Il provvedimento di chiusura dell'espropriazione immobiliare e la sua revocabilità

04 Aprile 2024

La questione posta al vaglio della terza sezione della Corte di cassazione riguarda l'individuazione del momento conclusivo del procedimento di espropriazione immobiliare, e, conseguentemente, del momento fino al quale il g.e. può revocare ai sensi dell'art. 487 c.p.c. un proprio provvedimento.

Massima

L'espropriazione immobiliare si conclude con il provvedimento con cui il g.e., preso atto dell'approvazione del progetto di distribuzione ai sensi dell'art. 598 c.p.c., ovvero risolvendo le contestazioni avanzate dai creditori concorrenti e/o dal debitore esecutato a norma dell'art. 512 c.p.c., dichiara l'esecutività del progetto, ordinando il pagamento delle singole quote in favore degli aventi diritto. Ne consegue che il provvedimento conclusivo del processo, che non sia stato opposto ex art. 617 c.p.c. dalla parte interessata, è suscettibile di revoca ai sensi dell'art. 487 c.p.c. (ove ne sussistano i presupposti, e sempre che ad esso non sia stata frattanto data esecuzione, con l'emissione e l'incasso dei mandati di pagamento) solo se la revoca stessa sia esercitata entro venti giorni dall'adozione del provvedimento, se emesso in udienza, o dalla sua comunicazione se proveniente da riserva; in caso contrario l'esercizio della revoca comporterebbe l'elusione della intervenuta decadenza dal potere di proporre l'opposizione distributiva in cui la parte interessata è a tal punto già incorsa. 

Il caso

In una procedura esecutiva immobiliare pendente dinanzi al Tribunale di Padova, la posizione processuale del creditore procedente veniva assunta -in parziale sostituzione- dapprima da una società che interveniva ex art. 511 c.p.c., e, successivamente, per il credito residuo, dalla curatela fallimentare in seguito alla sopraggiunta dichiarazione di fallimento del procedente. Con ordinanza dell'8 maggio 2019, il giudice dell'esecuzione approvava il progetto di distribuzione e attribuiva il ricavato in favore della curatela del fallimento del creditore procedente, quale ipotecario di primo grado, salva la sostituzione ex art. 511 c.p.c. operata dalla società intervenuta per l'importo portato dall'intervento, importo oggetto di distinto ordine di pagamento impartito al custode giudiziario. A seguito di richiesta di chiarimenti del professionista delegato e instaurato il contraddittorio tra i creditori concorrenti, il g.e. - con successiva ordinanza del 24 ottobre 2019 - revocava in parte il progetto di distribuzione già approvato, dichiarava l'improcedibilità dell'intervento della società ex art. 51 l. fall. e attribuiva l'intero ricavato alla curatela del fallimento.

Proposta opposizione ai sensi degli artt. 617/512 c.p.c. e introdotto il giudizio di merito, il Tribunale patavino, con sentenza del 14 aprile 2021, ha confermato l'ordinanza del 24 ottobre, statuendo che l'attribuzione delle somme in favore del creditore sub-collocatario avrebbe richiesto un nuovo progetto di distribuzione e che tale attribuzione si poneva in contrasto con gli artt. 51 e 52 l. fall., che impongono l'accertamento di ogni pretesa vantata dai creditori nei confronti del fallito nell'ambito della procedura concorsuale, non potendosi proseguire le già intraprese azioni esecutive. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società sub collocataria per violazione, tra gli altri, dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.  e degli artt. 487-511 c.p.c. e 51 l. fall., con riferimento all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.

La questione 

La questione posta al vaglio della terza sezione della Corte di cassazione riguarda l'individuazione del momento conclusivo del procedimento di espropriazione immobiliare, e, conseguentemente, del momento fino al quale il g.e. può revocare ai sensi dell'art. 487 c.p.c. un proprio provvedimento.

Le soluzioni giuridiche

Il processo di esecuzione si differenzia dall'ordinario processo di cognizione in quanto risulta essere costituito non da una sequenza di atti preordinati a un unico provvedimento finale, ma da tanti subprocedimenti finalizzati all'emanazione di distinti provvedimenti ordinatori diretti al raggiungimento dello scopo del singolo sub processo (ex multis Cass. civ, sez. III, 26 luglio 2023 n. 22715, Cass. civ., sez. un., 14 dicembre 2020, n. 28387). Eventuali contestazioni aventi ad oggetto il provvedimento che segna il momento conclusivo del procedimento esecutivo (diverso da un provvedimento di estinzione tipica, oggetto solo di reclamo ex art. 630 c.p.c.) vanno proposte entro venti giorni dalla sua adozione (se resa in udienza) o dalla sua conoscenza legale o di fatto, nella forma dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. Conseguentemente, la mancata proposizione di tali rimedi rende il provvedimento pronunciato definitivo, inoppugnabile e altresì irrevocabile da parte dello stesso giudice che lo ha pronunciato.

Applicando tali principi, la Corte, preliminarmente, ha evidenziato che la mancata proposizione dell'opposizione avverso l'ordinanza con cui si era disposto il pagamento delle somme in favore del sub-collocatario in parziale sostituzione della curatela (8 maggio), aveva reso tale provvedimento irreversibilmente inoppugnabile, anche se adottato in contrasto con l'art. 51 l. fall.

Connessa a tale questione è quella ulteriore della individuazione del momento finale dell'esecuzione immobiliare e della revocabilità del provvedimento di chiusura dell'esecuzione medesima.

Per un primo orientamento, il momento conclusivo dell'esecuzione va individuato nell'ordine di distribuzione e di pagamento, ordine che, pur essendo previsto dall'art. 598 c.p.c., quale adempimento successivo all'approvazione del progetto di riparto, può anche essere emesso contemporaneamente (Cass. civ., sez. III, 28 luglio 2005, n. 15826; conforme Cass. civ. 23 aprile 1982, n. 2534). Tale tesi è stata fatta propria da parte della giurisprudenza per valutare la tempestività dell'intervento dei creditori privilegiati e per negare l'impugnabilità ai sensi dell'art. 630 c.p.c.

Altra giurisprudenza ha ravvisato il momento conclusivo dell'esecuzione immobiliare nel momento dell'effettiva riscossione dei mandati di pagamento al fine, ad esempio, di accertare la rilevanza dell'intervenuto fallimento del debitore esecutato (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2018, n. 19176, Cass. civ., sez. VI, 28 dicembre 2012, n. 23993).

Ad avviso di tale giurisprudenza, l'ordinanza di distribuzione non definirebbe il processo esecutivo, che rimarrebbe pendente fino all'esecuzione del pagamento in favore del creditore assegnatario, continuando il debitore a rimanere proprietario della somma.

Tale ultima tesi si sposa con la necessità di rimodulare la distribuzione in presenza di fatti sopravvenuti o preesistenti ma non noti.

Quanto alla titolarità delle somme in capo al debitore: è l'approvazione del progetto di distribuzione che comporta la definitiva fuoriuscita del denaro ricavato dal patrimonio dell'esecutato.

L'esecuzione forzata immobiliare si conclude, dunque, con il provvedimento con cui il g.e. - preso atto dell'approvazione del progetto di distribuzione ai sensi dell'art. 598 c.p.c. o risolte le eventuali contestazioni a norma dell'art. 512 c.p.c. - dichiara l'esecutività del progetto medesimo, ordinando il pagamento delle singole quote.

La pendenza di un'opposizione distributiva, proposta ai sensi dell'art. 512 c.p.c, non impedisce la chiusura del processo esecutivo, analogamente a quanto accade nel processo ordinario di cognizione in cui la proponibilità del ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudizio di appello non rende il giudizio di appello pendente.

Pertanto, conclusosi il processo esecutivo, il g.e. perde il potere di direzione e di controllo del procedimento medesimo con il provvedimento che dichiara l'esecutività del progetto di distribuzione, ordinando il pagamento delle singole quote.

Ulteriore questione esaminata dalla decisione in commento è se il g.e. conserva il potere ex art. 487 c.p.c. di revoca del provvedimento di chiusura, nonostante il venir meno del suo potere di disporre del procedimento a sé avocato.

Ad avviso della Corte, il g.e. revoca o modifica il provvedimento di chiusura del procedimento esecutivo, ovvero l'ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione, purché non sia decorso il termine di venti giorni per la proposizione dell'opposizione distributiva, ex artt. 617 e 512 c.p.c., e sempre che il provvedimento non sia stata eseguito con l'emissione e l'incasso dei mandati di pagamento in conformità all'art. 487 c.p.c. e al regime preclusivo dallo stesso statuito.

Applicando tali principi al caso esaminato, la Corte ha ritenuto che il Tribunale patavino sia incorso in errore non rilevando che l'ordinanza di approvazione del progetto di distribuzione non avrebbe potuto essere revocata, anche se l'odine di pagamento non era stato eseguito, sia perché era dotata di immediata esecutività in quanto non opposta ex art.617 c.p.c, sia perché il giudice dell'esecuzione aveva perso ogni potere di disporre del processo esecutivo oramai conclusosi definitivamente con la pronuncia di tale provvedimento ed essendo decorsi più di venti giorni dall'adozione del medesimo.

Infine, il Collegio ha precisato che il giudice dell'esecuzione patavino non potrà ordinare al fallimento la restituzione delle somme in conformità all'ordinanza dell'8.5.2019 perché, essendo orami la procedura esecutiva conclusasi, lo stesso non ha più alcun potere di disporre della stessa.

Il Collegio, pertanto, ha accolto il ricorso e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, ha deciso nel merito, ex art. 384, comma 2, c.p.c., con l'accoglimento dell'opposizione agli atti esecutivi e conseguente annullamento dell'ordinanza emessa dal g.e. in data 24 ottobre 2019.

Osservazioni

La sentenza in commento offre lo spunto per alcune importanti riflessioni.

La prima riguarda il contemperamento tra il potere di revoca previsto dall'art. 487 c.p.c e il termine per la proposizione del rimedio dell'art. 617 c.p.c. avverso il provvedimento di chiusura della procedura esecutiva. Il rischio è che, attraverso la revoca del provvedimento di chiusura della procedura esecutiva, si finisca per rimettere in termini la parte già decaduta dal potere di proporre opposizione nel termine ivi prescritto. Il potere di revoca ex art. art. 487 c.p.c. è svincolato rispetto al termine per la proposizione dell'opposizione di cui all'art. 617 c.p.c., ma concorre con esso in quanto il suo presupposto è che il provvedimento revocando non sia stato ancora eseguito.

Sotto altro profilo va segnalato che la Corte cambia il pregresso orientamento anticipando il momento in cui la procedura si chiude, risultando l'incasso delle somme una mera attività materiale e complementare demandata agli organi della procedura.

Riferimenti

A. Carratta, Le controversie in sede distributiva tra “diritto al concorso” e “sostanza” delle ragioni creditorie, in Corr. giur., 2009, 572 ss.

A. Nascosi, Contributo allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli 2013, 1 ss.;

A.A. Romano, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli 2008, 4 ss.;

R. Tiscini, Le controversie distributive di nuova generazione. Riflessioni sulla natura e sui rapporti con altri incidenti cognitivi, in Riv. es. forz., 2015, pp. 18 ss.

S. Vincre, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova 2010, 3 ss.