Violazione del diritto alla riservatezza: quali criteri per il risarcimento del danno non patrimoniale?

La Redazione
22 Aprile 2024

La Suprema Corte si esprime nuovamente in materia di risarcimento del danno derivante dalla violazione del diritto alla riservatezza, richiamando quanto statuito da consolidata giurisprudenza di legittimità.

Il Tribunale accoglieva solo parzialmente la richiesta di risarcimento presentata da Tizia e Caio ex art. 152 d.lgs. n. 196/2003 (Codice della privacy) contro l'Azienda Sanitaria Provinciale che aveva reso pubblici sul proprio Albo Pretorio in modo del tutto illecito importanti dati sensibili riguardanti i trattamenti eseguiti per un concepimento medicalmente assistito, nonché le coordinate per l'accredito del riconosciuto rimborso ai coniugi delle spese relative alle prestazioni sanitarie.

Avverso la decisione del Tribunale i coniugi ricorrevano per cassazione lamentando, nel merito, «ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.» la «nullità della sentenza per falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. e falsa applicazione dell'art. 2697 c.c.». In particolare, assumevano che, secondo gli indirizzi consolidati della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. n. 1608/2014), il danno da violazione del diritto alla riservatezza non è soltanto patrimoniale ma anche morale ed esistenziale, e che l'art. 15 del codice della protezione dei dati personali statuisce un generale principio di «indemnisation» integrale del danno non patrimoniale da trattamento dei dati personali; insistevano nel lamentare che la danneggiata, nel caso di specie, aveva subito un danno alla vita di relazione, un danno al diritto al nome,  all'immagine e all'onore e in ordine alla quantificazione del danno, richiamavano la definizione del danno non patrimoniale come prevista dall'art. 138 del codice delle assicurazioni nelle sue componenti essenziali e lamentavano che il giudice di merito non avesse ammesso «la CTU medico legale, la quale avrebbe potuto dimostrare l'esistenza del danno biologico, nonostante l'esistenza degli atti di CTP medico-legale e ei relativi certificati medici».

La Corte di cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile e prive di pregio le doglianze prospettate sotto il vizio sia di falsa applicazione dell'art. 2059 c.c. che di nullità della sentenza per violazione dell'art. 2697 c.c. Secondo il costante orientamento della Corte, in materia di responsabilità civile è configurabile il risarcimento del danno non patrimoniale, da identificare con qualsiasi conseguenza pregiudizievole della lesione. All'esito della pronuncia Corte Cost. n. 235 del 2014, la stessa Cassazione ha sottolineato come il giudice del merito è tenuto «a valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale […] quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell'ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce "altro da sé")» (Cass. civ, 31 gennaio 2019, n. 2788; Cass. civ., 21 settembre 2017, n. 21939). Il danno preteso, dovendo necessariamente consistere in un profilo consequenziale rispetto al fatto dannoso denunciato (non potendo esaurirsi nella figura del cd. danno-evento, ossia in re ipsa), dev'essere oggetto di specifica allegazione e di prova, anche tramite il ricorso al valore rappresentativo di presunzioni semplici (Cass. civ., sez. III, ord., 10 luglio 2023, n. 19551, Cass. civ., sez. III, sent., 13 ottobre 2016, n. 20643), ossia anche attraverso l'indicazione degli elementi costitutivi e delle specifiche circostanze di fatto da cui desumerne, sebbene in via presuntiva, l'esistenza. Inoltre, la Corte ha posto in evidenza che in tema di liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, la liquidazione compiuta dal giudice di merito sfugge ad una precisa valutazione analitica e resta affidata al criterio equitativo, non sindacabile in sede di legittimità se lo stesso giudice dà conto del criterio medesimo e la valutazione risulti congruente al caso e la concreta determinazione dell'ammontare del danno non sia, per eccesso o per difetto, palesemente sproporzionata (Cass. civ., sez. III, 7 marzo 2003 n. 3414, Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632).

Per la Suprema Corte, in conclusione, il Tribunale aveva correttamente considerato il complesso degli elementi istruttori acquisiti, giungendo alla quantificazione e liquidazione del danno in via equitativa, in modo unitario e omnicomprensivo e proporzionato al danno di natura non patrimoniale subìto in concreto dalla parte ricorrente. Il ricorso veniva pertanto ritenuto dalla Suprema Corte inammissibile.

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