Gli obblighi di custodia del curatore

03 Aprile 2024

La pronuncia in commento affronta il tema della responsabilità del curatore connessa al dovere di custodia dei beni facenti parte della massa fallimentare, costituente una specificazione del dovere generico di corretta amministrazione.

Massime

Nella vendita forzata, pur non essendo ravvisabile un incontro di consensi, tra l'offerente ed il giudice, produttivo dell'effetto traslativo, essendo l'atto di autonomia privata incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, l'offerta di acquisto del partecipante alla gara costituisce il presupposto negoziale dell'atto giurisdizionale di vendita; con la conseguente applicabilità delle norme del contratto di vendita non incompatibili con la natura dell'espropriazione forzata, quale l'art. 1477 c.c., concernente l'obbligo di consegna della cosa da parte del venditore. Ne deriva che, in relazione allo ius ad rem (pur condizionato al versamento del prezzo), che l'aggiudicatario acquista all'esito dell'iter esecutivo, è configurabile un obbligo di diligenza e di buona fede dei soggetti tenuti alla custodia e conservazione del bene aggiudicato, così da assicurare la corrispondenza tra quanto ha formato l'oggetto della volontà dell'aggiudicatario e quanto venduto. Pertanto, qualora l'aggiudicatario lamenti che l'immobile aggiudicato sia stato danneggiato prima del deposito del decreto di trasferimento, il giudice è tenuto a valutare la censura dell'aggiudicatario medesimo, diretta a prospettare la responsabilità del custode (nella specie, della curatela fallimentare che aveva proceduto alla vendita forzata), in base ai principi generali sull'adempimento delle obbligazioni (art. 1218 c.c.), per inadeguata custodia del bene posto in vendita, fino al trasferimento dello stesso.

Il curatore risponde delle proprie obbligazioni nei confronti dell'aggiudicatario (tra le quali rientra quella di cui all'art. 1477 c.c., di consegna del bene nello stato in cui si trovava al momento della vendita forzata) anche nel caso in cui abbia delegato ad altro soggetto la funzione di custodia dell'immobile rientrante nell'attivo fallimentare, sicché, a norma dell'art. 1218 c.c., su di lui incombe la prova della non imputabilità a sé (o ai suoi ausiliari) dell'inadempimento di tale obbligazione.

Il caso

Il provvedimento in commento è stato emesso all'esito di un giudizio di opposizione allo stato passivo di un fallimento, promosso dall'acquirente di un immobile (nella specie, un capannone industriale) facente parte della massa fallimentare, aggiudicato all'esito di una procedura esecutiva avviata nei confronti del fallito da una banca creditrice, nella quale il curatore era subentrato ai sensi dell'art. 107, sesto comma, l. fall.

Nella specie, il ricorrente aveva chiesto l'ammissione al passivo fallimentare di un proprio credito risarcitorio, deducendo di aver riscontrato la presenza di gravi danneggiamenti dell'immobile acquistato, verificatisi nelle more della procedura fallimentare, in epoca successiva all'emissione del decreto di trasferimento, tali da pregiudicarne la funzionalità e imputabili alla curatela, la quale, oltre ad averlo immesso tardivamente nel possesso del bene, in conseguenza della necessità di sgomberare i locali dai macchinari e dagli impianti ivi presenti, non avrebbe ottemperato ai propri doveri di custodia dello stesso.

La domanda era stata rigettata dal Giudice Delegato, con provvedimento successivamente confermato dal tribunale all'esito del  giudizio ex art. 98 l. fall., sul presupposto dell'inesistenza di una condotta negligente da parte della curatela, tenuto conto, tra l'altro, che quest'ultima aveva temporaneamente affidato il complesso aziendale di cui l'immobile faceva parte a un custode (mentre in precedenza il giudice dell'esecuzione aveva nominato quale custode dell'immobile pignorato il debitore esecutato poi fallito). All'esito dell'impugnazione proposta dall'instante ai sensi dell'art. 99, ultimo comma, l. fall., la Suprema Corte ha cassato con rinvio il provvedimento del tribunale, sulla scorta dei principî espressi nelle massime sopra riportate.     

Le questioni giuridiche e la soluzione

Nel provvedimento in commento la Cassazione ha sancito il principio per cui il curatore risponde dei danni arrecati a terzi (nella specie, all’aggiudicatario di un bene immobile facente parte della massa fallimentare) in conseguenza della violazione del proprio dovere di custodia dei beni appresi al fallimento, in applicazione dei principî generali in materia di adempimento delle obbligazioni; né, secondo la Suprema Corte, osta all’operatività dei suddetti principî generali la circostanza che il curatore abbia delegato la custodia dei medesimi beni a un terzo, posto che egli è chiamato a rispondere anche del fatto dei propri ausiliari o coadiutori.     

Osservazioni

La pronuncia in commento affronta il tema della responsabilità del curatore connessa al dovere di custodia dei beni facenti parte della massa fallimentare, costituente una specificazione del dovere generico di corretta amministrazione. Detta responsabilità, nella vigenza della legge fallimentare, trovava il suo fondamento nel combinato disposto di alcune norme (poi transitate, sostanzialmente invariate, nella disciplina della liquidazione giudiziale contenuta nel codice della crisi di impresa e dell'insolvenza attualmente vigente), e segnatamente:

  1. dell'art. 31 l. fall., che attribuisce al curatore l'amministrazione del patrimonio fallimentare;
  2. dell'art. 38 l. fall., il quale impone al curatore di adempiere ai doveri del proprio ufficio con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico;
  3. dell'art. 42 l. fall., in forza del quale la sentenza dichiarativa di fallimento (e ora della liquidazione giudiziale) priva il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (cd. spossessamento), con conseguente acquisizione degli stessi alla massa;
  4. dell'art. 88 l. fall., che disciplina la presa in consegna dei beni del fallito da parte del curatore.

Ciò posto, la violazione del dovere di custodia fa sorgere in capo al curatore, innanzitutto, una responsabilità nei confronti dei creditori concorsuali per il pregiudizio arrecato al patrimonio della massa, che viene fatta valere, in corso di procedura, mediante l'azione di responsabilità prevista dall'art. 38, secondo comma, l. fall.; azione, quest'ultima, che presuppone la previa cessazione dell'incarico del curatore, a seguito della sua revoca (ma anche, secondo la giurisprudenza, delle sue dimissioni volontarie: cfr. Cass. civ 8 settembre 2011, n. 18438), e il cui esercizio spetta al nuovo curatore a lui subentrato (o, in caso di ingiustificata inerzia di quest'ultimo, al fallito: cfr. Cass. civ. 15 ottobre 2018, n. 25687).

La natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilità in oggetto è particolarmente controversa; trattasi, evidentemente, di questione di rilievo tutt'altro che secondario, in quanto idonea a condizionare la disciplina dell'onere della prova e il termine prescrizionale dell'azione. La dottrina e la giurisprudenza sembrano propendere per la natura contrattuale di tale  responsabilità, in quanto conseguente all'inadempimento di specifici obblighi relativi al rapporto che intercorre tra il curatore e la procedura (in tal senso, in giurisprudenza, Cass., 5 aprile 2001, n. 5044 e Cass., 11 febbraio 2000, n. 1507, e in dottrina G. D'Attorre, Commento all'articolo 38, in A. Nigro-M. Sandulli (a cura di), La riforma della legge fallimentare, Torino 2006, 248); in senso contrario si è però espressa altra parte della dottrina, secondo cui la responsabilità del curatore, al pari della responsabilità degli amministratori ex art. 2394 c.c., è responsabilità nei confronti del ceto creditorio nel suo complesso inteso e, quindi, responsabilità extracontrattuale, nel cui solco la cagionata insufficienza patrimoniale ovvero il cagionato margine di aggravamento della pregressa insufficienza costituiscono null'altro se non lesione, “patrimonialisticamente” intesa, delle complessive ragioni di credito che convergono in sede concorsuale” (così, L. ABETE, Commento Sub art. 38, in Il nuovo diritto fallimentare, diretto da A. Jorio, Bologna 2006, 649; in termini analoghi, si veda anche G. Caselli, Fallimento, “Organi del Fallimento”, XIII, Roma 1989, 13).  

Ma la condotta negligente del curatore, che sia venuto meno al dovere di corretta amministrazione del patrimonio fallimentare, può essere fonte di responsabilità anche nei confronti dei terzi direttamente danneggiati da tale condotta, come avvenuto nel caso deciso dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento, in cui la pretesa risarcitoria è stata avanzata dall'aggiudicatario di un immobile facente parte della massa fallimentare e già oggetto di una procedura esecutiva individuale, poi proseguita dal curatore ai sensi dell'art. 107, comma 6, l. fall. In un simile caso, legittimato ad avanzare la pretesa risarcitoria è il terzo danneggiato, nel cui patrimonio si sono prodotti gli effetti pregiudizievoli della condotta del curatore. Il relativo credito risarcitorio può essere fatto valere, innanzitutto, nei confronti della procedura fallimentare, mediante la proposizione di un'istanza di ammissione al passivo in prededuzione ex art. 111 l. fall., come avvenuto nella fattispecie portata all'esame della Suprema Corte; il che però espone il danneggiato al rischio che la propria pretesa possa restare in tutto o in parte insoddisfatta in caso di insufficienza dell'attivo fallimentare.

A quest'ultimo proposito, si ritiene che il terzo – il quale abbia subito un danno in conseguenza della condotta negligente del curatore, ossia un danno che non sia il semplice riflesso del pregiudizio subito dal patrimonio fallimentare – possa esercitare, anche durante la procedura, un'azione di responsabilità direttamente nei confronti del curatore, avente caratteristiche analoghe all'azione ex art. 2395 c.c. nei confronti degli amministratori di s.p.a. (in tal senso, cfr. G. D'Attorre, Commento all'articolo 38, in La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro, Torino 2010, 528); la responsabilità del curatore deducibile in tale sede ha necessariamente natura extracontrattuale, con tutte le conseguenze del caso in tema di onere della prova (che diverrebbe più gravoso, non operando la presunzione di colpa di cui all'art. 1218 c.c.) e termine prescrizionale, che si ridurrebbe a cinque anni in luogo dell'ordinario termine decennale applicabile in materia di inadempimento contrattuale.  

Altro tema affrontato dalla pronuncia in commento è quello della responsabilità del curatore per il fatto del proprio coadiutore o ausiliario. A quest'ultimo proposito, le norme di riferimento, entrambe richiamate dalla Suprema Corte nella motivazione della pronuncia in oggetto, sono

  1. l'art. 1228 cod. civ., che come noto sancisce la responsabilità del debitore per il fatto degli ausiliari di cui si sia avvalso nell'adempimento dell'obbligazione;
  2. l'art. 32, secondo comma, l. fall. (oggi sostituito dall'art. 129 CCII, avente analogo tenore), il quale prevede che il comitato dei creditori può autorizzare il curatore a farsi coadiuvare da tecnici o da altre persone retribuite, compreso il fallito, sotto la propria responsabilità.

Ciò posto, nel provvedimento in commento la Cassazione ha fatto applicazione delle norme sopra richiamate, affermando che, nella vendita concorsuale, è il curatore a rispondere degli obblighi di custodia nei confronti dell'aggiudicatario (tra i quali rientra quello di cui all'art. 1477 c.c., avente ad oggetto la consegna del bene nello stato in cui si trovava al momento della vendita forzata), anche nel caso in cui abbia delegato ad altro soggetto la funzione di custodia dell'immobile rientrante nell'attivo concorsuale e oggetto di espropriazione singolare, sicché incombe sullo stesso curatore, ai sensi dell'art. 1218 c.c., la prova della non imputabilità a sé (o ai suoi ausiliari) dell'inadempimento di tale obbligazione.

Il principio sopra enunciato non preclude però, qualora il curatore si sia avvalso di un collaboratore non autorizzato senza vigilare sul suo operato, la possibile configurabilità di una responsabilità a carico di quest'ultimo soggetto, in solido con il curatore, laddove riconosciuto responsabile degli addebiti contestati (sul punto, cfr., tra le altre, Cass. civ. 17 febbraio 2014, n. 3706).   

Infine, i principî sopra illustrati devono essere coordinati con la disciplina applicabile alla custodia dei beni oggetto di un'esecuzione individuale pendente alla data dell'apertura della procedura concorsuale. Nulla quaestio nell'ipotesi in cui la procedura esecutiva venga proseguita dal curatore, in assenza di creditore fondiario, ai sensi dell'art. 107, comma 6, l. fall. (ora sostituito dall'art. 216, comma 10, CCII), come avvenuto nella fattispecie oggetto del provvedimento in esame; in tal caso, infatti, opera il principio, enunciato nel medesimo provvedimento, secondo cui il curatore, quale amministratore del patrimonio fallimentare, diviene custode del bene a partire dalla data di apertura della procedura (in tal senso, si veda anche Cass., 8 maggio 2009, n. 10599). Naturalmente il medesimo principio vale a fortiori nell'ipotesi in cui il curatore, anziché subentrare nella procedura esecutiva pendente, opti per la vendita del bene in sede concorsuale, previa declaratoria di improcedibilità dell'esecuzione; è invece dubbio se esso possa estendersi anche all'ipotesi in cui l'esecuzione venga proseguita dal creditore fondiario successivamente all'apertura della procedura concorsuale, in forza della deroga al divieto di prosecuzione delle procedure esecutive individuali prevista dall'art. 41 TUB. La tesi affermativa appare preferibile, alla luce, innanzitutto, del già citato art. 31 l. fall. (oggi art. 138 CCII), il quale attribuisce al curatore l'amministrazione di tutti i beni compresi nell'attivo fallimentare, senza eccezione alcuna. A ciò si aggiunga che lo scopo della prosecuzione della procedura esecutiva individuale ex art. 41 TUB, che come noto è quello di consentire al creditore fondiario di soddisfare il proprio credito senza attendere i tempi del riparto concorsuale, non appare incompatibile con il subentro del curatore nella custodia del bene pignorato; ciò senza dire che quest'ultima soluzione appare preferibile rispetto alla nomina quale custode di un soggetto terzo anche in un'ottica di contenimento dei costi della procedura. Di conseguenza, sembra potersi affermare che anche in quest'ultima ipotesi il curatore possa essere chiamato a rispondere di eventuali danni subiti dalla massa dei creditori o da terzi in conseguenza della violazione del dovere, su di lui gravante, di custodia del bene pignorato facente parte della massa fallimentare.   

Guida all'approfondimento

Per comodità di consultazione, i precedenti giurisprudenziali più rilevanti sono stati citati nel corpo del commento.

In dottrina, sulla responsabilità del curatore nella vigenza della legge fallimentare, in aggiunta ai contributi richiamati nel commento, si veda, su questo portale, D. Fico, Responsabilità del curatore nel fallimento; sugli obblighi di custodia facenti capo al curatore a seguito del subentro di quest'ultimo nella procedura esecutiva individuale, si veda F. De Santis, Relazioni normative ed interferenze pratiche tra le liquidazioni concorsuali e le esecuzioni individuali, in Fall., 2023, 10, 1261.

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