Risvolti applicativi della mediazione demandata quale condizione di procedibilità ope iudicis

Roberta Nardone
15 Aprile 2024

La Suprema Corte esplicita l'applicazione, anche nella mediazione demandata  (o ope iudicis) dei principi cristallizzati in tema di mediazione ope legis in ordine alla natura, non perentoria, del termine  assegnato dal giudice per l'introduzione del procedimento.

Massima

In tema di mediazione demandata ex art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 28/2010, il termine di quindici giorni disposto dal giudice non ha natura perentoria, in quanto dal tenore letterale dell'art. 5, comma 2-bis, del medesimo decreto (nella formulazione applicabile ratione temporis) si ricava che la dichiarazione di improcedibilità non è collegata dal legislatore al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione, essendo, peraltro, tale conclusione compatibile con la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis, consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche.

Il caso

In un giudizio di opposizione avverso decreto ingiuntivo ottenuto per il pagamento di una penale contrattuale, il Tribunale di Firenze, nel 2015, aveva dichiarato improcedibile  l'opposizione  ex art.645 c.p.c. in quanto l'opponente non aveva rispetto  il termine di quindici giorni assegnato dal giudice per avviare la mediazione demandata di cui all'art. 5, comma 2, d.lgs n.28/2010, all'epoca vigente. Di contrario avviso la Corte di appello che, in riforma della sentenza di primo grado, ritenuta procedibile l'opposizione, decideva nel merito  escludendo la sussistenza del credito azionato in monitorio dall'ingiungente che interponeva ricorso in Cassazione.

La S.C. decideva con la pronuncia in commento.

La questione

Secondo la prospettazione del ricorrente,  la natura perentoria del termine di quindici giorni, previsto dalla disciplina del d.lgs n.28/2010, ratione temporis vigente (quindi prima della riforma di cui al d.lgs. n.149/2022) seppur non espressamente affermato dal decreto sulla mediazione  poteva ricavarsi in via interpretativa  dallo scopo e dalla funzione del medesimo.

Le soluzioni giuridiche

Va precisato che l'attuale contesto normativo è in parte cambiato  per effetto delle modifiche introdotte dalla c.d. Riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022) alcune delle quali incidenti proprio sulle questioni esaminate nella sentenza in commento nella quale la Suprema Corte si trova  a fare applicazione della normativa previgente che ancora contemplava, sia per la mediazione ope legis (all'art. 5, comma 1-bis) che per la mediazione demandata (art. 5, comma 2) l'assegnazione da parte del giudice del termine di 15 giorni per esperire il procedimento eliminato dal d.lgs. n.149/2022 (vedi gli attuali art. 5, comma 2 e art. 5-quater). Ai sensi dell'art. 41 del d.lgs. n. 149/2022, come novellato dalla legge di bilancio n.197/2022, le novità in materia erano applicabili, infatti, solo dal 30 giugno 2023.

Già la giurisprudenza pretoria, tuttavia, e la stessa Suprema Corte avevano fornito una interpretazione del detto termine di 15 giorni come non perentorio  in ossequio alla ratio legis con pronunce che hanno costituito l'imput per i correttivi introdotti dalla Riforma Cartabia (oltre a Cass. civ., sent., n. 40035/2021 si vedano per il merito Trib. Roma, sez. VI, sent. n. 10740/2015, e Trib. Roma, sez. VI, ord. 6 luglio 2016; App. Firenze, sez. I, 13/01/2020, n.65).

Anche la Commissione Alpa aveva auspicato la eliminazione del termine per la presentazione della domanda di mediazione affinché non vi fossero equivoci sul fatto che la sanzione dell'improcedibilità riguardava solo il mancato svolgimento (tout court) della mediazione (art. 5, comma 2).

Il decreto legislativo già forniva univoche indicazioni - art. 5, comma 2-bis e l'art.5 comma 2 - con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione e non al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. Come è stato evidenziato (Trib. Verona sent. n.431/2023) dette disposizioni  «… appaiono la chiave di volta per la ricostruzione interpretativa della normativa sulla mediazione demandata perché indicano il necessario parametro di riferimento cui agganciare la declaratoria giudiziale di improcedibilità della domanda giudiziale».

Anche la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis e cioè la ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche, mal si concilia con la tesi della natura perentoria del termine, che finirebbe per giustificare il paradosso di non poter considerare utilmente esperite le mediazioni conclusesi senza pregiudizio per il prosieguo del processo solo perché tardivamente attivate, e così escludendo in un procedimento deformalizzato qual è quello di mediazione l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo. Appare, pertanto, più coerente con la sistematica interpretazione delle disposizioni sulla mediazione e con la finalità della mediazione demandata dal giudice in corso di causa privilegiare la verifica dell'effettivo esperimento della mediazione. Tale verifica deve svolgersi all'udienza fissata dal giudice con il provvedimento con cui aveva disposto l'invio delle parti in mediazione. Se in quella udienza risulta che vi sia stato il primo incontro dinanzi al mediatore conclusosi senza l'accordo (D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2-bis), il giudice non potrà che accertare l'avveramento della condizione di procedibilità e proseguire il giudizio. Così intesa, la norma raggiunge lo scopo cui è rivolta e cioè favorire, ove possibile ed in termini effettivi, forme alternative ma altrettanto satisfattive di tutela mediante la composizione amichevole delle liti ed al contempo conferma il carattere di extrema ratio che il legislatore della mediazione riconosce, in prospettiva deflattiva, alla tutela giurisdizionale. Tale interpretazione risulta altresì conforme al principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata d.lgs. n. 28/2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione dell'art. 7 del d.lgs. n. 28/2010, a mente del quale «Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della l. n. 89/2001, art. 2».

La Corte, nella sentenza in commento, richiama esplicitamente il proprio precedente del 2021 (la pronuncia n. 40035 del 14/12/2021) che aveva negato carattere di perentorietà al termine di quindici giorni disposto dal giudice per dar corso alla mediazione delegata, ritenendo soddisfatta la condizione di procedibilità di cui all'art. 5 comma 2, del d.lgs. n. 28/2010 (all'epoca vigente) se, entro l'udienza di rinvio fissata dal giudice, vi fosse stato il primo incontro delle parti innanzi al mediatore, conclusosi senza l'accordo.

Il Supremo Collegio ribadisce che tale conclusione:

- si basa sul tenore letterale della prescrizione di cui all'art. 5, comma 2 bis, del d.lgs. n. 28/2010 – ovviamente la Corte si riferisce alla disposizione applicabile ratione temporis ovvero quella antecedente il d.lgs. n.149/2022 , a mente del quale «quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo»; segno che il legislatore non ha collegato la dichiarazione di improcedibilità al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda, bensì al solo evento dell'esperimento del procedimento di mediazione;

- trae conforto dell'art. 152, comma 2, c.p.c. posto che il termine di quindici giorni non è stato qualificato come perentorio;

- è suffragata dalla necessità che il giudice fissi una successiva udienza tenendo conto della scadenza del termine massimo della durata della mediazione;

- è compatibile con la ratio legis sottesa alla mediazione obbligatoria ope iudicis, consistente nella ricerca della soluzione migliore possibile per le parti, dato un certo stato di avanzamento della lite e certe sue caratteristiche che poco si concilierebbero con la tesi della natura perentoria del termine, atteso che finirebbe per frustrare l'operatività del generale principio del raggiungimento dello scopo;

- è coerente con il principio della ragionevole durata del processo, perché la verifica all'udienza fissata D.Lgs. n. 28 del 2010, ex art. 5, comma 2, è già ricompresa nell'intervallo temporale delimitato dalla previsione del d.lgs. n. 28/2010, art. 7, a mente del quale «Il periodo di cui all'art. 6 e il periodo del rinvio disposto dal giudice ai sensi dell'art. 5, commi 1-bis e 2, non si computano ai fini di cui della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2».

Riferimenti

Bove M., La Riforma del processo civile. Commento alla legge n.206 del 26 novembre 2021, in Guida al Diritto, Sole24ore, 2022;

Di Marco G., La riforma del Processo civile, (a cura di) Giampaolo Di Marco, Giappichelli Editore, 2022;

Briguglio A., Avanti con la ennesima riforma del rito civile purché sia solo (tutt'altro che decisiva ma) modestamente utile e non dannosa, in Giustizia civile.com, n. 6/2021;

Nardone R., Mediazione obbligatoria e processo, Bussola del 18 maggio 2020 in IUS processo civile;

Metafora R., Mediazione (procedimento di), Bussola del 1 giugno 2020 in IUS processo civile 

Metafora R., Riforma processo civile: la mediazione delegata, Focus del 26 aprile 2023 in IUS processo civile .

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