Estinzione del reato per intervenuta prescrizione, statuizioni civili e formula assolutoria
19 Aprile 2024
La vicenda trae origine dalla pronuncia con cui la Corte d'appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato ascrittogli perché estinto per intervenuta prescrizione, con conferma delle statuizioni civili di condanna in favore della costituita parte civile. Avverso tale sentenza l'imputato proponeva ricorso per cassazione censurando la pronuncia sia agli effetti penali che agli effetti civili, con il primo motivo per inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 546, comma 1 lett. e) e 125, comma 3, c.p.p. in relazione all'art. 129, commi 1 e 2, c.p.p. nonché per contraddittorietà, illogicità manifesta e omissione della motivazione in relazione all'omessa valutazione degli elementi di prova e al travisamento del fatto. Secondo l'imputato, in particolare, la Corte di appello, pur avendo disposto ai sensi dell'art. 603 c.p.p. una perizia, in aderenza alle richieste di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale formulate dalla difesa nell'atto d'impugnazione, ha ritenuto che non emergesse dagli atti la prova incontrovertibile dell'innocenza dell'imputato, omettendo in concreto di valutare quali fossero le motivazioni ostative a un più favorevole proscioglimento nel merito rispetto alla declaratoria di prescrizione. Essendo emersa dall'elaborato peritale la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, la Corte avrebbe dovuto, in applicazione del principio enunciato dalle Sezioni Unite con sentenza n. 35490/2009, concludere per l'assoluzione nel merito. La Corte di cassazione ha annullato la sentenza di appello, evidenziando come il giudice di secondo grado, investito dell'impugnazione da parte dell'imputato della sentenza di condanna in primo grado, e in presenza della parte civile, avrebbe dovuto in primo luogo vagliare la fondatezza dell'appello concernente la statuizione sui capi penali secondo il criterio dell'oltre ogni ragionevole dubbio e pervenire all'esito assolutorio anche nei casi nei quali la prova fosse insufficiente o contraddittoria (Cass. pen., sez. un., del 28/03/2024, Calpitano, inf. provvisoria n. 5/2024; Cass. pen., sez. un., n. 35490/2009, Tettamanti). Sottolineano i giudici come «correttamente nel ricorso si è sottolineata la carente disamina dei motivi di appello laddove, da un lato, la Corte territoriale ha condiviso il ragionamento probatorio seguito dal giudice di primo grado secondo la regola di giudizio penale e, dall'altro, previa ammissione della perizia, disposta con quesiti del tutto calibrati sulla regola di giudizio dell'"oltre ogni ragionevole dubbio", ha pronunciato la causa estintiva del reato trascurando un passaggio argomentativo indispensabile, ossia l'esplicitazione delle ragioni per le quali non potesse darsi prevalenza all'assoluzione nel merito, limitandosi a valorizzare l'esclusiva incidenza del giudizio agli effetti civili. Dando prevalenza alla causa estintiva in assenza di motivazione, ha di fatto negato all'imputato appellante la disamina, nel merito, dell'atto d'impugnazione agli effetti penali». In definitiva, i giudici hanno affermato il seguente principio di diritto: «Nel giudizio di appello promosso avverso la sentenza di condanna dell'imputato anche al risarcimento dei danni, il giudice, intervenuta nelle more l'estinzione del reato per prescrizione, può pronunciare l'assoluzione nel merito, anche a fronte di prove insufficienti o contraddittorie, sulla base della regola di giudizio processual-penalistica dell'"oltre ogni ragionevole dubbio" e, solo qualora ritenga la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione prevalente, si pronuncerà sulle statuizioni civili secondo la regola processual-civilistica dei "più probabile che non"». |