Solo l’assunzione della qualità di socio consente all’erede di proseguire l’azione sociale di responsabilità

08 Aprile 2024

La Cassazione si è occupata della legittimazione degli eredi del socio di una s.r.l. a proseguire l'azione di responsabilità da questi esercitata ai sensi dell'art. 2476, comma 3, c.c.

Massima

La legittimazione individuale straordinaria all'esercizio dell'azione sociale di responsabilità prevista a favore del socio dall'art. 2476, comma 3, c.c. è riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c., sicché, essendo il socio l'unico soggetto dotato di tale legittimazione straordinaria, il suo decesso in corso di causa senza che gli subentri l'erede in veste di socio determina l'improcedibilità dell'azione.

Il caso

Il socio di una società a responsabilità limitata proponeva nei confronti dell'amministratore unico l'azione di responsabilità di cui all'art. 2476, comma 3, c.c.

Nel corso del giudizio di primo grado, l'amministratore convenuto e la società davano atto che era intervenuta la morte dell'attore (non dichiarata dal suo procuratore costituito) e deducevano l'improcedibilità dell'azione, essendo venuto a mancare il socio che l'aveva promossa.

All'udienza successiva si costituivano le eredi dell'attore, delle quali, tuttavia, veniva contestata la legittimazione, in quanto non socie della società, non avendo a quella data effettuato il deposito e l'iscrizione prescritti dall'art. 2470 c.c.

Le eredi, in occasione di un'udienza successiva, davano quindi atto di avere espletato i suddetti incombenti, ma i convenuti eccepivano l'estinzione del processo, essendo a quel punto ampiamente decorso il termine di tre mesi dalla dichiarazione della morte dell'attore previsto dall'art. 305 c.p.c.

La sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda, era impugnata avanti alla Corte d'appello di Milano, che confermava la sussistenza della legittimazione delle eredi del socio defunto, sul presupposto che, avendo accettato l'eredità (con efficacia retroattiva al momento dell'apertura della successione), avevano acquisito la qualità di socie, potendo quindi esercitare – ovvero coltivare – l'azione ex art. 2476 c.c.

L'amministratore proponeva, quindi, ricorso per cassazione.

Le questioni giuridiche e le soluzioni

Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, sia pure in base a un ragionamento diverso da quello posto a fondamento della pronuncia gravata, di cui è stata pertanto corretta la motivazione.

I passaggi principali nei quali si articola la pronuncia sono i seguenti: 1) la legittimazione straordinaria che consente al socio di proporre l'azione sociale di responsabilità di cui all'art. 2476, comma 3, c.c. è riconducibile alla sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c.; 2) in caso di decesso del socio, la legittimazione spetta al suo erede, in quanto abbia a sua volta acquistato la qualità di socio; 3) nei confronti della società, l'efficacia dell'acquisto mortis causa della partecipazione sociale è subordinata all'esecuzione degli adempimenti prescritti dall'art. 2470, comma 2, c.c.; 4) gli eredi, pur acquistando retroattivamente la partecipazione sociale fin dal momento dell'apertura della successione, sono legittimati all'esercizio dei diritti sociali solo a seguito dell'esecuzione di detti adempimenti, sicché, prima di tale momento, non sono titolari del diritto di agire nei confronti dell'amministratore; 5) nel caso di specie, tuttavia, non si era verificata alcuna interruzione del processo, con la conseguenza che non poteva nemmeno discutersi di estinzione dello stesso per mancato rispetto del termine previsto dall'art. 305 c.p.c. per la sua prosecuzione o riassunzione.

Osservazioni

In virtù di quanto previsto dall'art. 2476 c.c. e conformemente a quanto stabilito dall'art. 2395 c.c. in materia di società per azioni, gli amministratori delle società a responsabilità limitata sono responsabili per i danni provocati dall'inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge e dall'atto costitutivo: si tratta di una responsabilità di natura contrattuale per colpa, che ha carattere solidale.

A differenza di quanto è a dirsi in materia di società per azioni, tuttavia, la legittimazione attiva all'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dell'amministratore di società a responsabilità limitata è riconosciuta a ciascun socio, indipendentemente dalla misura della partecipazione, ferma restando la partecipazione necessaria al giudizio della società, che, da questo punto di vista, assume la qualifica di litisconsorte necessario (così, recentemente, Cass. civ., sez. VI, 20 settembre 2021, n. 25317).

Ai fini dell'esperimento dell'azione di responsabilità è indispensabile che chi la promuove possieda la qualifica di socio, che deve sussistere fin dall'instaurazione del giudizio e fino al momento della pronuncia della decisione.

Nella fattispecie esaminata dai giudici di legittimità, veniva proprio in considerazione l'aspetto relativo alla titolarità della legittimazione attiva in capo agli eredi del socio che aveva promosso l'azione sociale di responsabilità e che era deceduto nel corso del giudizio di primo grado.

La questione è stata affrontata dal punto di vista sia sostanziale che processuale.

Il punto di partenza da cui muove la ricostruzione operata dalla Corte di cassazione è la qualificazione in termini di sostituzione processuale ex art. 81 c.p.c. della legittimazione individuale straordinaria del socio contemplata dall'art. 2476, comma 3, c.c., che gli consente di proporre l'azione sociale di responsabilità in vece della società: tale legittimazione ha natura derivativa rispetto a quella della società, com'è attestato, da un lato, dal fatto che essa è litisconsorte necessario e conserva il potere di rinunciare e di transigere la controversia e, dall'altro lato, dal fatto che il beneficio o il vantaggio che deriva dall'accoglimento dell'azione ridonda sul suo patrimonio (e non direttamente su quello del socio che ha agito in giudizio).

La sostituzione processuale, infatti, si ha quando chi agisce fa valere in giudizio un diritto altrui in nome proprio e si differenzia, sotto questo aspetto, dalla rappresentanza processuale, in cui il rappresentante sta in giudizio in nome e per conto del titolare del diritto azionato: così, mentre l'attività giuridica svolta dal rappresentante è immediatamente riferibile alla sfera giuridica del rappresentato, gli effetti degli atti processuali compiuti dal sostituto sono riferibili a quest'ultimo, a differenza di quelli di merito, che sono imputabili al sostituito, quale titolare della situazione sostanziale dedotta in giudizio.

Essendo la legittimazione del socio straordinaria, egli è l'unico soggetto a esserne dotato, sicché occorre valutare le ripercussioni del venire meno dello status di socio sull'azione promossa, soprattutto quando si verifichi il suo decesso in corso di causa.

In linea generale, va considerato che, ai sensi dell'art. 2469, comma 1, c.c., le quote di partecipazione nella società a responsabilità limitata sono liberamente trasferibili anche mortis causa, salvo che ciò sia escluso dall'atto costitutivo; un tanto consente all'erede di divenire socio della società per effetto della mera accettazione dell'eredità, che, in virtù di quanto disposto dall'art. 459 c.c., retroagisce al momento dell'apertura della successione.

Di conseguenza, sempre in linea generale, la legittimazione di cui all'art. 2476, comma 3, c.c. spetta all'erede del socio che abbia, per via successoria, acquistato la qualità di socio.

I giudici di legittimità, tuttavia, hanno osservato che, a mente dell'art. 2470 c.c., l'efficacia nei confronti della società dell'acquisto mortis causa della partecipazione sociale (e della connessa qualifica di socio) è subordinata all'espletamento degli adempimenti previsti dal comma 2: nello specifico, la norma prescrive il deposito presso il registro delle imprese, da parte dell'erede o del legatario, della richiesta di iscrizione del trasferimento accompagnata dalla documentazione che ne attesta la verificazione (vale a dire – giusta il richiamo alla disciplina dettata in materia di società per azioni e, dunque, all'art. 7 r.d. 29 marzo 1942, n. 239 – del certificato di morte, di copia del testamento, in quanto esistente, di un atto di notorietà giudiziale o notarile ovvero di una dichiarazione sostitutiva di notorietà attestante la qualità di erede o di legatario della partecipazione, della dichiarazione di successione registrata); in mancanza di tale deposito e della conseguente iscrizione del trasferimento, quest'ultimo, pur valido ed efficace in quanto riconducibile all'accettazione dell'eredità, resta inopponibile alla società (così come ai terzi), visto che la stessa è e rimane terza rispetto al negozio o al fatto in cui ha titolo o da cui deriva il trasferimento medesimo.

Va da sé, peraltro, che, in assenza di un'accettazione espressa dell'eredità, la presentazione e il deposito della documentazione prescritta dall'art. 2470 c.c. da parte dell'erede può senz'altro integrare una condotta propositiva dell'accettazione tacita.

Bisogna aggiungere che l'opponibilità alla società del trasferimento della partecipazione prima dell'espletamento dei suddetti incombenti pubblicitari non è predicabile nemmeno a fronte dell'eventuale conoscenza della morte del socio che l'organo amministrativo possa avere per effetto di comunicazioni eventualmente ricevute in ordine alla vicenda successoria, dal momento che le formalità prescritte dall'art. 2470 c.c. non possono reputarsi surrogabili.

In definitiva, vi è un disallineamento tra il momento dell'acquisto della titolarità della partecipazione da parte dell'erede del socio defunto e quello in cui egli può esercitare i diritti sociali, essendo tale esercizio subordinato a una duplice condizione:

  • da un lato, l'acquisto iure successionis della titolarità della quota (che consegue all'accettazione espressa o tacita dell'eredità da parte dell'erede, ovvero alla mancata rinuncia da parte del legatario);
  • dall'altro lato, il deposito presso il registro delle imprese della richiesta di iscrizione del trasferimento mortis causa e della relativa documentazione, in ossequio a quanto previsto dall'art. 2470, comma 2, c.c.

Non manca, peraltro, chi ritiene che, per potere concretamente esercitare i diritti sociali, non basta il mero deposito prescritto dall'art. 2470 c.c., ma occorre pure l'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese (con la possibilità che vi sia un – più o meno ampio – iato temporale tra l'evasione dell'adempimento e l'esecuzione della formalità e un conseguente slittamento dell'acquisto della legittimazione all'esercizio dei diritti riconnessi alla partecipazione trasferita).

Resta il fatto che, fino a quando non sia stato dato corso agli incombenti prescritti dall'art. 2470 c.c., gli eredi non possono interferire con l'operato dell'amministratore, in quanto terzi rispetto alla società, né sono dunque legittimati a esercitare l'azione sociale di responsabilità di cui all'art. 2476 c.c., essendo la qualifica di socio indispensabile e dovendo non solo sussistere al momento dell'instaurazione della causa, ma persistere sino alla pronuncia della sentenza, visto che si tratta di una condizione dell'azione.

Conclusioni

Dopo avere ricostruito le reguale iuris che sovrintendono l'acquisto mortis causa della partecipazione sociale e della qualità di socio da parte degli eredi e avere illustrato le modalità con le quali le stesse debbono essere applicate, la Corte di cassazione ha nondimeno respinto il ricorso proposto dall'amministratore.

Questi aveva eccepito, da un lato, la carenza di legittimazione attiva delle eredi del socio defunto che aveva introdotto l'azione sociale di responsabilità ex art. 2476 c.c. e la conseguente improcedibilità di quest'ultima, a seguito della loro costituzione in giudizio prima che fossero state espletate le formalità prescritte dall'art. 2470 c.c. e, dall'altro lato, l'estinzione del processo, dal momento che il deposito della documentazione di cui al medesimo art. 2470 c.c. era avvenuto dopo che erano trascorsi tre mesi dalla data in cui era stata dichiarata la morte dell'attore, sicché non poteva dirsi rispettato il termine previsto dall'art. 305 c.p.c.

I giudici di legittimità, infatti, hanno evidenziato che la costituzione in giudizio delle eredi divenute a tutti gli effetti socie della società, con acquisto della titolarità della partecipazione pienamente opponibile anche alla stessa a seguito dell'adempimento delle prescrizioni dettate dall'art. 2470 c.c., era avvenuto in un processo che non si era mai interrotto, poiché la morte dell'attore non era stata dichiarata dal suo procuratore costituito, come previsto dall'art. 300 c.p.c., ma da quelli dell'amministratore convenuto e della società litisconsorte necessario.

Tuttavia, le parti diverse da quella colpita dall'evento interruttivo non hanno il potere di dichiararlo al fine di provocare l'interruzione del processo, quand'anche se ne siano venute a conoscenza.

L'art. 300 c.p.c., infatti, subordina l'effetto interruttivo del processo alla coesistenza di due elementi essenziali, costituiti dal verificarsi dell'evento previsto come cause d'interruzione e dalla relativa dichiarazione a opera del procuratore della parte che ne è stata colpita, con la conseguenza che, mancandone uno, l'interruzione non si perfeziona.

In effetti, la ratio sottesa alla disposizione di cui all'art. 300 c.p.c. e all'esclusione dell'interruzione automatica del processo in conseguenza del decesso della parte è da rinvenirsi nel fatto che, proprio per essere la stessa costituita in giudizio tramite procuratore, il suo diritto di difesa non è in alcun modo pregiudicato dall'ulteriore corso del processo, che resta affidato a un soggetto – il difensore – che continua a essere in grado di svolgere il proprio patrocinio (assicurando la necessaria assistenza per il periodo necessario alla ricostituzione della parte nel processo) e al quale è dunque rimessa la valutazione circa la necessità o l'opportunità di dichiarare l'evento interruttivo.

Ciò spiega perché l'interruzione non possa discendere dalla conoscenza che del medesimo evento interruttivo sia stata acquisita aliunde, ovvero dalla dichiarazione resa dal difensore di un'altra parte.

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