Deducibilità dei debiti del de cuius
11 Aprile 2024
La disciplina contenuta nel Testo Unico Successioni e Donazioni prevede che la dichiarazione deve essere presentata entro 12 mesi dall'apertura della successione e che ne sono esonerati il coniuge e i parenti in linea retta del de cuius qualora l'attivo ereditario non superi il valore di 100.000 euro e non comprenda beni immobili o diritti reali immobiliari. Con riferimento alle passività deducibili, la normativa (art. 20 TUS) parrebbe individuarle, in linea generale e senza esclusioni, nei debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione e nelle spese mediche e funerarie. Una delle principali condizioni per la deducibilità delle passività è che i debiti del defunto risultino da atto scritto di data certa anteriore all'apertura della successione o da provvedimento giurisdizionale definitivo. Tuttavia, tale regola generale verrebbe derogata e limitata dalle successive disposizioni (art. 22 TUS) secondo cui «non sono deducibili i debiti contratti per l'acquisto di beni o di diritti non compresi nell'attivo ereditario; se i beni o i diritti acquistati vi sono compresi solo in parte la deduzione è ammessa proporzionalmente al valore di tale parte». La portata di tale disposizione derogatoria della regola generale ha alimentato nel corso del tempo il dibattito giurisprudenziale che è sfociato in alcuni pronunciamenti della Corte di Cassazione che hanno fornito importanti chiarimenti nel senso che, in linea generale, sono deducibili tutti i debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione, senza esclusione, purché sussistano le condizioni e le dimostrazioni richieste dalla disciplina di riferimento. I giudici di legittimità hanno, poi, ritenuto che la supposta deroga di cui al citato art. 22 TUS vada in realtà a disciplinare particolari ipotesi di non deducibilità di alcuni debiti (o di deducibilità a determinate condizioni), come quelli contratti per l'acquisto di beni o diritti non compresi nell'attivo ereditario. Tale lettura sistematica della disciplina di riferimento ha portato i giudici di piazza Cavour ad affermare che, ai fini della deducibilità, non è necessario che i debiti siano stati contratti in relazione a beni di proprietà del defunto, e compresi nell'attivo ereditario, ben potendo essere deducibili anche debiti diversi da questi, ove ricorrano i presupposti indicati nelle altre disposizioni richiamate. Sono state, ad esempio, considerate deducibili dalla S.C. le passività correlate ad un mutuo contratto non per l'acquisto di beni o di diritti ma per una ristrutturazione. In tale circostanza, chiariva la S.C., non poteva venire in rilievo il più volte citato art. 22 - secondo cui non sono deducibili i debiti contratti per l'acquisto di beni o di diritti non compresi nell'attivo ereditario – e, dunque, non poteva rilevare il profilo della titolarità dei beni della cui ristrutturazione si fosse trattato. «Il profilo rilevante era unicamente quello della titolarità del debito in capo al defunto». Tale indirizzo giurisprudenziale è stato anche recepito dalla stessa prassi dell'Amministrazione finanziaria (v. risposta ad interpello n. 342 del 11/09/2020) che ha dato riscontro positivo ad un contribuente che aveva avanzato istanza preventiva rispetto all'inserimento in dichiarazione, a titolo di passività, anche di un debito del de cuius non legato all'acquisto dei beni caduti in successione, bensì utilizzato per la sua ristrutturazione del bene stesso, rappresentato dal 50% della quota del mutuo. L'A.F. ha risposto che ai fini della corretta applicazione dell'art. 22 TUS occorre la duplice circostanza: a) che il debito del de cuius sia stato contratto per l'acquisto di specifici beni e/o diritti; b) che tali beni e/o diritti non siano compresi nell'attivo ereditario. |