I rimedi (ripristinatori o risarcitori) in capo al conduttore a fronte del fittizio diniego di rinnovazione del contratto di locazione

15 Aprile 2024

A seguito della mancata attuazione, da parte del locatore, dell'intenzione posta a fondamento della disdetta, intimata solo sulla base dei tassativi motivi contemplati dalla legge sul c.d. Equo canone, l'art. 31 di tale legge contempla, per le locazioni ad uso diverso da quello abitativo, due distinti rimedi in capo al conduttore, ossia il ripristino del contratto di locazione (con il rimborso delle spese di trasloco) o il risarcimento del danno (in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone). In ogni caso, è fatto salvo, poi, il diritto dello stesso conduttore alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Si prevede, infine, che il giudice, oltre i rimedi ripristinatori o risarcitori di cui sopra, debba ordinare al locatore inadempiente il pagamento di una somma da devolvere al Comune nel cui territorio è sito l'immobile locato.

Introduzione. Il quadro normativo

A seguito della mancata attuazione, da parte del locatore, dell'intenzione posta a fondamento della disdetta intimata dal locatore - da considerarsi “titolata”, in quanto imprescindibilmente connessa con i tassativi motivi di cui all'art. 29 della l. n. 392/1978 - il successivo art. 31 contempla due distinti rimedi in capo al conduttore, ossia il ripristino del contratto (con il rimborso delle spese di trasloco) o il risarcimento del danno (in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone).

La scelta dello strumento riparatorio (ripristinatorio o risarcitorio) spetta allo stesso conduttore, il quale può proporre anche una domanda alternativa, ma deve, in ogni caso, individuare il rimedio di cui voglia avvalersi in corso di causa (Trib. Salerno 24 aprile 1984).

Tale scelta, peraltro, non è irreversibile, potendo il conduttore modificarla nel corso del giudizio: quindi, se abbia originariamente chiesto il ripristino del contratto di locazione e successivamente proposto, nell'àmbito dello stesso giudizio, domanda di risarcimento dei danni, pure prevista dal citato art. 31, tale richiesta è ammissibile, costituendo la stessa una semplice emendatio libelli (secondo Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1700, sulla base del principio generale di cui all'art. 2058 c.c., secondo cui il risarcimento del danno per equivalente si atteggia come la forma, per così dire, tipica di ristoro del pregiudizio subìto dal creditore per effetto dell'inadempimento dell'obbligazione da parte del debitore, mentre il risarcimento in forma specifica, essendo diretto al conseguimento dell'eadem res dovuta, tende a realizzare una forma più ampia e, di regola, più onerosa per il debitore, di ristoro del pregiudizio dallo stesso arrecato).

In mancanza della fissazione di un termine per la proposizione della domanda di ripristino o di risarcimento, si è opinato che debba trovare applicazione il disposto dell'art. 2948, n. 3 c.c., che indica in cinque anni il termine di prescrizione per ogni altro corrispettivo di locazione diverso dalle pigioni e dai fitti; sembra, però, più corretto ritenere che, proprio in ragione dell'assenza di una previsione specifica al riguardo, si applichi la prescrizione ordinaria decennale.

Sul punto, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 16 giugno 1984, n. 3603) ha chiarito che il termine prescrizionale decorre dal momento in cui, con il rilascio, il locatore abbia ottenuto la disponibilità dell'immobile, salvo che non sia stato assegnato, con il provvedimento giudiziale, un più ampio termine, nel qual caso il dies a quo si individua quando il termine risulta trascorso senza che sia stata in concreto offerta all'immobile la dichiarata destinazione.

Sussiste, poi, un limite temporale intrinseco alla proponibilità dell'azione ripristinatoria o risarcitoria, data dal protrarsi del godimento dell'unità immobiliare per l'intera durata del secondo sessennio (o novennio) della locazione; qui, infatti, si rivela insussistente il presupposto su cui la tutela si fonda, ossia che il conduttore abbia subìto la perdita della disponibilità dell'immobile alla prima scadenza del rapporto (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1994, n. 10418).

Questione diversa - ma che merita analoga risposta - è se il ripristino del contratto possa aver luogo dopo la scadenza del secondo sessennio (o novennio) della locazione.

In proposito, si è statuito che il ripristino del contratto di locazione, previsto per il caso in cui il locatore non abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ne aveva ottenuto la disponibilità, importa che il rapporto prosegua fino all'originaria scadenza, restando escluso che quest'ultima possa essere prorogata per un periodo uguale alla durata del mancato godimento dell'immobile da parte del conduttore (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 1994, n. 1796; Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1991, n. 6346); quest'ultimo, pertanto, dopo lo spirare del termine di durata del contratto locativo, non ha più diritto al ripristino del rapporto, ma solo al risarcimento del danno (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1997, n. 4198).

Il ripristino del contratto

Dunque, ai sensi dell'art. 31, comma 1, della l. n. 392/1978, il conduttore può chiedere la reintegra nel godimento dell'immobile alle stesse condizioni stabilite nell'originario contratto che, alla prima scadenza, si sarebbe rinnovato per un altro sessennio o novennio: l'intervento giudiziale determina così la reviviscenza del contratto cessato e, a seguito del ripristino, il conduttore ed il locatore riacquistano i diritti e gli obblighi fondati sul contratto, che continua a disciplinare il rapporto fino alla successiva, naturale, scadenza.

Il ripristino, come dispone la seconda parte del comma 1, non può pregiudicare “i diritti acquistati da terzi in buona fede”, sicché, a fronte del conflitto dei titoli tra il conduttore ed il terzo, la tutela giuridica accordata dal legislatore al conduttore potrebbe non operare.

Tale disposizione prevede, però, un meccanismo diverso da quello disciplinato in via generale dall'art. 1380 c.c., secondo cui, nel conflitto tra più titolari, debba prevalere chi per primo ha conseguito il godimento dell'immobile: qui la norma attribuisce rilievo allo stato di buona o malafede del terzo, nel senso che quest'ultimo è preferito al conduttore vittorioso nell'azione di ripristino in tutti i casi in cui versi in buona fede, a prescindere che si sia o meno preventivamente immesso nella detenzione dei locali.

Inoltre, il terzo acquirente dell'immobile, se in buona fede, prevale sul conduttore, in difformità dal principio di cui all'art. 1599 c.c., riassunto nel brocardo latino emptio non tollit locatum.

Per attenuare tali conseguenze, si è sostenuto che, nel caso di vendita dell'immobile locato, l'art. 31 trova una limitata applicazione, risultando operante nella sola ipotesi in cui il terzo acquirente occupi materialmente il bene; infatti, la norma mirerebbe a tutelare più che il diritto, il fatto, ossia il godimento attuale del bene da parte del terzo in buona fede, sicché, nell'ipotesi in cui l'acquirente non abbia occupato il bene, il conflitto tra il suddetto soggetto ed il conduttore resterebbe disciplinato dall'art. 1599 c.c.

Ad ogni buon conto, la buona fede, che si presume secondo la regola generale di cui all'art. 1147 c.c., va esclusa qualora il terzo sia a conoscenza del rapporto locatizio, della sua cessazione per uno dei motivi di diniego di rinnovo previsti dall'art. 29 e del correlativo obbligo, in capo al locatore, di destinare l'immobile ad uno degli usi contemplati dall'art. 31 (di solito, il terzo sarà in buona fede, considerato che la controversia relativa al rilascio non è soggetta a trascrizione e, quindi, non è conoscibile da terzi estranei).

Ai fini della verifica della sussistenza della buona fede, occorre guardare, comunque, alla situazione in atto al momento in cui al terzo è stato trasferito l'immobile, e non a quello in cui tale soggetto abbia in ipotesi stipulato il contratto preliminare di acquisto (come puntualizzato da Cass. civ., sez. III, 22 maggio 2006, n. 11941).

Quanto alla durata del contratto ripristinato, il nuovo sessennio o novennio riprende a decorrere, secondo alcuni, da quando ha avuto luogo il ripristino, mentre la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 5 giugno 1991, n. 6346) sottolinea, viceversa, che nessuna norma preveda la protrazione del contratto per un tempo pari a quello del mancato utilizzo.

Al ripristino del contratto, si collega, infine, l'obbligazione di “rimborso delle spese di trasloco e degli ulteriori costi sopportati” dal conduttore in ragione del rilascio dell'unità immobiliare; in particolare, le spese di trasloco comprendono quelle affrontate al momento del rilascio dell'immobile locato e quelle sopportate per effetto del ripristino del contratto (v., tra le pronunce di merito, Trib. Matera 4 giugno 1985).

Il risarcimento dei danni

In alternativa al ripristino del contratto, il medesimo art. 31, comma 1, della l. n. 392/1978 prevede che il conduttore possa ottenere il risarcimento dei danni, in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione corrisposto (l'entità del danno risarcibile è, pertanto, prevista nel massimo, e non nel minimo come per le locazioni abitative).

Nell'imporre al locatore, che entro sei mesi dalla riconsegna dell'immobile non lo adibisca all'uso in vista del quale ne ha ottenuta la disponibilità, l'obbligo di risarcire il danno al conduttore, la norma de qua tende ad elidere le conseguenze pregiudizievoli che rappresentino effetti immediati e diretti dell'anticipato rilascio e, quindi, del comportamento del locatore.

Non costituiscono, pertanto, danno risarcibile, ai sensi del suddetto art. 31, né le spese occorse per la ristrutturazione del nuovo immobile preso in locazione dal conduttore, né la differenza del canone dovuto, quando essa trovi giustificazione nelle diverse caratteristiche dei due immobili (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4967).

Va, comunque, risarcito solo il danno in concreto provato: come espressamente indica anche la lettera dell'art. 31, il meccanismo risarcitorio non deroga al principio fondamentale in forza del quale deve essere risarcito soltanto il danno effettivamente arrecato e dimostrato dal danneggiato-attore; in quest'ottica, il riferimento alle quarantotto mensilità indica il limite (legalmente stabilito) entro il quale il risarcimento deve essere contenuto, limite che, evidentemente, opera quando il conduttore pretende un risarcimento maggiore e non indica, quindi, l'ammontare di una sanzione inflitta quasi a titolo di pena privata (Cass. civ., sez. III, 21 novembre 2000, n. 15037).

In seguito - sul presupposto che l'obbligo in capo al locatore, che abbia ricevuto la riconsegna dell'immobile e non lo abbia adibito, entro sei mesi, all'uso in vista del quale ne aveva ottenuto la disponibilità, di risarcire il danno al conduttore ha una duplice natura, risarcitoria e sanzionatoria, che si riverbera sui criteri di quantificazione - si è, però, affermato che il contemperamento tra il fine sanzionatorio della disposizione e quello propriamente risarcitorio può ritenersi realizzato mediante la presunzione di sussistenza del danno, comunque connesso all'anticipata restituzione dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2009, n. 1700, cit.; Cass. civ., sez. III, 28 ottobre 2004, n. 20926; cui adde, da ultimo, Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2022, n. 23269, la quale ha cassato la sentenza che aveva onerato il conduttore di provare che, dopo la disdetta del locatore, era stato costretto a locare un immobile più ampio, stante il lungo periodo temporale di tre anni per cercare un nuovo locale commerciale).

Il suddetto danno può essere liquidato dal giudice in via equitativa, sulla base delle caratteristiche del caso concreto, in difetto di prova della sua precisa entità da parte del conduttore e salva la possibilità per il locatore di superare la suddetta presunzione dimostrando l'assenza di conseguenze pregiudizievoli per il conduttore.

L'indennità di avviamento

L'ultimo inciso dell'art. 31, comma 1, fa salvo il diritto del conduttore alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, ma è sorto il dubbio se tale indennità sia dovuta anche nell'ipotesi di ripristino del rapporto o se competa nel solo caso in cui venga applicata la tutela risarcitoria.

Alcuni hanno ritenuto essere verosimilmente fondata l'impressione che il legislatore abbia collegato il pagamento dell'indennità al solo risarcimento del danno, e non anche al ripristino del rapporto.

Tale soluzione non sembra, però, convincente, non solo perché, nell'esclusivo riferimento al rimedio risarcitorio, la disposizione non avrebbe avuto alcun senso, ma anche perché l'affermata incompatibilità tra ripristino del rapporto e perdita di avviamento potrebbe rilevarsi in concreto insussistente, perlomeno nei termini assoluti in cui è assunta.

Nella normalità dei casi, infatti, il conduttore sarà reintegrato nel rapporto contrattuale a seguito di un giudizio, la cui definizione potrebbe richiedere anni, laddove costituisce un dato dell'esperienza che il mancato esercizio, per un lungo arco di tempo, dell'attività all'interno dei locali in cui la stessa veniva precedentemente svolta determini come conseguenza, di regola, una certa, non trascurabile, dispersione dell'avviamento.

La sanzione pecuniaria

Il citato art. 31, comma 2, prevede, infine, che il giudice, oltre a determinare il ripristino del contratto o il risarcimento del danno, debba ordinare al locatore il pagamento di una somma, da € 258,00 a € 1.032,00, da devolvere al Comune nel cui territorio è sito l'immobile, e che detta somma vada ad integrare il fondo di cui agli artt. 75 ss. della l. n. 392/1978.

Secondo l'opinione prevalente, la somma pecuniaria da devolvere al Comune costituirebbe l'oggetto di una vera e propria sanzione amministrativa, mentre una diversa soluzione ricostruttiva risulta espressa in una decisione di merito risalente (v. Trib. Verona 6 dicembre 1982, ad avviso del quale la norma di cui all'art. 60, comma 3, della l. n. 392/1978 - poi abrogato dalla l. n. 431/1998 - che stabiliva che il giudice, oltre a determinare il ripristino o il risarcimento, ordinava al locatore il pagamento di una somma a favore del Comune, istituiva - non una sanzione amministrativa, ma - una sanzione conseguente alla trasgressione di una norma dell'ordinamento generale).

Ad avviso della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 17 dicembre 1991, n. 13569), il pagamento della somma, che il giudice deve porre a carico del locatore ed a favore del Comune, costituisce una sanzione ulteriore del tutto subordinata all'accoglimento della domanda del conduttore, sicché l'interesse del Comune, ove è situato l'immobile, a percepire tale somma non assurge a dignità di diritto; invero, il legislatore non privilegia la posizione soggettiva del Comune alla riscossione della somma de qua, bensì il carattere sanzionatorio del provvedimento da pronunciarsi a carico del locatore.

Ne consegue che il Comune è legittimato a spiegare, in tale giudizio, solo un intervento adesivo dipendente, avendo un mero interesse alla riscossione della somma da devolvere al fondo sociale (Cass. civ., sez. III, 14 luglio 1994, n. 6600; Cass. civ., sez. III, 18 luglio 1991, n. 7979).

I profili processuali

Sul versante processuale, va puntualizzato che la legittimazione attiva, ad invocare giudizialmente il ripristino del contratto o il risarcimento del danno, compete al conduttore.

In caso di decesso di quest'ultimo, il diritto si trasferisce agli eredi, precisando, però, che il potere di richiedere tale ripristino compete ai soggetti che sarebbero subentrati nel contratto a norma dell'art. 37 della l. n. 392/1978, alla luce del sistema di successione “canalizzata” nel rapporto delineato da tale norma.

La legittimazione passiva spetta al locatore, e ciò vale anche qualora quest'ultimo non sia proprietario dell'immobile locato, mentre non va convenuto in giudizio il proprietario del bene che sia rimasto estraneo al rapporto locatizio, avendo la responsabilità risarcitoria del locatore natura contrattuale (Cass. civ., sez. III, 17 agosto 1990, n. 8383).

Nel caso di morte del locatore, l'azione va intrapresa nei confronti degli eredi di questo; nell'ipotesi, invece, di vendita dell'immobile, legittimato passivamente continuerà ad essere il locatore, essendo costui tenuto a rispondere dell'inadempimento denunciato: tale conclusione vale con riferimento ad ogni ipotesi in cui, a seguito del rilascio, il locatore abbia provveduto a costituire diritti reali o personali di godimento sul bene in contesa (usufrutto, uso, abitazione, locazione, comodato, ecc.) in favore di terzi.

Quantunque questi terzi non possano considerarsi successori del locatore, essi sono litisconsorti necessari nel giudizio introdotto dal conduttore avente ad oggetto il ripristino del contratto (Cass. civ., sez. III, 21 luglio 1962, n. 1994); tali titolari di diritti di godimento sul bene sono, quindi, legittimati a promuovere l'opposizione ordinaria di terzo, ex art. 404, comma 1, c.p.c., per ovviare al pregiudizio che tale diritto può subire per effetto dell'esecuzione della sentenza che abbia operato il ripristino in esito ad un procedimento cui sono rimasti estranei (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 1988, n. 19).

In conclusione

Per completezza, vanno evidenziate le differenze tra le summenzionate sanzioni e quelle contemplate dall'art. 3 della l. n. 431/1998 per le locazioni abitative, stante che l'art. 31 della l. n. 392/1978 non menziona l'illegittimo esercizio della facoltà di disdetta come presupposto per una qualche conseguenza a carico del locatore - si pensi all'inosservanza delle prescrizioni (formali o sostanziali), dei termini, della forma, delle motivazioni, ecc. -  essendo lo stesso locatore tenuto solo se, ottenuta la disponibilità dell'immobile per uno dei motivi di cui all'art. 29, non effettui quanto dedotto con la comunicazione di disdetta.

Riferimenti

Di Marzio, Commento all'art. 31 della l. n. 392/1978, in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 599;

Bordolli, Locazione ad uso diverso e diniego di rinnovazione, in Immob. & proprietà, 2018, 375;

Pizzimenti, Mancata attuazione del proposito indicato dal locatore quale motivo del diniego di rinnovazione e tutela del conduttore, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 509;

Tarantino, Contratto di locazione e legittimo diniego di rinnovazione alla (prima) scadenza, in Contratti, 2010, 1125;

Scarpa, Risarcimento possibile quando l'uso è diverso da quello indicato nella disdetta, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 8, 37;

Carrato, È dovuta l'indennità di avviamento anche se è nullo il divieto di rinnovo, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 2, 73;

Montesanto, Ripristino del contratto di locazione, risarcimento del danno e indennità (principale ed aggiuntiva) per la perdita dell'avviamento commerciale nel caso di rilascio dell'immobile locato per effetto di transazione a seguito di disdetta inefficace, in Rass. loc. e cond., 2006, 365;

Carrato, Profili problematici in tema di nullità e revoca del diniego di rinnovazione alla prima scadenza in correlazione con il riconoscimento del diritto alla spettanza dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, in Rass. loc. e cond., 1999, 228;

Scalettaris, La specificazione dei motivi del diniego di rinnovazione alla prima scadenza nelle locazioni non abitative, in Riv. giur. edil., 1991, I, 748;

De Tilla, Diniego di rinnovazione della locazione alla prima scadenza, specificazione dei motivi e questioni controverse, in Giust. civ., 1990, I, 2350.

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