La consecuzione tra procedure nel Codice della Crisi

Luca Jeantet
Paola Vallino
08 Aprile 2024

Lo scritto, premesso un excursus su origini e sviluppi del principio della consecuzione tra procedure sotto la legge fallimentare, ne individua le tracce all’interno dell’impianto normativo del Codice della Crisi, concludendo come esso sia tutt’oggi valido e – ancor più di prima – applicabile.

Premessa

Per “consecuzione tra procedure concorsuali” si intende quel principio di origine giurisprudenziale caratterizzato dal verificarsi, a carico di un imprenditore, e senza soluzione di continuità, di una serie di procedure concorsuali, in ragione dell’incapacità delle prime di conseguire i fini per i quali sono state avviate.

La portata di questa ipotesi non è meramente teorica, ma al contrario condiziona profondamente il dispiegarsi di alcuni effetti tipici dell’apertura della successiva liquidazione giudiziale.

In via generale, sulla base dell’accertamento di una connessione causale tra due procedure discendono numerosi effetti che possono influenzare in modo rilevante l’andamento della procedura successiva, con particolare riferimento a:

  • il trattamento riservato ai crediti sorti durante la precedente procedura minore (che può concludersi, o meno, con l’assimilazione dei medesimi - in via analogica - ai crediti verso la massa e, conseguentemente, al riconoscimento di un trattamento in prededuzione);
  • l’efficacia, o meno, degli atti compiuti dal debitore nel corso di una precedente procedura concorsuale (la cui soluzione potrebbe in primis condurre all’ammissione, o meno, della sottoposizione di tali atti all’esercizio dell’azione revocatoria);
  • l’ampiezza del c.d. periodo sospetto per l’esperimento delle azioni revocatorie.

La consecutio tra procedure: origine e sviluppo

La genesi di questo istituto va individuata in una datata statuizione della Suprema Corte del 1956 (Cass. civ. 27 ottobre 1956, n. 3981), la quale, partendo dal presupposto dell'omogeneità di una situazione d'insolvenza alla base di due procedure che si susseguivano, ha inteso tutelare la massa dei creditori della seconda procedura d'insolvenza dall'insuccesso della precedente, estendendo a ritroso e sino all'avvio della prima procedura, il periodo sospetto previsto dall'art. 67 l. fall. per  l'esperimento delle azioni revocatorie fallimentari (in alternativa inutilmente trascorso).

Su tali basi, ed a valle di successive pronunce giurisprudenziali, la consecuzione tra procedure è stata quindi definita come “quel fenomeno in cui diverse procedure concorsuali, relative allo stesso imprenditore ed alla medesima situazione di crisi, si succedono nel tempo in modo da potersi considerare, sotto determinati profili giuridici, come fasi successive di uno stesso procedimento” (A. Ceccherini, Effetti nel fallimento consecutivo, in Il Fallimento, 1992,313).

Elemento centrale e imprescindibile nella qualificazione della consecuzione è da sempre l'unitarietà del fatto genetico alla base delle due o più procedure che si susseguono nel tempo: la causa della crisi che porta all'apertura della prima procedura deve quindi persistere, senza soluzione di continuità, nell'insolvenza alla base dell'apertura della procedura successiva.

Quanto sopra, con la precisazione che non è astrattamente necessaria l'immediatezza del passaggio da una procedura all'altra (da un punto di vista meramente temporale), in quanto “la consecuzione dei procedimenti non è esclusa dal mero frapporsi di un intervallo di tempo tra due procedure prese in considerazione”. Al contrario, è sempre stato ritenuto essenziale che “la seconda [procedura] sia espressione della medesima crisi economica della prima” (cfr. Cass. civ 26 giugno 1992, n. 8013), rilevando quindi l'esistenza di un nesso di continuità causale tra le procedure.

Conseguentemente, laddove il successivo fallimento sia stato dichiarato sulla base di presupposti che nulla abbiano a che vedere con le cause che hanno condotto all'apertura della prima procedura, indipendentemente dalla presenza di un intervallo più o meno ampio, non si potrebbe procedere all'accertamento della consecuzione.

Naturalmente, quanto sopra trovava nella formulazione della vecchia legge fallimentare un pieno supporto. Ci si riferisce in particolare all'originaria comunanza di presupposti oggettivi per l'accesso al concordato preventivo e al fallimento (i.e. lo stato di insolvenza) e (non da ultimo) l'automatismo con cui l'art. 168 l. fall. imponeva la dichiarazione di fallimento ex officio a valle dell'esito negativo del concordato preventivo, così rendendo più semplice l'accertamento della continuità e l'unitarietà tra due procedure.

Con la graduale riforma dell'istituto del concordato preventivo (dapprima con l'introduzione del d.l. n. 35/2005 e il d.lgs. n. 5/2006, poi con il d.lgs. n. 169/2007) il legislatore ha profondamente rinnovato la disciplina in materia concordataria. Per quel che qui interessa, il presupposto di accesso a questo istituto non è stato più individuato nello stato di insolvenza (così come nella vecchia formulazione dell'art. 160 l. fall.) ma nello stato di crisi. Allo stesso modo, nell'intento di evidenziare la natura negoziale dell'istituto, il legislatore ha provveduto ad eliminare la previsione della dichiarazione di fallimento ex officio, richiedendo che questo possa essere dichiarato solo su istanza di un creditore o del Pubblico Ministero.

Conseguentemente, almeno secondo una parte della dottrina (v. ad es., in tal senso, S. Casonato, Dell'esecuzione, della risoluzione e dell'annullamento del concordato preventivo, in AAVV, Formulario annotato delle procedure concorsuali, a cura di L. Guglielmucci, Padova, 2012, 623), il mutamento del requisito oggettivo per l'ammissione al concordato e l'eliminazione della dichiarazione ex officio non avrebbe più consentito di ritenere operativo il principio della consecutio, salvo che il decreto di ammissione della prima procedura minore avesse contenuto già un accertamento dello stato di insolvenza, oppure se, al momento della successiva dichiarazione di fallimento, il Tribunale avesse accertato che tale insolvenza sussisteva già al momento dell'apertura della precedente procedura.

Nonostante ciò, la giurisprudenza sia di merito che di legittimità ha confermato la vigenza dell'istituto anche nel nuovo contesto legislativo, agganciandosi al correttivo subito emanato dal legislatore con il d.l. n. 273/2005, che ha aggiunto un nuovo comma all'art. 160 l. fall., precisando che “per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza”.

In questo senso, essendo lo stato di crisi comprensivo (almeno in una prospettiva potenziale) dello stato di insolvenza, affinché si possa accertare la consecuzione tra procedure, occorre accertare che il percorso intrapreso dal debitore tra le procedure sia caratterizzato da un'unica origine causale, la quale, dapprima abbia portato allo stato di crisi e, aggravandosi, sia sfociata nell'insolvenza vera e propria (in tal senso, Cass. civ. 13 aprile 2016, n. 7324).

Con la successiva riforma del 2012 (d.l. n. 83/2012) e quindi con l'introduzione del secondo comma dell'art. 69-bis l. fall., si è assistito all'introduzione dell'istituto a livello normativo, almeno per quanto riguarda l'individuazione del periodo sospetto per l'esperimento delle azioni revocatorie fallimentari.

Più nello specifico, la norma ha previsto che “nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segua la dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese”.

In questo modo, il fallimento che sia stato aperto a valle dell'esito infausto di una procedura concordataria può godere di una retrodatazione del termine iniziale del c.d. “periodo sospetto”, sull'assunto (implicito) di una sostanziale continuità causale tra concordato preventivo e fallimento, essendo quest'ultimo la potenziale evoluzione di una crisi economica evolutasi negativamente ma derivante dallo stesso stato di decozione dell'impresa (in tal senso L. Nocera, Il principio della consecuzione delle procedure: l'unitarietà dei procedimenti di concordato preventivo e fallimento, in Diritto Fallimentare, 2012, II, 253).

Fermo quanto sopra, anche a valle dell'introduzione dell'art. 69-bis l. fall., rimaneva in ogni caso essenziale, per poter accertare la consecuzione in ambiti differenti, l'individuazione di un “collegamento sequenziale fra procedure concorsuali di qualsiasi tipo volte a regolare una coincidente situazione di dissesto dell'impresa (vuoi che essa si atteggi come crisi, vuoi che consista in una situazione di insolvenza, dato che stato di crisi e stato di insolvenza possono rappresentare una mera distinzione di grado della medesima crisi economica) e unite da un rapporto di continuità causale e unità concettuale piuttosto che di rigorosa successione cronologica” (in tal senso Cass. civ. 11 giugno 2019, n. 15724).

Da ultimo, e sempre nella vigenza della legge fallimentare, nella giurisprudenza della Suprema Corte si è consolidato un orientamento estensivo che, dando maggior priorità all'accertamento dell'unitarietà della crisi, ha ammesso l'operatività del principio anche in fattispecie nelle quali la precedente procedura minore non era stata effettivamente avviata, configurando quindi la consecuzione anche in caso in cui il fallimento faceva seguito alla dichiarazione di inammissibilità della domanda di concordato (in tal senso, ex multis, Cass. civ. 16 aprile 2018, n. 9290; Cass. civ. 13 dicembre 2022, n. 36354) oppure nel caso in cui il debitore, avviata la procedura riservata, mancava di depositare la proposta di concordato (in tal senso Cass. civ. 29 maggio 2019, n.14713; in senso contrario, anche in ragione dell'intervenuta rinuncia da parte del debitore all'esito del periodo prenotativo, Cass. civ. 22 febbraio 2021, n.4710).

Tentando di schematizzare tutto quanto sopra, nella vigenza della legge fallimentare, per l'accertamento della consecuzione tra procedure occorreva confermare la sussistenza dei seguenti tre fattori, che avrebbero dovuto quindi sussistere tutti allo stesso tempo:

  1. l'avvio, in capo allo stesso debitore, di una procedura concorsuale (concordato preventivo, anche con riserva ex art. 161, comma. 6, l. fall. o l'accordo di ristrutturazione dei debiti o ancora l'amministrazione straordinaria) e, solo successivamente all'esito negativo della stessa, l'apertura di una successiva procedura;
  2. la continuità causale dello stato di crisi patrimoniale, avendo entrambe le procedure lo stesso fatto genetico;
  3. la continuità sostanziale delle procedure, anche da un punto di vista procedurale e temporale, in mancanza della quale, sarebbe venuto meno il presupposto dell'unitarietà dello stato di crisi.

La consecutio nel Codice della Crisi

All'indomani dell'introduzione del Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza, la consecuzione tra procedure, pur non essendo stata definita espressamente, rimane un principio valido ed applicabile, che, volendo anticipare quanto si dirà, risulta anzi più facilmente riscontrabile nell'ambito del nuovo procedimento unitario e quindi applicabile nell'ambito del nuovo istituto della liquidazione giudiziale.

In ogni caso, la linea interpretativa che recupera la logica della consecuzione è principalmente rinvenibile:

  1. nell'ambito della disciplina circa il riconoscimento della prededuzione nell'ambito del successivo procedimento liquidatorio di cui all'art. 6, comma 2, CCII
  2. in tema di esenzioni dalle azioni revocatorie, all'art. 166, comma 1, lett. e), CCII, in merito ai pagamenti ed agli atti posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, dell'accordo di ristrutturazione dei debiti e del piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, nonché all'art. 166, comma 1, lett. g), CCII, in merito ai pagamenti di debiti esigibili funzionali all'accesso agli strumenti di regolazione della crisi o dell'insolvenza;
  3. in tema di azioni revocatorie, all'art. 107, comma 2, CCII e con riferimento alla retrodatazione del c.d. “periodo sospetto”;

Come vedremo, quindi, al pari della legge fallimentare (riformata), il Codice della Crisi pone quale presupposto implicito delle predette norme il principio giurisprudenziale della c.d. consecutio, confermandone la validità e ampliandone l'ambito di applicazione.

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Gli aspetti processuali

Occorre preliminarmente rilevare che il Codice della Crisi, da un punto di vista processuale, ha introdotto il c.d. ‘procedimento unitario', che potrebbe essere definito quale “contenitore” processuale unico, nel quale confluiscono tutte le domande (pattizie e non) di regolazione per via giudiziale della crisi e dell'insolvenza dell'impresa. All'interno di questo “contenitore” possono, pertanto, essere avviati segmenti processuali ben distinti, ancorché in molti passaggi tra loro concorrenti, ciascuno sorretto da regole proprie.

In questo senso, l'art. 7 CCIIimpone che tutte le domande di regolazione della crisi o dell'insolvenza siano trattate in un “unico procedimento e ogni domanda sopravvenuta è riunita a quella già pendente”, introducendo, al comma secondo, il favor, che caratterizza l'intero sistema del Codice, nei confronti degli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza diversi dalla liquidazione giudiziale.

Nel nuovo Codice della Crisi, quindi, le procedure che si susseguono, anche in ragione dell'esito infausto della prima procedura e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale, permangono, almeno formalmente, nello stesso solco processuale, così rendendo certamente più facilmente accertabile il presupposto della continuità sostanziale della crisi tra una procedura e l'altra.

In questo senso, le norme sul procedimento unitario prevedono una serie di regole che, in maniera maggiormente analitica rispetto a quelle previste nella legge fallimentare, disciplinano la successione tra i diversi strumenti di regolazione della crisi e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale, nonché le impugnazioni avverso i provvedimenti decisori emessi dal Tribunale nei rispettivi contesti.

Di queste norme, aventi natura prettamente processuale, che possono avere rilevanti effetti sull'apertura della successiva liquidazione giudiziale, merita approfondire alcune disposizioni e, in particolare:

  1. l'art. 48, comma 6, CCII, che, in linea con quanto previsto dalla legge fallimentare, consente al Tribunale di procedere all'apertura della liquidazione giudiziale ove non vi siano i presupposti per procedere all'omologazione della procedura minore, unicamente nel caso in cui ne venga fatta istanza dai soggetti legittimati (i.e. i creditori e il Pubblico Ministero);
  2. l'art. 53, comma 5, CCII, che disciplina gli effetti della revoca del provvedimento omologativo del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione nei casi di impugnazione dello stesso previsti dall'art. 51 CCII (ma per analogia non si vede perché non si possa applicare anche al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione). Nello specifico, il Codice della Crisi prevede che la Corte d'appello che revoca la pronuncia di omologa del concordato, degli accordi di ristrutturazione dei debiti ovvero del piano di ristrutturazione ex art. 64-bis CCII, su domanda di uno dei soggetti legittimati ai sensi dell'art. 51 CCII, accertata la sussistenza dei relativi presupposti soggettivi e oggettivi ex art. 121 CCII, può procedere con la dichiarazione della liquidazione giudiziale, rimettendo gli atti al Tribunale per l'adozione dei provvedimenti organizzativi conseguenziali. In questo senso, se i soggetti legittimati ne fanno istanza ed ove la Corte di Appello dichiarasse effettivamente revocato il provvedimento di omologazione, la stessa potrà procedere direttamente alla verifica dei requisiti previsti dall'art. 121 CCII e, di conseguenza, provvederà essa stessa, rimandando poi al Tribunale;
  3. l'art. 119 CCII, che detta le regole in materia di risoluzione del concordato preventivo omologato, le quali risultano particolarmente innovative rispetto ai precedenti orientamenti della Suprema Corte in materia di dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio. In particolare, l'art. 119 CCII, al comma 7 (introdotto con il d.lgs. n. 147/2020), prevede che “Il Tribunale dichiara aperta la liquidazione giudiziale solo a seguito della risoluzione del concordato, salvo che lo stato di insolvenza consegua a debiti sorti successivamente al deposito della domanda di apertura del concordato preventivo”. La previsione ha una sua particolare rilevanza, in quanto supera il dibattito dottrinale e giurisprudenziale (sviluppatosi nella vigenza della legge fallimentare e risolto dalle Sezioni Unite con la sentenza 14 febbraio 2022, n. 4696) avente ad oggetto l'ammissibilità della dichiarazione di fallimento c.d. omisso medio, ovvero in assenza della preventiva risoluzione del concordato preventivo. Sul punto, a seguito di un acceso dibattito in dottrina, la Corte di Cassazione intervenne in merito confermando l'ammissibilità della dichiarazione di fallimento successiva all'omologazione del concordato, ove si facesse questione dell'inadempimento di debiti già sussistenti alla data della domanda di concordato (in tal senso, ex multis, Cass. civ. 11 dicembre 2017, n. 29632). Pur in presenza di  tesi dottrinali e pronunce giurisprudenziali di segno contrario, sulla questione sono intervenute le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermando, con sentenza 14 febbraio 2022, n. 4696, i suoi precedenti, così ribadendo  che il fallimento del debitore che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato, anche prima ed indipendentemente della risoluzione del concordato omologato, la quale, in ogni caso, non opera quale condizione di fallibilità, ma consente di eliminare l'obbligatorietà del concordato, così da restituire al creditore piena libertà di agire per l'intera pretesa, senza i limiti della falcidia concordataria. Il nuovo comma 7 dell'art. 119 CCII conferma però la linea interpretativa inversa, così ponendo la risoluzione del concordato quale condizione per procedere alla successiva apertura della liquidazione giudiziale, essendo quindi necessario rimuovere, attraverso la risoluzione, gli effetti del concordato preventivo omologato. In ogni caso, tale esigenza non può porsi, tuttavia, quando l'insolvenza sia generata dalle passività sorte successivamente al deposito della domanda di accesso alla procedura, dato che l'obbligatorietà del concordato non si estende ad esse, con la conseguenza, che, in questo caso, potrà procedersi all'istanza di apertura della liquidazione in via autonoma, con la conseguenza che non potrà aver luogo la consecuzione dei procedimenti, poiché lo stato di insolvenza in base al quale si procede è, per definizione, diverso ed autonomo rispetto a quello per cui si è proceduto all'avvio della prima procedura omologata.

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I nuovi strumenti di regolazione della crisi di impresa

Il Codice della Crisi, come è noto, con il Titolo IV ha introdotto alcuni nuovi istituti e ne ha modificati altri già preesistenti, includendoli tutti nella nuova categoria degli ‘strumenti di regolazione della crisi', a cui poi si aggiungono l'istituto della composizione negoziata della crisi e del concordato semplificato di cui al Titolo II. In primo luogo, occorre quindi domandarsi se questi istituti (sia di nuova formazione che quelli oggetto di modifica), possano essere ricompresi nella più ampia categoria delle procedure concorsuali, così potendo essere oggetto di applicazione del principio della consecuzione, nonché dei relativi effetti (presupposto, oggi ancora confermato dall'art. 170, comma 2, CCII, che, come vedremo, consente la retrodatazione del dies a quo per le revocatorie, unicamente quando “alla domanda di accesso a una procedura concorsuale segue l'apertura della liquidazione giudiziale).

In generale, ed in linea con gli ultimi orientamenti della Corte di Cassazione, le procedure concorsuali possono essere definite quali procedure giudiziarie ove è attuato il concorso dei creditori (ex multis Cass. civ. 18 gennaio 2018, n. 1182, Cass. civ. 12 aprile 2018, n. 9087 e Cass. civ. 21 giugno 2018, n. 16347) e caratterizzate, in questo senso, dai seguenti requisiti minimi: "(i) una qualsivoglia forma di interlocuzione con l'autorità giudiziaria, con finalità quantomeno 'protettive' (nella fase iniziale) e di controllo (nella fase conclusiva); (ii) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, quantomeno a livello informativo e forse anche solo per attribuire ad alcuni di essi un ruolo di 'estranei', da cui scaturiscono conseguenze giuridicamente predeterminate; (iii) una qualche forma di pubblicità" (cfr. Cass. civ. 12 aprile 2018, n. 9087). 

Conseguentemente, e con riferimento agli istituti messi a disposizione del debitore dal Codice della Crisi, occorre osservare che:

  1. con riferimento alla composizione negoziata della crisi è possibile, in primo luogo, evidenziare che si tratta di uno strumento che ha natura sostanzialmente stragiudiziale, finalizzato a facilitare le trattative tra il debitore ed i suoi creditori ed eventualmente alla conclusione di un accordo su base consensuale, che, come nel caso del piano attestato di risanamento ex art. 56 CCII, potrà beneficiare dell'esenzione dalle revocatorie. Questo istituto non potrà essere considerato quale procedura concorsuale, in quanto la struttura disciplinata dal Codice è finalizzata all'individuazione di una soluzione esclusivamente su base consensuale, non attuando alcun concorso di creditori “autoritativo”, salvo che per quelle misure (solo eventuali e temporanee) e puramente strumentali al predetto fine, quali il ricorso al Tribunale per la conferma delle misure protettive ex art. 19 CCII o per ottenere l'autorizzazione al compimento di atti dispositivi specifici ex art. 22 CCII.  

In aggiunta a quanto sopra, lo strumento della composizione ha anche un differente presupposto oggettivo, rispetto agli altri strumenti messi a disposizione dal Codice della Crisi. In questo senso, se è possibile considerare ormai pacifico che lo stato di crisi rappresenta una situazione potenzialmente prodromica dello stato di insolvenza (sulla cui base viene dichiarata la successiva liquidazione giudiziale), non è altrettanto evidente come un accertato “squilibrio patrimoniale o economico che rende probabile la crisi o l'insolvenza” (così come descritto dall'art. 12 CCII) possa portare ad un vero e proprio stato di crisi o di insolvenza, mantenendo il rapporto causale richiesto dal principio giurisprudenziale.

Ne consegue che, in caso di esito negativo delle trattative, ove si procedesse all'apertura della liquidazione giudiziale, difficilmente potrebbe farsi applicazione del principio della consecuzione;

  1. relativamente al concordato semplificato ex art. 25-sexies CCII, al contrario, merita evidenziare che la struttura dello strumento è prevalentemente giudiziale ed il ruolo del Tribunale è centrale nello sviluppo della relativa procedura. L'omologazione della proposta potrà avvenire solo a valle delle verifiche da parte del Tribunale, una volta espresso il parere dell'ausiliario nominato, riguardo la fattibilità del piano e della proposta offerta dal debitore oltre che al rispetto dell'ordine delle cause di prelazione. A ciò si aggiunga che sono previsti ampi obblighi di pubblicità nei confronti dei creditori, i quali, pur non potendo esprime il proprio assenso alla proposta, possono intervenire nel procedimento opponendosi all'omologazione. Sulla base di questi motivi, ci pare che, al contrario della composizione negoziata, il concordato semplificato sia una procedura concorsuale a tutti gli effetti, così come delineata dai principi espressi dalla Corte di Cassazione, e possa quindi essere il presupposto per l'accertamento della consecuzione;
  2. rispetto agli strumenti di regolazione della crisi che il Codice della Crisi ha mantenuto rispetto alla vecchia legge fallimentare, in via generale, è possibile affermare che le modifiche effettuate dal legislatore (più marcate nei confronti del concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti e, invece, praticamente assenti nel piano attestato di risanamento) non hanno sostanzialmente mutato la conformazione di detti strumenti tanto da invertire gli orientamenti giurisprudenziali già consolidati in merito all'applicazione del principio di consecuzione. Sul punto, tralasciando la figura del concordato preventivo, rispetto al quale non vi è dubbio che permanga pienamente la natura concorsuale, occorre precisare che:
  • il piano attestato di risanamentoex art. 56 CCII rimane uno strumento a carattere stragiudiziale di natura prevalentemente privatistica, che quindi, pur appartenendo alla categoria degli strumenti di regolazione della crisi, pacificamente non rientra tra le procedure concorsuali (in tal senso, Cass. civ. 25 gennaio 2018, n. 1895);
  • rispetto all'accordo di ristrutturazione dei debiti (sia nella forma prevista dall'art. 57 CCII che in quella ad efficacia estesa ex art. 61 CCII) già nella vigenza della vecchia legge fallimentare la Corte di Cassazione aveva evidenziato la sua natura concorsuale (in tal senso Cass. civ. 18 gennaio 2018, n. 1182, Cass. civ. 12 aprile 2018, n. 9087 e Cass. civ. 21 giugno 2018, n. 16347). Con il nuovo Codice della Crisi, al più, tale natura è divenuta più marcatamente giudiziale, anche considerando l'applicazione a questo strumento delle norme in materia di procedimento unitario, nonché, la possibilità di estendere/imporre gli effetti dell'accordo anche a creditori non aderenti di qualunque specie e anche diversi dagli intermediari finanziari  (in tal senso, M. Arato, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti tra la giurisprudenza della Cassazione e il codice della crisi e dell'insolvenza, in ilcaso.it, 9 ottobre 2018);
  • rispetto al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (c.d. “PRO”) previsto dagli artt. 64-bis e seguenti, e nonostante l'ampia libertà lasciata al debitore nel derogare ai principi concorsuali fondamentali (ivi inclusa la possibilità di non prevedere alcun soddisfacimento per alcuni dei creditori), la natura giudiziale del procedimento, la necessità di ottenere un consenso unanime delle classi di creditori, il coinvolgimento obbligatorio di tutti i creditori del debitore, nonché le affinità non solo procedurali con l'istituto del concordato preventivo (nel quale può essere convertito, in caso di mancata approvazione da parte dei creditori, ai sensi dell'art. 64-ter CCII), fanno propendere verso la natura concorsuale del nuovo strumento. Anche in questo caso, quindi, l'esito negativo dell'omologazione e la conseguente apertura della liquidazione giudiziale non potranno che portare all'applicazione del principio della consecuzione e dei relativi effetti.

Da ultimo, e benché l'amministrazione straordinaria sia disciplinata da un testo normativo  differente rispetto al Codice della Crisi, merita tuttavia evidenziare che gli orientamenti costanti della giurisprudenza fanno rientrare nel perimetro di applicazione del principio della consecuzione anche questo istituto: sia nel caso in cui l'amministrazione straordinaria segua ad un concordato preventivo conclusosi negativamente, che nel caso in cui all'amministrazione straordinaria segua la dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, ferma restando, in ogni caso, la necessità di accertare la “coincidente situazione di dissesto dell'impresa, in base alla quale le varie procedure restano avvinte da un rapporto di continuità causale e unità concettuale” (cfr. Cass. civ. 13 settembre 2021, n. 24632; in tal senso anche Cass. civ. nn. 9581/1997, 11090/2004, 13838/2019).

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I principali effetti dell'applicazione del principio di consecuzione nel Codice della Crisi

Chiarito il nuovo contesto processuale, occorre ora verificare gli effetti principali che l'accertamento della consecuzione tra procedure comporta nell'apertura della successiva liquidazione giudiziale.

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(segue) l'art. 6: il destino della prededuzione concordataria nell'ambito della successiva liquidazione giudiziale

In generale, l'art. 6 CCII definisce l'ambito di estensione del regime della prededucibilità in sostituzione dell'art. 111 l. fall. non più vigente, eliminando il relativo riferimento generale ai “crediti sorti in funzione ed in occasione” di una procedura concorsuale, ma, al contrario, elencando una serie di crediti che godono della prededuzione proprio in forza di questa norma.

Così, oltre ai crediti così espressamente qualificati dalla legge, ai fini di quel che qui interessa sono considerati prededucibili:

  1. i crediti professionali sorti in funzione della domanda di omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che gli accordi siano omologati;
  2. i crediti professionali sorti in funzione della presentazione della domanda di concordato preventivo nonché del deposito della relativa proposta e del piano che la correda, nei limiti del 75% del credito accertato e a condizione che la procedura sia aperta ai sensi dell'articolo 47;
  3. i crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore, la continuazione dell'esercizio dell'impresa, il compenso degli organi preposti e le prestazioni professionali richieste dagli organi medesimi.   

Al successivo comma viene da ultimo precisato che “la prededucibilità permane anche nell'ambito delle successive procedure esecutive e concorsuali”.

In merito ai crediti professionali sorti in funzione delle procedure concorsuali di concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti (punti sub a) e b)), occorre, in primo luogo, rilevare che, grazie alla nuova formulazione prevista dal Codice della Crisi, viene, di fatto, superato l'ampio dibattito che con la legge fallimentare era sorto circa il nesso tra l'utilità della prestazione apportata dal professionista ed esito della procedura per cui la stessa era stata resa. Sul punto era da ultimo intervenuta la Corte di Cassazione (sez. un., 31 dicembre 2021, n. 42093) precisando che, perché potesse  essere attribuita la prededuzione al professionista, doveva essere accertato “se la relativa prestazione, anteriore o posteriore alla domanda di cui all'art. 161 l.fall., sia [fosse] stata funzionale, ai sensi dell'art. 111, comma 2, l. fall., alle finalità della prima procedura, contribuendo con inerenza necessaria, secondo un giudizio “ex ante” rimesso all'apprezzamento del giudice del merito, alla conservazione o all'incremento dei valori aziendali dell'impresa, sempre che il debitore sia stato poi ammesso al concordato ex art. 163 l.fall.”.

Con le previsioni di cui all'art. 6, comma 1, ed in linea con gli orientamenti della Suprema Corte, il Codice sposa quindi la tesi più restrittiva, che, dando maggior rilievo all'espressione “in funzione”, si lega al dato oggettivo, certo e verificabile dell'esito della procedura concorsuale per confermare l'utilità della prestazione e così attribuirle il rango prededucibile.

In questa sede, ci si limita tuttavia a rilevare che la formulazione letterale dell'articolo, con l'espresso riferimento ai soli concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione, fa sorgere il dubbio circa la natura dei crediti professionali sorti nell'accesso agli altri strumenti previsti dal Codice della Crisi, non ultimo l'accesso alla procedura maggiore di liquidazione giudiziale su istanza del debitore stesso. Sul punto, peraltro, non vi è alcuna indicazione nel Codice, salvo in materia di liquidazione controllata del sovraindebitato, laddove, all'art. 277, comma 2, CCII si prevede che “I crediti sorti in occasione o in funzione della liquidazione sono soddisfatti con preferenza rispetto agli altri, con esclusione di quanto ricavato dalla liquidazione dei beni oggetto di pegno e ipoteca per la parte destinata ai creditori garantiti”.

In ogni caso, auspicando un intervento correttivo da parte del legislatore, nonostante il carattere di specialità della norma, risulta essenziale che il portato dell'art. 6 CCII debba essere interpretato analogicamente, così ricomprendendo tutte queste ipotesi.

Con riferimento poi ai “crediti legalmente sorti durante le procedure concorsuali per la gestione del patrimonio del debitore” (di cui al punto d) dell'art. 6 CCII), il Legislatore pare voler ricomprendere tra i crediti prededucibili quelli c.d. di gestione, ovvero  quelli sorti tra il decreto di ammissione ed il decreto di omologazione, quali crediti conseguenti a negozi conclusi dal debitore per l'esercizio dell'impresa, autorizzati dal giudice delegato se rientranti nella straordinaria amministrazione, ovvero crediti sorti per il funzionamento della procedura o per l'assistenza professionale del debitore durante la stessa, sulla scorta dell'ormai unanime orientamento giurisprudenziale (ex multis, Cass.  civ. 25 luglio 2007, n.16426).

Allo stesso modo, facendo applicazione dello stesso orientamento giurisprudenziale da cui origina la norma, pare verosimile confermare che tali crediti possano essere considerati prededucibili, anche se sorti a valle dell'omologazione o in esecuzione della procedura concordataria, almeno per quanto riguarda  i crediti che “sorgano da nuovi contratti, anche non espressamente contemplati dal piano concordatario, stipulati dal debitore (…) ed ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano medesimo e dell'adempimento della proposta” (Trib. Genova, 3 marzo 2022; in tal senso, Cass. civ. 3 gennaio 2023, n. 43 e in dottrina, G.B. Nardecchia, Atti di ordinaria amministrazione, atti legalmente compiuti e consecuzione delle procedure, il Fallimento, 2019, 1022; in senso contrario A. Guiotto, La prededuzione dei crediti post omologazione e la consecuzione di procedure tra orientamenti consolidati e Codice della Crisi, il Fallimento, 2022, 1134).   

Guardando poi al secondo comma dell'art. 6, il Codice della Crisi positivizza il principio giurisprudenziale della consecuzione, prevedendo espressamente che la prededucibilità, così come riconosciuta nella prima procedura, permanga anche nelle successive procedure concorsuali.

In forza della previsione sopra richiamata, parrebbe quindi confermata la permanenza della prededuzione nelle successive procedure, in via, di fatto, “automatica” e, quindi, a prescindere dall'accertamento causale della consecutività (in tal senso A. Guiotto, La prededuzione dei crediti post omologazione e la consecuzione di procedure tra orientamenti consolidati e Codice della Crisi, in  Fallimento, 2022, 1134).

Al contrario, parte della dottrina (L. Picardi, sub art. 6 CCII, in Di Marzio (diretto da), Codice della Crisi e dell'Insolvenza, 2022, Milano), ritiene che, al netto della formulazione letterale della norma, affinché venga riconosciuta la prededuzione anche nella successiva procedura non si possa prescindere dall'accertamento in fatto della consecuzione, trattandosi di un presupposto essenziale e sistematico per l'applicazione della norma.

Sul punto, al netto delle future applicazioni giurisprudenziali, pare evidente che, fermo l'accertamento della consecuzione nei casi limite, non si possa prescindere dalla formulazione letterale della norma, la quale, in ogni caso, non pone alcuna limitazione all'applicazione del principio.

Questa lettura pare peraltro essere confortata dall'intera logica utilizzata del Codice della Crisi in merito alla consecuzione, anche considerando che il successivo comma 2 dell'art. 170 CCII, al pari dell'art. 6 CCII, consente la retrodatazione del periodo sospetto per le revocatorie al momento di pubblicazione della domanda di accesso alla precedente procedura concorsuale, senza che venga richiesto alcun accertamento rispetto alla effettiva consecuzione delle procedure e quindi circa l'unitarietà del presupposto oggettivo di entrambe le procedure.

*

(segue) la conseguente efficacia degli atti compiuti dal debitore nel contesto della precedente procedura di concordato preventivo nell'ambito della successiva liquidazione giudiziale

Nel caso di apertura della liquidazione giudiziale all'esito negativo di una procedura di concordato si pone il problema della sorte degli atti compiuti dal debitore durante la prima procedura, sia con riferimento a quelli compiuti prima dell'omologazione (e sino al periodo riservato ex art. 44, comma 1, lett. a)) che quelli compiuti dopo l'omologazione, ma prima dell'eventuale risoluzione e/o annullamento.

In merito, non vi sono indicazioni specifiche da parte del Codice della Crisi, ad eccezione del comma 3 dell'art. 116 CCII, che precisa che, nel caso in cui il piano di concordato preveda il compimento di operazioni straordinarie sul capitale sociale del debitore durante la procedura o dopo la sua omologazione, gli effetti di queste rimangono irreversibili, anche in caso di risoluzione o annullamento del concordato. E questo, a maggior ragione nel caso in cui venga accertata la consecuzione tra la procedura concorsuale e la successiva liquidazione giudiziale.

Sul punto, tuttavia, rileva quanto previsto dall'art. 166, comma 3, lett. e), CCII, il quale esonera da revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie sui beni del debitore posti in essere in esecuzione del concordato preventivo, del piano di ristrutturazione di cui all'art. 64-bis CCII omologato e dell'accordo di ristrutturazione omologato ed in essi indicati.

Fermo quanto precede, facendo applicazione di quanto previsto dal combinato disposto dell'art. 6, comma 1, lett. d),  e comma 2, CCII, nonché dall'art. 166, comma 3, lett. e) CCII, nel caso in cui la precedente procedura concorsuale abbia avuto un esito infausto (per revoca del decreto ammissivo, mancata approvazione, mancata omologazione o risoluzione) e, accertati i presupposti per l'applicazione del principio della consecuzione, venga aperta la liquidazione giudiziale, è possibile rilevare che:

  1. quanto agli atti compiuti nel corso della procedura (e quindi dal deposito del ricorso per concordato e sino alla sua omologazione), essi potranno essere considerati non revocabili se compiuti in linea con quanto previsto dall'art. 94 CCII. In questo senso, così come previsto dal sistema previgente, gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione compiuti in mancanza dell'autorizzazione da parte del Tribunale potranno essere dichiarati inefficaci da parte del curatore con la specifica azione ex art. 94 CCII e non con l'azione revocatoria (in linea con quanto previsto dalla vecchia legge fallimentare);
  2. quanto agli atti compiuti successivamente all'omologazione, al pari di quanto detto rispetto al riconoscimento della natura prededucibile dei crediti sorti post omologa, potranno essere considerati intangibili o comunque non revocabili, se compiuti legittimamente ed in linea con quanto disposto dal piano omologato.

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(segue) l'art. 107, comma 2, CCII: la datazione del c.d. periodo sospetto per l'azione revocatoria

L'art. 170, comma 2, CCII, come anticipato precedentemente, prevede che “quando alla domanda di accesso a una procedura concorsuale segue l'apertura della liquidazione giudiziale, i termini di cui agli articoli 163, 164, 166, commi 1 e 2, e 169 decorrono dalla data di pubblicazione della predetta domanda di accesso”.

La norma consente di far retroagire al giorno di pubblicazione della domanda di accesso ad una procedura concorsuale il dies a quo da cui decorrono i termini per le azioni revocatorie previste all'art. 163 per gli atti a titolo gratuito, all'art. 164 per i pagamenti di debiti scaduti o postergati, all'art. 166, commi 1 e 2, per gli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie, e  all'art.69 per gli atti compiuti tra coniugi.

L'introduzione nell'art. 170 del comma 2 ad opera del d.lgs. n. 147/2020, conferma l'operatività del criterio della consecutio , giustificando l'esistenza del doppio termine di cui al primo comma della norma.

Alla luce di tutto quanto sino ad ora detto in questa sede, occorre ancora evidenziare che la norma, nel tessuto del Codice, potrebbe apparire anche superflua per la formulazione delle singole previsioni della Sezione IV relativamente alle azioni revocatorie. Giova evidenziare, infatti, che negli artt. 163 ss. CCII il periodo sospetto non viene più agganciato alla “dichiarazione di fallimento” (come nel caso dell'art. 69-bis l. fall.), bensì al deposito della domanda cui è seguita l'apertura della liquidazione giudiziale, intendendosi quindi il ricorso ex art. 40 CCII, e cioè la domanda che può dare corso alla procedura riservata ex art. 44, comma 1, lett. a), CCII, al procedimento di concordato preventivo o al procedimento di omologazione degli accordi di ristrutturazione, ovviamente – ai fini delle previsioni in esame – nei casi in cui questi procedimenti abbiano esito negativo e sfocino nella liquidazione giudiziale.

Conclusioni

Il Codice della Crisi ha inteso dare continuità a tutte le disposizioni sulle quali nella legge fallimentare si fondava il principio di consecuzione delle procedure concorsuali. Conseguentemente, come si è visto, il predetto principio risulta oggi ancora valido ed applicabile, trovando fondamento nel nuovo impianto normativo, il quale, pur non definendolo, lo pone alla base delle sue norme.

L'introduzione del procedimento unico, poi, nonché le norme processuali di connessione tra le differenti procedure, consentono di evidenziare con maggior efficacia la continuità sostanziale della crisi, la quale necessariamente ha il suo svolgimento entro un unico contesto processuale e nei termini di una disciplina maggiormente analitica, che, più efficacemente della legge fallimentare, incanala il debitore in stato di crisi e/o di insolvenza nella successione degli strumenti messi a disposizione del Codice.

In questo senso, quindi, e sempre in linea generale, è possibile concludere, ferme le future decisioni giurisprudenziali sul punto, che il nuovo sistema normativo sembra consentire di considerare la consecuzione tra procedure un principio generalmente applicabile, secondo il quale, in mancanza di espressa previsione normativa e verificati i presupposti sopra evidenziati, i principali effetti della liquidazione giudiziale aperta successivamente all'esito infausto di una precedente procedura concorsuale sono anticipabili al momento della presentazione della domanda di accesso alla procedura concorsuale stessa, salvo ovviamente la compatibilità della rispettive discipline da valutare caso per caso, così discostandosi dall'orientamento di alcune recenti statuizioni emesse dalla Suprema Corte nella vigenza della legge fallimentare (si veda sul punto Cass. civ.  16 febbraio 2022,  n. 5090, secondo cui “il principio di unitarietà delle procedure concorsuali succedutesi senza soluzione di continuità non può essere considerato come un autonomo criterio normativo, destinato a risolvere tutti i problemi di successione tra le procedure, costituendo piuttosto un enunciato meramente descrittivo di soluzioni regolative aventi specifiche e distinti fonti normative”). Al contrario, con l'introduzione del Codice della Crisi, fermi i presupposti sopra evidenziati, pare ragionevole ritornare a considerare applicabili gli orientamenti giurisprudenziali precedenti, secondo cui al “principio di consecuzione deve infatti riconoscersi valenza di carattere generale” (in tal senso Cass. civ.  8 luglio 2022, n. 21758 e Cass. civ.  31 marzo 2021, n. 8996).

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