La competenza del giudice del lavoro nel contratto di agenzia

05 Aprile 2024

Il presente approfondimento esaminerà l'ambito applicativo dell'art. 409 c.p.c. con specifico riferimento alle controversie che involgono i rapporti di agenzia e se, in particolare, rientrino nella cognizione del giudice del lavoro le controversie inerenti l'agenzia quando quest'ultima riguardi un agente che agisce non personalmente ma per conto di una società di cui è parte.

Premessa

Come noto l'art.409 c.p.c. prevede che rientrano nelle controversie «spettanti» al giudice del lavoro quelle relative ai «rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa». Il rapporto di agenzia è disciplinato dal codice civile (art. 1742 e ss c.c.), oltre che dagli accordi collettivi economici sottoscritti con le organizzazioni sindacali. Nel contratto di agenzia l'agente si obbliga a promuovere stabilmente, per conto del preponente, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata. Il contratto deve essere provato per iscritto (forma «ad probationem»).

L'agente può svolgere la propria attività sia personalmente che in forma societaria (attraverso una società di persone o di capitali).

Il presente approfondimento esaminerà l'ambito applicativo dell'art. 409 c.p.c. con specifico riferimento alle controversie che involgono i rapporti di agenzia e se, in particolare, rientrino nella cognizione del giudice del lavoro le controversie inerenti all'agenzia quando quest'ultima riguardi un agente che agisce non personalmente ma per conto di una società di cui è parte.

L'ambito applicativo dell'art. 409 c.p.c. nel contratto di agenzia

L'art. 409 c.p.c. prevede, come detto, al numero 3) che i «rapporti di agenzia, di rappresentanza commerciale ed altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato. La collaborazione si intende coordinata quando, nel rispetto delle modalità di coordinamento stabilite di comune accordo dalle parti, il collaboratore organizza autonomamente l'attività lavorativa». Secondo la disposizione anzidetta ricadono nella competenza funzionale del giudice del lavoro le attività lavorative parasubordinate e, quindi, anche per i rapporti di agenzia, quelle attività professionali caratterizzate da una prestazione di opera continuativa e coordinata «prevalentemente personale». In definitiva se la prestazione lavorativa è caratterizzata da continuità, dalla continuazione e dalla prevalente personalità l'eventuale controversia sarà «attratta» dalla vis giurisdizionale del giudice del lavoro. L'attività lavorativa è continuativa quando essa non è occasionale ed è connotata da una certa durata. E' coordinata quando si svolge attraverso un collegamento intenso e funzionale con l'organizzazione del preponente per la quale il lavoratore è tenuto a raggiungere un determinato risultato. La prestazione deve essere svolta personalmente e in via autonoma ossia il lavoratore deve predeterminare ex se le modalità e l'organizzazione del proprio lavoro, non essendo obbligato ad osservare un determinato orario di lavoro né ad osservare direttive dettagliate da parte del preponente. Diversamente vi sarebbe un rapporto di subordinazione. Il rapporto di agenzia è per sua natura connaturato con la coordinazione e la continuazione dovendo, invece, verificarsi l'elemento della personalità al fine di verificare se la controversia spetti al giudice del lavoro o al giudice ordinario. L'art.1742 c.c. prevede, in particolare, che «Col contratto di agenzia una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la  conclusione di contratti in una zona determinata» mentre l'art.1749 c.c. prevede che «il preponente, nei rapporti con l'agente, deve agire con lealtà e buona fede. Egli deve mettere a disposizione dell'agente la documentazione necessaria relativa ai beni o servizi trattati e fornire all'agente le informazioni necessarie all'esecuzione del contratto: in particolare avvertire l'agente, entro un termine ragionevole, non appena preveda che il volume delle operazioni commerciali sarà notevolmente inferiore a quello che l'agente avrebbe potuto normalmente attendersi. Il preponente deve inoltre informare l'agente, entro un termine ragionevole, dell'accettazione o del rifiuto e della mancata esecuzione di un affare procuratogli». Da tali disposizioni emerge, in maniera inequivocabile, che l'agente si obbliga «stabilmente» (elemento della «continuità») a promuovere la conclusioni di determinati affari per conto del preponente e quest'ultimo si obbliga, come anche l'agente, a determinati obblighi di collaborazione (elemento della «coordinazione»). Tale attività, per rientrare nell'ambito applicativo della para-subordinazione, deve essere connotata dal requisito della «personalità». L'attività deve essere svolta in via autonoma ma «prevalentemente personale». Sul punto la Cassazione, sezione lavoro, con la decisione n. 3113 del 09.02.2009, ha stabilito che affinché possa sussistere la fattispecie giuridica ai sensi dell'art. 409, n. 3, c.p.c., devono sussistere i seguenti tre requisiti: la continuità, che ricorre quando la prestazione non sia occasionale ma perduri nel tempo ed importi un impegno costante del prestatore a favore del committente; la coordinazione, intesa come connessione funzionale derivante da un protratto inserimento nell'organizzazione aziendale o, più in generale, nelle finalità perseguite dal committente e caratterizzata dall'ingerenza di quest'ultimo nell'attività del prestatore; la personalità, che si ha in caso di prevalenza del lavoro personale del preposto sull'opera svolta dai collaboratori e sull'utilizzazione di una struttura di natura materiale.

Nel rapporto di agenzia l'attività di promozione può essere svolta non solo personalmente dall'agente, quale titolare di una impresa individuale, ma anche in forma societaria, nella quale l'agente pur agendo personalmente in realtà assume le proprie obbligazioni come socio della società mandataria. In questi casi quale sarà il giudice funzionalmente competente? Il giudice della cognizione ordinario o il giudice del lavoro? La «differenza», infatti non è di poco rilievo. In caso di controversia dinanzi al giudice ordinario la controversia, ad esempio, verrebbe istaurata osservando le regole processuali per la competenza per territorio disciplinate dagli artt. 19 e 20 c.p.c. mentre dinanzi al giudice del lavoro la competenza per territorio si determinerebbe secondo quando previsto dall'art.413 c.p.c. («Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3) dell'articolo 409 è il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3) dell'articolo 409»).

La giurisprudenza

La prevalente giurisprudenza della Corte di cassazione è ferma nell' affermare che le controversie inerenti ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa sono soggette al rito del lavoro soltanto qualora l'attività dei collaboratore sia caratterizzata da prestazioni di natura prevalentemente personale e che tale requisito manca, con conseguente insussistenza della competenza del giudice del lavoro, nel caso in cui la controversia riguardi un rapporto di collaborazione nel quale, però, l'attività del collaboratore sia esercitata da una società, anche se di persone o irregolare ovvero di fatto, poiché, si afferma, in tal caso, l'attività medesima non è riferibile a persone fisiche e, quindi, non riveste - così come richiesto dall'art. 409, n. 3, c.p.c. - carattere prevalentemente personale (vedasi, ad esempio, Cass. civ. 28 dicembre 2006, n. 27576, nonché Cass. civ. 24 agosto 2007, n. 18040). Di recente la Suprema Corte, con la decisione n.10184 del 30.03.2022, ha ribadito il consolidato orientamento della Cassazione affermando, in particolare, il principio «per cui, in materia di rapporti di agenzia, ove l'agente abbia organizzato la propria attività di collaborazione in forma societaria, anche di persone, o comunque si avvalga di una autonoma struttura imprenditoriale, non è ravvisabile un rapporto di lavoro coordinato e continuativo ai sensi dell'art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c., sicchè non può essere riconosciuta in via automatica la rivalutazione monetaria sulle somme liquidate in favore dell'agente (Cass. civ. n. 3029/2015; Cass. civ. n. 8940/2011)». Nel caso di specie la società ricorrente aveva affermato che la cognizione della causa doveva essere attribuita al giudice del lavoro in quanto l'attività di agenzia era svolta soltanto dal socio accomandatario e non dagli altri soci. La Suprema Corte ha, nella decisione del 2022, stabilito che «in relazione alla deduzione della ricorrente, secondo cui l'attività sarebbe stata essenzialmente svolta dal solo accomandatario, è stato affermato che (Cass. n. 15535/2011) la società in accomandita semplice, quale che ne sia il numero di soci, costituisce comunque un centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici rispetto ai soci stessi; pertanto, concluso un contratto di agenzia tra l'impresa preponente ed una società in accomandita semplice, la controversia sulla risoluzione di tale contratto esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro, a nulla rilevando che uno dei soci abbia materialmente svolto attività personale di agente, in quanto tale attività viene necessariamente mediata dalla società, perdendo il carattere della personalità nei confronti del preponente». In definitiva, quindi, per potersi configurare la competenza del giudice del lavoro in tema di contratti di agenzia è necessario che l'attività di collaborazione sia coordinata e continuativa e venga svolta quanto meno in misura prevalente con il lavoro personale dell'agente, ma tale situazione non ricorre allorché il contratto di agenzia intercorra con una società di capitali o con una società di persone che costituisca un autonomo centro d'imputazione di interessi tra il socio e il preponente, ovvero quando l'agente svolga la propria attività avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere imprenditoriale, in quanto è proprio la creazione di un autonomo centro di imputazione quale costituito dalla società, anche di persone, ad escludere il carattere del rapporto che ne consentirebbe l'inclusione nel novero di quelli disciplinati dall'art. 409, n. 3, c.p.c. In definitiva, quindi, vi è la competenza funzionale del giudice del lavoro soltanto quando l'attività professionale dell'agente sia svolta materialmente e giuridicamente in via prevalentemente personale in quanto, diversamente, con lo schermo societario, l'attività professionale non può ritenersi personale.

Conclusioni

Alla luce della giurisprudenza in materia di rapporti di agenzia, quindi, ove l'agente abbia organizzato la propria attività di collaborazione in forma di società, anche di persone, o, comunque, si avvalga di una autonoma struttura imprenditoriale, non è ravvisabile un rapporto di lavoro coordinato e continuativo ai sensi dell'art. 409, comma 1, n. 3, c.p.c., con conseguente insussistenza della competenza del giudice del lavoro. Deve, infatti, escludersi, ad esempio, che una società in accomandita semplice, che assume la qualità di agente, possa adempiere l'incarico affidatole con una prestazione d'opera prevalentemente personale, a prescindere dal numero e dalla qualità dei suoi soci. Secondo la Cassazione, una società in accomandita semplice, benché priva di personalità giuridica, costituisce comunque un centro autonomo d'imputazione di rapporti giuridici, onde l'eventuale attività personale del singolo socio viene mediata dalla società e perde il carattere della personalità nei confronti del preponente. Agli effetti dell'art. 409, n. 3, c.p.c., quindi, la controversia relativa a tale rapporto di agenzia esula dalla competenza per materia del giudice del lavoro. In altri termini, per potersi configurare la competenza del giudice del lavoro in tema di contratti di agenzia è necessario che l'attività di collaborazione sia coordinata e continuativa e venga svolta quanto meno in misura prevalente con il lavoro personale dell'agente. Tale situazione non ricorre, quindi, quando il contratto di agenzia intercorra con una società di capitali o con una società di persone che costituisca un autonomo centro d'imputazione di interessi tra il socio e il preponente, ovvero quando l'agente svolga la propria attività avvalendosi di una struttura organizzativa a carattere imprenditoriale, seppur rudimentale. A parere dello scrivente appare sicuramente più aderente alla lettera dell'art. 409, n. 3), c.p.c. l'interpretazione prevalente della Suprema Corte in quanto l'impostazione giurisprudenziale di merito minoritaria (vedasi, ad esempio, Pretura di Firenze, sent.n.6 del '98), che ritiene che, a prescindere dallo schermo societario, ciò che conta è la persona che in concreto svolge l'attività di agenzia e se tale attività sia stata svolta in esclusiva per la preponente, non tiene conto della specifica disciplina del codice civile sulle società e sul centro d'imputazione di interessi che sempre sorge tra il socio, anche se svolge in «solitudine» l'attività di agente, e il preponente.

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