono trascorsi.

In sostanza, ai fini del computo del periodo di 183 giorni vanno conteggiate le giornate retribuite e maturate nel periodo d'imbarco, anche fruite a terra trattandosi di riposi o di periodi di malattia o infortunio”.

Secondo la prassi dell'Amministrazione finanziaria, quindi, nel computo dei 183 giorni rientrano anche le giornate retribuite e maturate nel periodo d'imbarco, anche se sono state fruite a terra, quindi successivamente al periodo di effettiva navigazione. Con ciò rilevando, quindi, la possibilità di cumulare, ai giorni di effettivo svolgimento di prestazione lavorativa sulla nave, i giorni di ferie maturati e di riposo non goduti durante la navigazione

In conclusione

La legge n. 88/2001, al comma 5 del suo articolo 5, nel lodevole intento di provare a chiarire l'ambito di applicazione di un particolare regime fiscale di esclusione, lascia aperti, come visto, molteplici interrogativi, rimettendo così alla giurisprudenza il compito di delineare i confini dei due presupposti (oggettivo e temporale), nonché il perimetro applicativo dell'esclusione.

Le criticità maggiori si riscontrano nel concetto di “attività prestata su tali navi”, in particolar modo nei periodi in cui la nave si trovi in secca. Come visto, gli Uffici richiedono una necessaria presenza a bordo della nave del marittimo che invochi l'esclusione da tassazione del proprio reddito, spingendo nella direzione di accordare l'agevolazione sull'equazione lavoro marittimo = navigazione.

Si rimane quindi in attesa di chiarimenti diretti in ordine a cosa debba intendersi, correttamente, per attività prestata su tali navi, con particolare riguardo all'attività prestata, sulle navi, quando le stesse non si trovino a navigare o, più radicalmente, quando le stesse siano sì armate ma non nell'acqua. Ricordando che, quanto meno in ordine al requisito temporale, la prassi pare aver chiarito, in maniera definitiva, come debbano essere conteggiati i 183 giorni richiamati dall'art. 5, comma 5, legge n. 88/2001.