La natura della riduzione di pena prevista dall’art. 442, comma 2-bis, c.p.p.

08 Aprile 2024

Può essere rimesso in termini per chiedere la riduzione della pena chi ha proposto impugnazione prima del 30.12.2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022

Massima

La disciplina prevista dall'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. è astrattamente applicabile anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, atteso che, incidendo sul trattamento sanzionatorio e determinando quindi una ridefinizione della pena stessa, ha natura sostanziale.

Il caso

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza del 23.1.2023, confermava la condanna comminata dal Giudice dell'Udienza Preliminare presso il Tribunale di Vicenza nei confronti di alcuni soggetti ritenuti responsabili del delitto di rapina.

Uno degli imputati proponeva ricorso per cassazione esponendo tre motivi di doglianza. Con il primo deduceva l'inosservanza di norme processuali e vizio di motivazione in relazione all'idoneità dei dati telefonici a dimostrare la sua partecipazione al reato contestato. Con il secondo eccepiva l'inosservanza della legge penale, nonché vizio di motivazione, con riguardo all'accertamento dell'elemento soggettivo del delitto di rapina. Con il terzo, infine, lamentava l'inosservanza di norme processuali con riferimento all'art. 442, comma 2-bis, c.p.p., disposizione introdotta con il d.lgs. n. 150/2022 (c.d. riforma Cartabia) che prevede la riduzione di un sesto della pena in caso di rinuncia all'impugnazione: chiedeva quindi di essere rimesso in termini per poter poi fruire in sede esecutiva di tale sconto di pena, essendo la novella entrata in vigore dopo la proposizione dell'appello, ma prima della discussione dinanzi al Giudici di seconde cure.

La seconda sezione della Corte di cassazione riteneva il ricorso inammissibile. I primi due motivi, in particolare, dovevano considerarsi aspecifici in quanto riproponevano le medesime questioni già avanzate con l'atto d'appello; il terzo motivo, invece, veniva ritenuto manifestamente infondato poiché il ricorrente non aveva rinunciato all'atto di appello, così impedendo l'applicazione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p.   

La questione

La pronuncia in commento affronta due temi di particolare rilievo.

Il primo attiene all'inammissibilità per aspecificità dei motivi di ricorso in Cassazione nell'ipotesi in cui, in presenza di una c.d. doppia conforme di sentenza di condanna, vengono articolate doglianze riproduttive delle questioni già sollevate con i motivi di appello.

Il secondo, al quale in questa sede verrà dedicato maggiore spazio, concerne l'ambito di applicazione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p., secondo cui quando né l'imputato, né il suo difensore, hanno proposto impugnazione contro la sentenza resa all'esito del giudizio abbreviato, la pena inflitta è ulteriormente ridotta di un sesto da parte del giudice dell'esecuzione. Ci si è chiesti, in particolare, se possa essere rimesso in termini per chiedere la riduzione della pena chi ha proposto impugnazione prima del 30.12.2022, data di entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022.  

Orbene, quanto al primo tema, la Corte premette che, costituendo la pronuncia impugnata una cd. doppia conforme della decisione di prime cure, le due sentenze vanno intese come un “unico corpo decisionale”, giacché sono stati rispettati i due parametri all'uopo richiesti dalla giurisprudenza di legittimità: a) quello del richiamo da parte della sentenza di appello a quella di primo grado; b) quello dell'utilizzo dei medesimi criteri nella valutazione delle prove in entrambe le pronunce. Ciò posto, viene evidenziato come i Giudici di appello avessero basato la loro conclusione su una serie di elementi che consentivano di acclarare la partecipazione del ricorrente alla rapina contestatagli. La difesa, dal canto suo, non si era confrontata con le argomentazioni del provvedimento impugnato (così come espressamente richiesto, ad esempio, da Cass. pen., sez. un., n. 8825/2016, Galtelli), ma si era limitata a riproporre i motivi di appello, con ciò omettendo quella critica argomentata che invece dovrebbe caratterizzare l'impugnazione: per tale ragione i primi due motivi di ricorso devono considerarsi inammissibili per aspecificità. Il motivo manca di specificità, infatti, non solo quando è del tutto generico, ma anche quando non è possibile ravvisare una «correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'impugnazione, dal momento che quest'ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato» (così Cass. pen., sez. III, 12 luglio 2022, n. 32858).   

Il secondo tema, come anticipato, è relativo all'ambito di applicazione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. La ratio di tale norma, infatti, consiste nell'evitare l'instaurazione di un giudizio di impugnazione e, pertanto, lo sconto di pena è invocabile dinanzi al giudice dell'esecuzione solo nel caso in cui non si proponga appello; il d.lgs. n. 150/2022, tuttavia, non ha dettato in proposito alcuna disciplina transitoria, delegando così all'interprete la risoluzione di ogni questione.

I Giudici di Piazza Cavour affrontano l'argomento partendo dalla nota sentenza Berlusconi del 3.5.2005 della Grande Sezione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, secondo cui il principio della retroattività della legge più favorevole, con riguardo alle norme penali sostanziali, deve ormai ritenersi facente parte dei principi generali del diritto comunitario. Successivamente la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, nella sentenza Scoppola contro Italia del 17.9.2009, ha ribadito tale principio ancorandolo all'art. 7 Cedu. In particolare, i Giudici di Strasburgo hanno precisato come, pur non prevedendo espressamente il citato art. 7 la retroattività della lex mitior, comunque non esclude che l'imputato possa beneficiare di una pena meno grave prevista da una legge emanata dopo la commissione del reato; di conseguenza, nell'ipotesi di successione di leggi penali nel tempo, costituisce violazione del principio di legalità convenzionale l'applicazione della legge più sfavorevole al reo.

Fatta questa ampia premessa, la Corte ritiene che la disciplina dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. sia astrattamente applicabile anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022, «atteso che, incidendo sul trattamento sanzionatorio, in quanto determina una ridefinizione della pena stessa, ha natura sostanziale». Rilevante, in particolare, è il passaggio in cui si afferma che «tutte le norme che non solo qualificano il comportamento come reato, ma che ne stabiliscono la punizione in concreto e, quindi, l'an, il quantum e il quomodo delle conseguenze punitive devono soggiacere alla regola della irretroattività della legge sopravvenuta sfavorevole e della retroattività della legge sopravvenuta favorevole. In tali casi deve, allora, trovare applicazione il principio di retroattività della lex mitior, di cui all'art. 2, comma 4, c.p.». Si rammenta, al riguardo, che il quarto comma dell'art. 2 c.p. stabilisce che se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile.

Del resto, si osserva ancora nella sentenza in commento, le Sezioni Unite della Corte di cassazione avevano già precisato che l'art. 442 c.p.p., avendo ad oggetto la determinazione della pena, è una norma processuale avente profili anche di natura sostanziale (Cass. pen., sez. un., n. 2977/1992, Peccillo), con la conseguenza che tale norma «deve soggiacere al principio di legalità convenzionale di cui all'art. 7, § 1, Cedu, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo, vale a dire irretroattività della previsione più severa (principio già contenuto nell'art. 25, comma 2 Cost.), ma anche, e implicitamente, retroattività o ultrattività della previsione meno severa» (così Cass. pen., sez. un., n. 18821/2013, Ercolano).

La conclusione cui si perviene, quindi, è che il comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. «pur essendo una disposizione processuale, comporta un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole e si applica – a mente dell'art. 2, comma 4, c.p. – anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150». Un principio analogo a quello già affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al comma 2 dell'art. 442 c.p.p., disposizione che, a seguito della modifica operata con la l. n. 103/2017, aveva previsto una riduzione della pena della metà – e non più di un terzo – in caso di condanna per una contravvenzione.     

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione si è pronunciata più volte, nel corso del 2023, sulla possibilità di rimessione in termini per rinunciare all'appello e così poter fruire, in fase esecutiva, dello sconto di pena previsto dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p.; si segnalano al riguardo alcuni arresti della prima sezione penale.

Con la sentenza del 10 marzo 2023, n. 16054, è stato affermato che la diminuente in parola ha natura mista (processuale e sostanziale) e quindi non se ne può invocare l'applicazione retroattiva, né ai processi già definiti prima dell'entrata in vigore della riforma, né a quelli pendenti a seguito di gravame. Il principio di retroattività della lex mitior declinato in sede convenzionale, infatti, se inerisce alla fattispecie incriminatrice e alla pena, certo vede estranee al suo ambito di operatività le ipotesi in cui non si verifica un mutamento, favorevole al reo, nella valutazione sociale del fatto, che porti a ritenerlo penalmente lecito o comunque di minore gravità.

Con la sentenza del 26 settembre 2023, n. 49255, è stato poi affermato che il comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. non può trovare applicazione in caso di rinuncia all'appello, poiché il presupposto applicativo è costituito dall'assenza ab origine dell'impugnazione: una situazione all'evidenza differente da quella in cui l'appello è stato comunque presentato, salvo rinunciarvi in seguito.

Con la successiva sentenza del 27 settembre 2023, n. 42681, è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. per contrasto con gli artt. 3,25,27 e 117 Cost. in relazione all'art. 7 Cedu, nella parte in cui non prevede che la diminuente di pena si applichi anche ai procedimenti penali pendenti in fase di impugnazione e a quelli definiti con sentenza divenuta irrevocabile prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022. A giudizio della Corte, infatti, non risulta violato né il principio di retroattività della lex mitior, «che riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano e la cui applicazione è preclusa ex art. 2, comma 4, c.p. ove sia stata pronunziata sentenza definitiva», né quelli di eguaglianza e di responsabilità penale, giacché il diverso trattamento sanzionatorio è giustificato dalla diversità delle situazioni da disciplinare e non può essere percepito come ingiusto dal condannato che abbia inteso perseguire il medesimo obiettivo con una diversa scelta processuale.

La sentenza n. 51180/2023, infine, ha ribadito espressamente che «alla mancata impugnazione non può equipararsi la rinuncia all'impugnazione già proposta, poiché essa - non determinando l'effetto pienamente deflattivo perseguito dal riformatore - non è stata ritenuta condizione adeguata ad assicurare all'imputato rinunciante il conseguimento del beneficio in esame».

Anche la giurisprudenza di merito si era pronunciata sul tema (sia consentito, al riguardo, richiamare De Giorgio, Giudizio abbreviato e riforma Cartabia, in IUS Penale (ius.giuffrefl.it), 25.8.2023).

Il Tribunale di Perugia, con provvedimento del 18.1.2023, aveva rimesso in termini un imputato che, in un procedimento iniziato nel corso del 2022, aveva chiesto di accedere al giudizio abbreviato proprio in previsione dello sconto di pena previsto dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p.; aveva deciso in modo analogo anche il Tribunale di Mantova con ordinanza del 30.3.2023. La dottrina, di conseguenza, aveva ritenuto che fosse ormai acquisito nel nostro ordinamento il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con avere ricadute sostanziali.

Diversa opinione avevano espresso, invece, il Tribunale di Vasto, con ordinanza del 23.1.2023, il Tribunale di Spoleto, con ordinanza del 28.2.2023, e il Tribunale di Milano con ordinanza del 26.1.2023, secondo cui le disposizioni che disciplinano le modalità, i presupposti e i termini per l'accesso al giudizio abbreviato hanno natura processuale e, di conseguenza, sono soggette al principio del tempus regit actum (sul punto cfr. Fragasso, Mancata impugnazione nel giudizio abbreviato e riduzione di un sesto della pena a seguito della riforma Cartabia: i tribunali di Milano e Vasto escludono la rimessione in termini, in Sist. pen., 14.2.2023)).

Osservazioni

La sentenza in commento ritiene che il comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p., comportando un trattamento sostanziale sanzionatorio più favorevole, si possa applicare anche ai procedimenti penali per i quali era stata già proposta impugnazione al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022.

Per la prima sezione penale della Corte di cassazione, viceversa, la riduzione di pena prevista dal comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. ha natura mista, processuale e sostanziale, con la conseguenza che non se ne può invocare l'applicazione retroattiva, né ai processi già definiti prima dell'entrata in vigore della riforma, né a quelli pendenti a seguito di gravame (cfr. Cass. pen., 10 marzo 2023, n. 16054, cit.); ancor più esplicitamente si ritiene che il principio di retroattività della lex mitior, convenzionalmente interpretato, afferisca soltanto alle disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano (cfr. Cass. pen., 12 ottobre 2023, n. 51180, cit.).

Si tratta di due differenti approcci ermeneutici, le cui ricadute applicative non sono di poco conto.

Si prenda in considerazione, a tal riguardo, la vicenda esaminata nella sentenza n. 51180/2023 della prima sezione penale. In quel caso l'imputato era stato condannato all'esito del giudizio abbreviato e aveva poi impugnato la sentenza; tuttavia, dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, aveva rinunciato all'appello al preciso intento di avanzare la richiesta di riduzione di pena di un sesto in sede esecutiva. Il giudice dell'esecuzione, tuttavia, aveva rigettato l'istanza ritenendo che era stata pur sempre proposta l'impugnazione avverso la sentenza di prime cure («la ratio dell'intervento riformatore si profila individuabile nel perseguimento dello scopo di ridurre la durata del procedimento penale, favorendo la definizione della causa dopo l'emissione della sentenza di primo grado, così da evitare l'ingresso del procedimento stesso nella fase delle impugnazioni»). I giudici di legittimità hanno quindi ritenuto infondato il ricorso: la condizione processuale che consente l'applicazione della diminuente di pena, infatti, è l'irrevocabilità della sentenza per mancanza di impugnazione, circostanza ravvisabile - in virtù del principio tempus regit actum – solo in relazione alle sentenze di primo grado divenute definitive dopo l'entrata in vigore del d.lgs. 150/2022, anche se pronunciate in precedenza.

Nella sentenza in commento della seconda sezione penale, invece, l'avvenuta proposizione dell'appello non sembra costituire un ostacolo all'applicazione della diminuente. La manifesta infondatezza del motivo di ricorso, infatti, viene ravvisata nella successiva mancata rinuncia all'impugnazione («il ricorso continua a coltivare in via principale motivi relativi al merito, che contestano l'affermazione di responsabilità del ricorrente, con la conseguenza che l'appello all'evidenza non risulta rinunciato»). Se ne deve pertanto desumere che, se il ricorrente avesse rinunciato all'appello, avrebbe poi potuto rivolgersi al giudice dell'esecuzione, essendo «ormai acquisito nel nostro sistema giuridico il principio secondo cui il trattamento sanzionatorio, anche laddove collegato alla scelta del rito, finisce sempre con l'avere ricadute sostanziali».

A sommesso giudizio di chi scrive la disposizione del comma 2-bis dell'art. 442 c.p.p. ha natura mista, sostanziale e processuale: ciò implica che gli effetti sostanziali della norma, da individuare nel miglioramento del trattamento sanzionatorio del condannato, non devono essere confusi con i presupposti di accesso ai riti speciali, i quali hanno invece natura solo processuale.

La ratio della novella del 2022, infatti si ravvisa – come emerge chiaramente dalla relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 150 del 2022 – nel premiare l'inerzia, rendendola conveniente per l'imputato: intanto si ottiene uno sconto di pena in quanto si evita di instaurare il giudizio di appello, con la conseguenza che la finalità deflattiva della norma viene ad essere vanificata dalla proposizione stessa dell'atto di impugnazione. L'effetto premiale ricade sì sull'entità della pena (e perciò ha anche un risvolto sostanziale), ma consegue solo alla scelta dell'imputato di farsi processare nelle forme del giudizio abbreviato e di non impugnare la susseguente sentenza di condanna: non vengono in considerazione, quindi, norme che implicano la depenalizzazione (o comunque una riduzione di gravità) del fatto di reato, ma solo disposizioni di carattere squisitamente processuale.

Se ne trae conferma, d'altro canto, dal fatto che la norma ha previsto l'esclusiva competenza del giudice dell'esecuzione per l'applicazione dello sconto di pena: se il legislatore avesse inteso consentire la riduzione di pena anche nel diverso caso della rinuncia all'impugnazione già proposta, avrebbe previsto la competenza del giudice della cognizione, il quale avrebbe potuto provvedervi contestualmente alla dichiarazione dell'inammissibilità sopravvenuta dell'impugnazione.

Infine, occorre considerare come la questione di legittimità costituzionale dell'art. 442, comma 2-bis, c.p.p. sia stata ritenuta infondata sul presupposto che il principio di retroattività della lex mitior riguarda le sole disposizioni che definiscono i reati e le pene che li sanzionano (cfr. Cass. pen., n. 42681/2023, cit.). Non essendovi successione di leggi sostanziali nel tempo, quindi, deve trovare applicazione il principio del tempus regit actum, con la conseguenza che la diminuente può essere invocata solo nei confronti delle sentenze di primo grado divenute definitive dopo il 30.12.2022, sebbene pronunciate in precedenza.

Deve pertanto ritenersi preferibile, in quanto più aderente alla lettera e alla ratio della norma, l'orientamento fatto proprio dalla prima sezione penale della Corte di cassazione secondo cui, qualora prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2022 sia stato interposto appello avverso una sentenza di condanna all'esito del giudizio abbreviato, la riduzione premiale di un sesto non è comunque applicabile, essendo del tutto irrilevante la successiva rinuncia all'impugnazione.