La liquidazione del danno patrimoniale per «assistenza medica futura»

La Redazione
12 Aprile 2024

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8371 del 28 marzo 2024, si esprime sul delicato tema riguardante il danno che nel tempo continua a produrre effetti, formulando in relazione allo stesso un importante principio di diritto.

Questo il principio enunciato:

«Il danno patrimoniale per spese di assistenza vita natural durante, consistente nella necessità di dovere retribuire una persona che garantisca l'assistenza personale ad un soggetto invalido, è un pregiudizio permanente che si produce "de die in diem", per la cui liquidazione occorre distinguere il danno passato, ossia già verificatosi, che presuppone che il danneggiato abbia dimostrato (anche attraverso presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.) di aver sostenuto dette spese, dal danno futuro, ossia non ancora verificatosi al momento della decisione ma che si verrà ragionevolmente a determinare per tutta la durata della vita residua del danneggiato».

La questione riguarda dunque «il danno patrimoniale per spese di assistenza vita natural durante» che si genera di giorno in giorno e solleva una pluralità di tematiche che vanno dall'inquadramento rispetto al danno futuro alle regole che ne disciplinano la liquidazione.

Venendo ai fatti del caso specifico, occorre sottolineare che la pronuncia oggetto dell'odierna impugnazione aveva confermato la condanna di una società in solido con il proprio assicurato per la RCA, a risarcire il danno patrimoniale «per le spese di futura assistenza medica». Entrambi erano stati convenuti in giudizio perché fossero condannati a risarcire tutti i danni scaturiti dal sinistro in cui nel 2010 era rimasto vittima Tizio che, viaggiando in qualità di terzo trasportato su di un ciclomotore (assicurato dalla società e di proprietà dell'assicurato), subiva gravissime lesioni personali, comportanti postumi di invalidità del 90%, per la collisione del mezzo contro un terrapieno di roccia collocato sul margine della strada, provocata dalla turbativa originante da una manovra di un veicolo mai identificato.

All'esito del giudizio ex art. 394 c.p.c., il giudice del rinvio riconosceva il danno patrimoniale «per le spese di futura assistenza medica», liquidandole nella somma di 2.554.832 oltre interessi, peraltro «da scontare con il coefficiente di capitalizzazione» e «fermo restando lo scomputo con quanto determinato per tale tipo di voce dal primo giudice e già corrisposto». Avverso la sentenza della Corte ambrosiana, la società proponeva ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi di cui il primo - denunciante violazione e falsa applicazione degli artt. 1223,1226, 2056 c.c., in ragione della «omessa distinta liquidazione del danno patrimoniale futuro da spese per assistenza medica nella componente danno passato e nella componente danno futuro» - veniva accolto.

La ricorrente deduceva che in relazione al danno patrimoniale proveniente dalle spese mediche per l'assistenza alla vittima dell'illecito, era necessario distinguere e liquidare separatamente «un danno patrimoniale passato e una componente per il futuro». In particolare, per quanto riguardava le spese già sostenute, si prefigurava di netto l'alternativa seguente: «il danneggiato deve dimostrare di averle effettivamente sostenute (anche attraverso presunzioni semplici, ai sensi dell'articolo 2727 del codice civile), altrimenti non può essere effettuata alcuna liquidazione», trattandosi di un danno emergente.

Tuttavia, secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe erroneamente applicato un metodo di calcolo basato su una previsione di spesa per l'assistenza domiciliare, che si basava sulla «retribuzione giornaliera degli assistenti domestici», prendendo in considerazione le tabelle retributive del CCNL Colf e Badanti applicabili ratione temporis, relative a lavoratori classificabili come «assistente a persona non autosufficiente», e considerando un trattamento annuale retributivo e previdenziale di euro 19.844,72, con l'obbligo di attualizzare gli importi in base all'incremento progressivo delle tabelle retributive del CCNL.

Questo approccio aveva portato alla liquidazione complessiva di euro 2.554.832 che, secondo la parte ricorrente, sarebbe stata somma includente in modo improprio anche le spese di assistenza le quali, almeno fino a maggio 2013, parte attrice avrebbe dovuto dimostrare di aver sostenuto, potendo fare previsioni di spesa solo per il futuro. L'importo di queste ultime sarebbe risultato di euro 377.689,56 dovendosi escludere - dalla somma calcolata dalla Corte territoriale - «i primi tre anni del compendio risarcitorio liquidato» dalla stessa, che ipotizzava una sopravvivenza di 50 anni del danneggiato.

La Suprema Corte, accogliendo il motivo di ricorso, ha ricordato una recente pronuncia in cui veniva ribadito che «il pregiudizio patrimoniale consistente nella necessità di dovere retribuire una persona che garantisca l'assistenza personale ad un soggetto invalido è un danno permanente, che si produce "de die in diem"» e poiché di regola «il giudice interviene a liquidare tale danno in un momento successivo rispetto a quello nel quale esso si è determinato e il relativo onere economico è insorto» esso «sarà chiamato a tradurre in moneta sia un danno che si è già verificato sia un danno che dovrà ancora verificarsi», essendo dunque «evidente che le due operazioni di cui si è detto non possono essere regolate con lo stesso criterio» (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 13 giugno 2023, n. 16844, Rv. 667870-02).

Nello specifico, quando «si tratti di liquidare un danno passato permanente che si assuma essere consistito nella necessità di una spesa periodica per assistenza, delle due l'una: o il danneggiato dimostra di averla sostenuta (anche attraverso presunzioni semplici, ex art. 2727 c.c.), oppure nessuna liquidazione può essere consentita», e ciò perché – a differenza di quanto mostra di ritenere la sentenza impugnata – il «danno per spese di assistenza», quando «si assuma essere già maturato al momento della liquidazione, è rappresentato dalla spesa sostenuta, non dalla necessità di sostenerla» (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. n. 16844 del 2023, cit., che richiama anche su questo punto Cass. Sez. 3, sent. 20 aprile 2016, 7774).

In accoglimento di tale primo motivo di ricorso, la Cassazione cassava la sentenza impugnata rinviando alla Corte d'appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione nel merito, alla luce dell'enunciato principio di diritto.

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