Configurazione e correlate responsabilità del locatore per la mancata attuazione dell’intenzione da lui posta a fondamento dell’intimata disdetta

22 Aprile 2024

La disciplina del diniego di rinnovazione alla prima scadenza trova il suo completamento nella disposizione di cui all'art. 31 della l. n. 392/1978, che delinea le conseguenze giuridiche, in capo al locatore, della mancata attuazione dell'intenzione posta da lui a fondamento della disdetta intimata sulla base dei tassativi motivi di cui al precedente art. 29: tale norma è chiaramente diretta a scongiurare un diniego di rinnovazione del contratto alla prima scadenza per motivi fittizi, con connesso pregiudizio delle aspettative del conduttore. Il presente commento passa in rassegna le diverse ipotesi di inadempimento del suddetto locatore e le correlate responsabilità, così come analizzate e risolte dalla giurisprudenza.

Introduzione. Il quadro normativo

L'art. 31 della l. n. 392/1978 stabilisce, al comma 1, che il locatore, il quale abbia ottenuto la disponibilità dell'immobile per uno dei motivi previsti dall'art. 29 e che, nel termine di sei mesi dall'avvenuta consegna, non abbia adibito l'immobile all'uso dichiarato, è tenuto, se il conduttore lo richiede, al ripristino del contratto, salvi i diritti acquistati da terzi in buona fede, ed al rimborso delle spese di trasloco e degli altri oneri sopportati, oppure al risarcimento del danno nei confronti del conduttore in misura non superiore a quarantotto mensilità del canone di locazione percepito prima della risoluzione del contratto, oltre alle indennità previste ai sensi dell'art. 34 della stessa legge.

Al comma 2, si prevede, poi, che il giudice, oltre a determinare il ripristino o il risarcimento del danno, ordina al locatore il pagamento di una somma da € 258,00 a € 1.032,00 da devolvere al Comune nel cui territorio è sito l'immobile, ad integrazione del fondo sociale previsto dal capo III della l. n. 392/1978.

Ci si è interrogati, preliminarmente, in ordine alla natura della responsabilità in capo al locatore riguardo alle conseguenze giuridiche di cui sopra.

Nella vigenza del regime vincolistico, i rimedi del ripristino del contratto e del risarcimento del danno - previsti, come oggi, per l'ipotesi di mancata destinazione dell'immobile all'uso per il quale il locatore aveva agito - erano configurati dalla giurisprudenza, da un lato (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 1963, n. 2076; Cass. civ., sez. III, 6 giugno 1962, n. 1355), come sanzioni per la responsabilità da fatto illecito e, dall'altro (Cass. civ., sez. III, 13 novembre 1963, n. 2980), come strumenti di tutela contro l'inadempimento contrattuale.

Con riferimento all'art. 60 della l. n. 392/1978 - disciplinante, in modo analogo, le locazioni abitative nel periodo transitorio, poi abrogato dalla l. n. 431/1998 - gli ermellini (Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1991, n. 2684) si erano espressamente pronunciati per la natura extracontrattuale della responsabilità de qua, anche se, però, tale conclusione contrastava con l'affermazione, reperibile in altre (quasi coeve) decisioni (Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1993, n. 2282; Cass. civ., sez. III, 4 aprile 1991, n. 3497), secondo cui le sanzioni ivi previste, a carico del locatore, per l'ipotesi in cui quest'ultimo non avesse tempestivamente adibito l'immobile all'uso per il quale era stato ottenuto il provvedimento di rilascio, configuravano un'ipotesi di responsabilità per inadempimento.

Quest'ultimo orientamento è accolto dalla giurisprudenza più recente nella fattispecie contemplata dall'art. 31 della l. n. 392/1978 - che si occupa delle locazioni non abitative nel regime c.d. ordinario - affermando che le sanzioni del ripristino del contratto e dell'obbligo del risarcimento del danno, poste a carico del locatore che non abbia tempestivamente adibito l'immobile all'uso per il quale ne ha ottenuto la disponibilità, configurano una forma di “responsabilità per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli artt. 1176 e 1218 c.c.” (così, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 7 novembre 2014, n. 23794; Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2011, n. 11014; Cass. civ., sez. III, 14 dicembre 2004, n. 23296; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2000, n. 6462).

In dottrina, alcuni hanno sottolineato che, nella formulazione dell'art. 31, prevale, attraverso l'esclusione dell'inefficacia del titolo - affermata, invece, dall'art. 60 - e la previsione, in via alternativa, del ripristino del contratto o del risarcimento del danno, il carattere sanzionatorio dell'istituto (da riguardare nell'àmbito della responsabilità da fatto illecito), già affermato con riferimento al periodo vincolistico.

Si è, peraltro, notato che il richiamo a meccaniche sanzionatorie sarebbe giustificato con esclusivo riferimento alla previsione del comma 2 dello stesso art. 31 (ossia al pagamento della somma pecuniaria al Comune), posto che, per il resto, la disposizione de qua mirerebbe a reintegrare, nella doppia forma del ripristino del rapporto e del risarcimento, l'interesse del conduttore.

Altra parte della dottrina ha condiviso decisamente la tesi della responsabilità contrattuale, argomentando dalla soggezione dell'avente causa a titolo particolare alla sanzione restitutoria.

Nell'àmbito di quest'ultimo indirizzo, si osserva che, nell'ipotesi in cui il locatore, a seguito del rilascio, manchi di attuare la destinazione prospettata nel diniego di rinnovazione, verrebbe a delinearsi un abuso del diritto, sicché l'inadempimento troverebbe ragione nella violazione del principio di buona fede contrattuale, canonizzato dall'art. 1375 c.c.

Si è, peraltro, messo in luce che l'art. 31 presuppone “un'obbligazione nuova e autonoma”, avente ad oggetto la realizzazione della destinazione enunciata nella disdetta, il cui inadempimento espone, di per sé, il locatore alle conseguenze del ripristino del rapporto e del risarcimento del danno.

L'imputabilità colposa o dolosa della condotta

Risulta sostanzialmente costante, nella magistratura di vertice (v., ex multis, Cass. n. 23296/2004, cit.; Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2000, n. 6462; Cass. civ., sez. III, 14 aprile 1993, n. 4414; Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2205; Cass. civ., sez. III, 14 marzo 1991, n. 2684), l'orientamento secondo cui, ai fini dell'applicabilità delle sanzioni di cui all'art. 31, il comportamento omissivo debba essere “imputabile al locatore a titolo di dolo o colpa”.

Il citato art. 31 va, quindi, interpretato nel senso che la sanzione del ripristino (o la pretesa risarcitoria) non è connessa ad un criterio di responsabilità oggettiva o secondo una presunzione assoluta di colpa, per il solo fatto che la cosa locata non sia stata utilizzata entro sei mesi dall'acquisizione della sua disponibilità, ma si verifica qualora il locatore, cui compete l'onere di superare la presunzione iuris tantum di responsabilità, non dimostri l'esistenza del caso fortuito o della forza maggiore o di giuste cause, cioè di ragioni meritevoli di tutela che hanno impedito detto utilizzo (Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1997, n. 391).

Ciò ben si accorda con la natura contrattuale della responsabilità de qua (Cass. n. 23296/2004, cit.; Cass. n. 6462/2000, cit.),per cui si è ritenuto, anche di recente, non sussistere la responsabilità del locatore se la mancata adibizione dell'immobile alla destinazione indicata nella comunicazione di diniego di rinnovo del contratto sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni e situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso, come nel caso in cui il conduttore abbia ritardato la ristrutturazione dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 14 febbraio 2017, n. 3824), oppure in una fattispecie in cui la morte del locatore aveva determinato l'impossibilità di realizzare il programma preannunciato con la disdetta (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2016, n.1050).

Si fanno rientrare, ad esempio, anche i motivi di salute dello stesso locatore o dei suoi parenti se l'immobile è a loro destinato, l'essere andate a monte le nozze del figlio del locatore, le ragioni legate all'adempimento di obblighi di assistenza familiare da parte del locatore, la mancata ultimazione dei lavori di adattamento dell'immobile necessari per adibire il bene all'uso indicato nella disdetta, e quant'altro.

La connotazione della suddetta responsabilità incide, di conseguenza, sul piano dell'onere probatorio circa l'esistenza, o l'esclusione, della colpa del locatore: ove, infatti, l'illecito avesse natura extracontrattuale sarebbe il conduttore a dover provare, positivamente, l'esistenza del comportamento colpevole, mentre ove, invece, la mancata destinazione dell'immobile all'uso prospettato configuri una responsabilità contrattuale, graverebbe sul locatore l'onere di dimostrare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da un'impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile (l'affermazione giurisprudenziale che, in termini più o meno espliciti, afferma l'esistenza di un onere probatorio gravante sul locatore appare, quindi, coerente con la seconda delle soluzioni indicate: v., ex plurimis, Cass. n.6462/2000, cit.; Cass. n. 2205/1989, cit.; Cass. n. 4414/1993, cit.; Cass. n. 391/1997, cit.).

Nulla esclude (ad avviso di Cass. n. 2282/1993, cit.) che l'accertamento della causa di giustificazione della mancata destinazione dell'immobile all'uso per il quale è stato rilasciato possa essere anche provato con presunzioni semplici, purché fondate su “fatti gravi, precisi e concordanti”.

L'eventuale rilascio dell'immobile a titolo transattivo

L'art. 8 della l. n. 253/1950 correlava i rimedi del ripristino del contratto e del risarcimento del danno alla perdita di efficacia del provvedimento di rilascio, siccome indotta dalla mancata destinazione dell'immobile all'uso per il quale il locatore aveva agito.

Coerentemente a questo rilievo, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1968, n. 930) riteneva che tale norma non trovasse applicazione nel caso in cui il titolo della riconsegna fosse costituto da una transazione; veniva, però, aggiunto (Cass. civ., sez. III, 6 febbraio 1962, n. 217) che, a tale ipotesi, non potesse essere parificata quella in cui, in esecuzione di una sentenza definitiva, il rilascio avveniva spontaneamente, senza un verbale di esecuzione redatto dall'ufficiale giudiziario ed in mancanza dell'intervento della forza pubblica.

Sotto il profilo che qui interessa, la disposizione di cui all'art. 31 si presenta ben diversa da quella di cui all'art. 8, atteso che il suo presupposto applicativo è dato dalla mera riconsegna del bene al locatore, a nulla rilevando che un tale atto sia conseguenza di un provvedimento del giudice.

Ovviamente, dovrà trattarsi di consegna, per così dire, “titolata”, cioè motivata da una delle cause previste dall'art. 29, che devono trovare (a pena di nullità) formale espressione nella lettera raccomandata prevista nel comma 3 del medesimo art. 29: il conduttore che abbia ricevuto questa rituale intimazione di rilascio e che senz'altro vi abbia ottemperato, non potendosi dire che sia spontaneamente receduto, godrà della protezione accordatagli dalla norma.

La tesi della superfluità del titolo giudiziale trova assolutamente concorde la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 1997, n. 4967; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 1994, n. 6600), la quale afferma che la disciplina prevista dall'art. 31 (ripristino del contratto o risarcimento del danno), per l'ipotesi in cui il locatore nel termine di sei mesi dall'avvenuta consegna non abbia adibito l'immobile alla destinazione posta a base del recesso, presuppone il fatto della disponibilità dell'immobile comunque conseguita (per uno dei motivi previsti dal precedente art. 29), anche attraverso il rilascio spontaneo del conduttore.

Con riferimento all'ipotesi della transazione, occorrono, tuttavia, alcune precisazioni.

Vero è, infatti, che l'art. 31, a differenza dell'art. 8 della l. n. 253/1950, il quale faceva riferimento al “provvedimento che dispone il rilascio” e, quindi, presupponeva l'esistenza di un provvedimento del giudice (Cass. n. 217/1962, cit.), ancora il diritto al risarcimento al solo fatto dell'inadempimento del locatore “che abbia ottenuto la disponibilità dell'immobile”, per cui deve ritenersi (come fa Cass. n. 2205/1989, cit.), in via generale, che il conduttore abbia diritto al ripristino del contratto ed al risarcimento del danno anche nell'ipotesi di rilascio spontaneo o di rilascio a seguito di transazione, ma ciò non toglie che le parti possano disporre diversamente, nel senso che, con riferimento alle reciproche concessioni contenute nell'atto transattivo, possano stabilire che il locatore non sia tenuto a dare all'immobile la destinazione per la quale aveva agito in giudizio (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 1992, n. 3624).

Può ragionevolmente sostenersi, infatti, che le sanzioni previste dall'art. 31 a carico del locatore il quale, avendo ottenuto la disponibilità dell'immobile per uno dei motivi previsti dall'art. 29, entro il termine di sei mesi dall'avvenuta consegna non lo abbia adibito all'uso per il quale il rilascio era stato richiesto, non sono applicabili se il rilascio sia avvenuto in esecuzione di un atto transattivo, con cui le stesse parti abbiano regolato in modo autonomo i propri interessi, indipendentemente dalle rispettive ragioni di diritto originariamente fatte valere (Cass. civ., sez. III, 1° marzo 1995, n. 2307).

In queste ipotesi, il rapporto tra le parti è regolato esclusivamente dal nuovo titolo di rilascio, costituito, appunto, dalla transazione (Cass. civ., sez. III, 16 marzo 1995, n. 3071: nella specie, si era stato riscontrato che il conduttore, in occasione della conciliazione, aveva rinunciato all'indennità per la perdita dell'avviamento consentendo al locatore la permanenza, ancora per quindici mesi, nell'immobile locato; Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 1992, n. 11839); oppure nel caso in cui era stato presupposto che il conduttore, nel concordare la data di rilascio a seguito della domanda proposta dal locatore, avesse lasciato libero quest'ultimo di disporre dell'immobile sciogliendolo dal vincolo di destinarlo all'uso per il quale aveva agito (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 1995, n. 5151).

L'adibizione ad uso diverso da quello dichiarato

Mentre l'art. 60 della l. n. 392/1978 e l'art. 8 della l. n. 253/1950 attribuivano genericamente rilievo alla mancata destinazione dell'immobile all'uso per cui il locatore aveva agito in giudizio, o al mancato inizio dei lavori in relazione ai quali era stata rilasciata la licenza/concessione edilizia, l'art. 31 contiene un'enumerazione dei singoli comportamenti omissivi sanzionati, sollevando alcuni problemi interpretativi.

In primo luogo, è sorta questione se la formulazione della norma abbia lo scopo di istituire una corrispondenza biunivoca tra i singoli motivi di diniego di rinnovo e le attività che il locatore è obbligato a porre in essere con riferimento all'immobile locato: in altri termini, ci si interroga se è soggetto ai rimedi previsti dall'art. 31 il locatore che, intimata disdetta per una delle ragioni di cui all'art. 29, imprima poi all'immobile riconsegnatogli una destinazione diversa rispetto a quella prospettata, ma pur essa normativamente contemplata.

Secondo un'opinione, l'interpretazione della norma non potrebbe essere diversa rispetto a quella formatasi nel vigore dell'art. 8 citato, con conseguente operatività dell'apparato sanzionatorio anche in caso di adibizione dell'immobile ad un uso diverso da quello dichiarato, quantunque previsto dalla disposizione.

Si è sottolineato che, pur non contenendo l'art. 31 la locuzione “non lo adibisca all'uso per il quale aveva agito”, presente nell'art. 60 della stessa legge, va considerato, comunque, che il sistema, in cui l'art. 31 si pone, vuole che il conduttore riceva comunicazione di diniego specificamente giustificata, a pena di nullità, da uno o più motivi tra quelli tassativamente indicati dall'art. 29, e che la specificità del motivo viene richiesta a garanzia della possibilità dello stesso conduttore di contrastare propositi non fondati o di valutare preventivamente intenzioni credibili e realizzabili.

In questa prospettiva, va allora escluso che il locatore possa invocare l'esonero di responsabilità nel caso di destinazione diversa da quella proposta, giacché, in caso contrario, sarebbe frustrata ogni forma di tutela preventiva del conduttore contro il diniego illegittimo o pretestuoso, e si finirebbe per attribuire efficacia di sanatoria ad un comportamento successivo, non ipotizzato al momento della richiesta di diniego e, quindi, diverso dall'adempimento specifico, cui il locatore è tenuto.

Inoltre, dovendosi riaffermare, anche nella disciplina della l. n. 392/1978, la natura contrattuale dell'obbligo di destinazione dopo la consegna dell'immobile, il motivo di diniego, ad un tempo, qualifica il potere di impedire la rinnovazione del contratto e determina l'esatto contenuto dell'obbligo del locatore, con esclusione di altro adempimento alternativo.

Nella stessa lunghezza d'onda, la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997, n. 5637) afferma che la specificazione del motivo di diniego è imposto (anche) dall'esigenza di consentire una verifica del successivo controllo dell'effettiva destinazione dell'immobile, sicchè le sanzioni ex art. 31 si applicano pure quando il locale sia adibito ad uso riconducibile a taluna delle ipotesi previste dall'art. 29, ma diverso da quello indicato nel preavviso.

La destinazione parziale e la destinazione temporanea

Secondo la giurisprudenza, una destinazione anche solo parziale dell'immobile all'utilizzo prospettato esclude l'applicazione delle sanzioni di cui all'art. 31.

In proposito, si è rammentato il principio, formatosi nel regime vincolistico, secondo cui l'utilizzazione del bene, sempreché realizzi la finalità dedotta a suo tempo dal locatore, può anche essere parziale, non escludendo siffatta circostanza che l'immobile sia stato adibito all'uso per il quale era stato richiesto (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997, n. 7974).

È pure sorta questione in ordine all'arco temporale per il quale debba protrarsi la destinazione dell'immobile all'uso dichiarato.

Al riguardo, si è osservato che rientra nella logica del sistema che la destinazione debba durare per un certo periodo di tempo, la cui determinazione, peraltro, non può essere fatta in astratto, ma riguardo al caso concreto nonchè considerando il comportamento e la singolare situazione del locatore.

L'impiego dell'immobile non deve allora risultare fittizio o temporaneo, pur dovendosi ammettere che ai locali possa darsi una destinazione diversa in presenza di giustificati motivi o di fatti nuovi sopravvenuti.

La mancata destinazione dell'immobile all'uso abitativo

Relativamente all'ipotesi in cui il locatore non abbia adibito l'immobile ad abitazione propria, dei parenti, o dei coniugi entro il secondo grado in linea retta, va rilevato che egli deve effettivamente destinare l'immobile ad uso di residenza, non essendo sufficiente che, nel termine stabilito dalla legge, abbia provveduto a collocare all'interno dei locali alcuni mobili, mantenendo la res a propria disposizione.

Inoltre, ancorché non sia necessaria, per attuare la destinazione abitativa, l'ininterrotta presenza del locatore o del congiunto nell'alloggio, non facendo il temporaneo allontanamento venir meno l'occupazione, è necessario, pur sempre, che l'immobile costituisca la casa di “normale abitazione” dei soggetti indicati (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 1987, n. 374).

Accade spesso che, ottenuto il rilascio, pur ponendo in essere attività prodromiche alla destinazione dell'immobile all'uso di abitazione, il locatore non realizzi, poi, la destinazione dichiarata, per cui occorre verificare l'imputabilità della condotta omissiva, valutando se il mancato utilizzo del bene sia da ricondurre a dolo o a colpa del locatore.

Ad esempio, si è ritenuto non sanzionabile il comportamento del locatore il quale, avendo preso tempestivamente possesso dell'appartamento rilasciato ed essendosi attivato per arredarlo, non sia riuscito, per ragioni economiche e di impegno lavorativo, ad occuparlo materialmente entro la scadenza del semestre prevista dalla legge (Trib. Genova 4 marzo 1987); parimenti, nel caso del locatore che abbia iniziato lavori di adattamento dell'appartamento prima della suddetta scadenza, sempre che, terminate le opere, abbia adibito l'immobile all'uso per il quale aveva agito (Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 1990, n. 9904); ancora, se la destinazione dell'immobile ad abitazione era resa impossibile dal grave peggioramento delle condizioni di salute del locatore, non in grado di salire e scendere le scale (Cass. n. 3497/1991, cit.), così come qualora il ritardo nella destinazione fosse da attribuire ad infiltrazioni d'acqua all'interno dell'appartamento ed al contestuale ricovero in ospedale del locatore, impossibilitato di intervenire (Cass. n. 2684/1991, cit.).

Si è, invece, considerata sussistente la responsabilità del locatore che abbia realizzato interventi tali da non rendere impossibile la destinazione dell'immobile all'uso abitativo, come nel caso di opere di semplice pitturazione delle pareti e degli infissi (Trib. Trani 5 dicembre 1986).

Nel caso del rilascio ottenuto per consentire l'utilizzo dell'immobile ai parenti del locatore, è sorta questione se la responsabilità de qua ricorra anche nell'ipotesi in cui il locatore abbia accordato ai congiunti la possibilità di utilizzare l'immobile, ma questi non vi si siano poi trasferiti.

Secondo alcuni, essendo la norma volta ad evitare che il locatore possa conseguire pretestuosamente il rilascio dell'immobile locato, essa non potrebbe applicarsi allo stesso locatore che abbia inteso costituire un titolo di godimento a vantaggio del parente: con tale condotta, il locatore avrebbe comunque adibito l'immobile ad abitazione dei soggetti indicati dalla norma, evidenziando, altresì, che, al conduttore uscente non interessa che l'avente diritto occupi i locali nel semestre, ma che il rilascio avvenga per la soddisfazione di un'esigenza abitativa meritevole di tutela ex art. 29, lett. a).

Si è convenientemente replicato che, anche da un punto di vista lessicale, il fatto di “adibire” l'immobile ad uso abitativo è qualcosa in più della mera attribuzione, a terzi, della facoltà di godimento, non seguita da ulteriori condotte, attraverso cui si attui la materiale destinazione dell'immobile all'impiego indicato; questo non significa che il locatore non possa far valere, ricorrendone i presupposti, le cause esimenti da responsabilità (si pensi al caso in cui il parente, cui era riservato, l'immobile venga a trovarsi nella necessità, sopravvenuta, assoluta ed imprevedibile, di trasferirsi altrove); diverse conclusioni sembrano imporsi qualora l'imprevedibilità riguardi la condotta del parente, il quale autonomamente si determini a non abitare l'immobile, atteso che il locatore risponde del fatto del terzo, avendo assunto l'impegno al raggiungimento del risultato attraverso il comportamento di quest'ultimo.

Ci si è interrogati, inoltre, se sia applicabile la sanzione nell'ipotesi in cui l'immobile venga adibito ad abitazione del figlio, piuttosto che della moglie del locatore, ma le considerazioni precedentemente svolte, circa la stretta correlazione esistente tra il precetto di cui all'art. 29, comma 4, ed i rimedi contemplati dall'art. 31, hanno indotto ad una risposta affermativa.

La mancata destinazione dell'immobile all'uso non abitativo

A ben vedere, l'art. 31 della l. n. 392/1978 non menziona né la destinazione dell'immobile all'attività di impresa o di lavoro autonomo dei parenti e del coniuge del locatore, né la destinazione dell'immobile allo svolgimento di attività volte al conseguimento delle finalità istituzionali degli enti pubblici.

Orbene, se la seconda esclusione si spiega nella volontà del legislatore di privilegiare gli enti pubblici, in vista della loro particolare posizione, nonchè nell'inammissibilità di un sindacato da parte del giudice ordinario circa l'inidoneità dell'avvenuta destinazione al perseguimento delle finalità istituzionali di natura pubblicistica, deve, invece, ovviarsi all'evidente omissione di menzione del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, nel senso di includere, in via analogica, nella previsione della norma, anche la mancata attuazione del proposito del locatore di adibire l'immobile all'esercizio di attività imprenditoriali o di lavoro autonomo del coniuge e dei più stretti suoi congiunti.

Pure la giurisprudenza (Cass. civ., sez. III, 24 settembre 1991, n. 9962; Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 1987, n. 723) si è orientata nello stesso senso, affermando che le sanzioni di cui all'art. 31, ancorché siano espressamente riferite all'ipotesi dell'esercizio “in proprio” da parte del locatore di una delle attività previste dall'art. 27, trovano applicazione - per la ratio dell'istituto e per il parallelismo con la corrispondente normativa dettata dall'art. 60 - anche qualora il locatore non abbia destinato alla dedotta attività l'immobile di cui abbia ottenuto il rilascio per necessità dei parenti indicati nella lett. b) dell'art. 29.

Non è stata, invece, condivisa l'opinione secondo cui l'omissione avrebbe una sua precisa ragion d'essere, giacché non sarebbe stato conforme ai principi del diritto la previsione di un'obbligazione legale del locatore relativamente al mancato svolgimento dell'attività commerciale, industriale, artigianale o professionale di un terzo, trattandosi sostanzialmente di un facere infungibile cui nessuno può di regola essere obbligato; si è, infatti, agevolmente replicato che attività infungibile è anche quella di adibire l'immobile ad abitazione, per la quale, però, il limite all'applicabilità del rimedio certamente non opera.

Inoltre, al fine di escludere l'applicazione delle sanzioni, è necessario che l'immobile venga destinato all'esercizio di attività menzionata nel diniego di rinnovo, mentre non è, invece, indispensabile che siano state poste in essere le attività amministrative atte a consentire l'utilizzo prospettato; è, quindi, irrilevante, ai fini del ripristino del contratto o del risarcimento invocato dal conduttore ex art. 31, la mancata richiesta di autorizzazione al mutamento di destinazione d'uso da parte del locatore, purché sia certo che questi abbia adibito l'immobile all'uso per il quale ha riottenuto la disponibilità (Cass. n. 4414/1993, cit.).

Per altro verso, ai fini dell'integrazione della fattispecie risarcitoria di cui all'art. 31, è necessaria la “concreta ed effettiva” destinazione dell'immobile ad uso diverso da quello indicato nella disdetta, non essendo, viceversa, sufficiente la mera manifestazione da parte del locatore, prima della scadenza del termine ivi previsto, dell'intenzione di destinare l'immobile ad uso diverso (Cass. civ., sez. III, 8 gennaio 2005, n. 263; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2003, n. 3991; Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2205).

Trova nella specie applicazione, ad ogni buon conto, la menzionata regola secondo cui il locatore non risponde della mancata destinazione dell'immobile all'uso dichiarato, ove egli sia esente da dolo o colpa (Cass. n. 6462/2000, cit.).

Ci si è, poi, chiesti se l'art. 31 trovi applicazione nell'ipotesi in cui abbia luogo una mutatio oggettiva, ma interna alla previsione della lett. b) dell'art. 29, dell'attività che avrebbe dovuto essere svolta.

La risposta deve ancora una volta considerare la stretta correlazione che la legge istituisce tra il motivo indicato nella disdetta e la destinazione data all'immobile dopo il rilascio, sicchè, ad esempio, deve escludersi che il locatore, dopo aver intimato disdetta, manifestando la propria intenzione di destinare l'immobile a proprio studio professionale, possa, senza incorrere nella responsabilità di cui al citato articolo, avviare, all'interno dello stesso immobile, un'attività commerciale.

Si rammenta, però, che la giurisprudenza abbia escluso l'applicazione della norma laddove sussista una divaricazione solo “marginale” tra l'uso dichiarato e quello realizzato; ad esempio, quando il locatore aveva dichiarato di voler destinare l'immobile ad esposizione e vendita, che lo aveva invece poi concretamente destinato a magazzino, si è statuito (Cass. civ., sez. III, 22 marzo 1999, n. 2674) che la coincidenza tra il motivo enunciato nella disdetta e l'impiego in concreto attuato debba intendersi sotto un “profilo prettamente sostanziale”, nel senso che va accertata - non già in base ad un formale confronto fra l'intenzione manifestata e la sua concreta realizzazione, bensì - alla stregua di un giudizio volto a verificare se la destinazione concretamente data al bene sia in grado di realizzare quella intenzione costituente l'indefettibile elemento di riferimento.

Nella stessa prospettiva, si è chiarito (Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1997, n. 1191) che l'art. 31 non individua, come condotta sanzionata, l'aver variato, nell'àmbito del motivo indicato, le modalità di svolgimento dell'attività indicata, per cui è stata esclusa la responsabilità a fronte del comportamento del locatore il quale, dopo avere denegato il rinnovo alla prima scadenza, deducendo di voler adibire i locali a deposito e vendita all'ingrosso di articoli di abbigliamento, abbia poi destinato gli stessi a vendita al minuto; parimenti, la domanda risarcitoria è stata respinta in un caso in cui era stata intrapresa, nei locali riconsegnati, un'attività di vendita di prodotti ortofrutticoli, in luogo di quella di supermercato, enunciata nel diniego motivato di rinnovo (Cass. n. 6462/2000, cit.).

L'inosservanza dei termini assegnati per gli interventi edilizi

L'art. 31 menziona ancora l'inosservanza dei termini della concessione o del piano comunale di intervento per l'inizio dei lavori di demolizione, ricostruzione, ristrutturazione e restauro, o, in caso di immobili adibiti all'esercizio di albergo, pensione o locanda, il mancato rispetto del termine stabilito dal Ministero del turismo e dello spettacolo per il completamento dei lavori di ricostruzione.

Sul punto, si è osservato che il possesso della concessione non pregiudica la valida intimazione di disdetta, costituendo mera condizione per l'esperimento dell'azione di rilascio; perciò, se il conduttore resiste all'azione di sfratto, potrà far sì che il locatore, per riuscire vittorioso nell'azione giudiziaria, si procuri la concessione, e conseguentemente otterrà che decorra quel termine di efficacia della medesima, scaduto il quale sarà possibile l'irrogazione delle sanzioni previste nel citato art. 31.

Di contro, se il conduttore, non resistendo al motivato sfratto, libera l'immobile ed esclude l'interesse del locatore ad adire il giudice, si pregiudica l'azionabilità delle sanzioni, poichè nessun termine è posto al locatore per la richiesta della concessione, dal cui ottenimento decorre l'unico termine previsto dall'art. 31.

Occorre aggiungere che, per quanto la legge sanzioni il mancato avvio delle opere nel termine indicato nella concessione, il successivo andamento dei lavori rileva, comunque, ai fini della verifica della serietà del proposito posto a fondamento del diniego di rinnovo.

Vero è che, nell'art. 31, è previsto soltanto per le ristrutturazioni degli immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda (oltre il termine di sei mesi iniziale) anche un termine di completamento dei lavori medesimi, ma ciò non consente di ritenere che, per gli altri casi contemplati nello stesso art. 31, la “serietà” dell'intento del locatore debba essere valutata esclusivamente in relazione alla tempestività dell'inizio dei lavori stessi, senza alcun riferimento al comportamento che il locatore abbia tenuto successivamente al detto inizio che, altrimenti, potrebbe avere anche solo fini pretestuosi o simulati (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 1995, n. 11839).

Anche in queste fattispecie, va accertato se l'eventuale mancata destinazione sia caratterizzata, sotto il profilo soggettivo, da dolo o colpa, sicché si è ritenuto che, ove il locatore abbia consentito al conduttore di lasciare dei mobili nei locali di sua proprietà, e quest'ultimo non abbia provveduto a rimuoverli nonostante specifici solleciti, le sanzioni previste per il mancato inizio dei lavori edilizi non debbano trovare applicazione, rinvenendosi un'ipotesi di ritardo incolpevole del locatore, non tenuto a sistemare altrove detti arredi (fattispecie analizzata da Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 1988, n. 1941).

In conclusione

Per completezza, va segnalato che la vendita dell'immobile a terzi concreta anch'essa un caso di mancata attuazione della destinazione indicata nella disdetta.

La Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 19 dicembre 1989, n. 5696) lo aveva stabilito in riferimento alla previsione di cui all'art. 8, comma 2, della l. n. 253/1950, argomentando proprio dalla riconducibilità di una tale eventualità alla previsione dell'uso dell'immobile per “fini diversi” da quelli per cui il locatore aveva agito, e lo stesso argomento può ragionevolmente esportarsi riguardo all'art. 31, atteso che l'alienazione del bene è, di regola, concettualmente incompatibile con la realizzazione di uno dei motivi da porsi a fondamento del diniego.

È, peraltro, ben possibile che la vendita sia necessitata da cause di forza maggiore, sopravvenute al rilascio: in tale eventualità, le sanzioni di cui all'art. 31 devono ritenersi inapplicabili, tenuto conto del generale principio per cui l'inadempimento deve essere imputabile al locatore, imponendosi al locatore provare, con il necessario rigore, l'assenza del dolo e della colpa (Cass. civ., sez. III, 6 luglio 1990, n. 7121).

Si è, altresì, esclusa (da parte di Trib. Napoli 15 marzo 1994) la responsabilità del locatore in un caso in cui lo stesso non era proprietario del bene ed il proprietario aveva provveduto a vendere a terzi l'appartamento, in contrasto con le finalità per le quali era stato disposto il rilascio, sottolineando che al locatore non poteva imputarsi il fatto del terzo.

Analoghe considerazioni possono svolgersi in riferimento alla locazione dell'immobile a terzi, essendo in tal caso il locatore tenuto al risarcimento (Trib. Milano 27 settembre 1990).

L'obbligazione risarcitoria non scatta, invece, in caso di conclusione di un nuovo contratto di locazione con il medesimo conduttore: infatti, perché quest'ultimo possa esercitare le azioni per il ripristino del contratto o per il risarcimento del danno contemplate dall'rt. 31, non è sufficiente che il locatore abbia avuto la disponibilità “giuridica” dell'immobile, ma è necessario che ne abbia avuto la disponibilità “materiale” per effetto dell'avvenuta riconsegna e che da questa sia decorso il termine di sei mesi entro il quale il locatore avrebbe dovuto adibire l'immobile all'uso per il quale aveva agito; pertanto, se il locatore abbia ottenuto una sentenza dichiarativa della cessazione del contratto di locazione, lo stesso non è passibile delle sanzioni de quibus qualora, prima di aver ottenuto la riconsegna dell'immobile, stipuli con il conduttore, il quale sia rimasto nella detenzione dell'immobile, un nuovo contratto di locazione, che non può ritenersi affetto da nullità, rientrando tale stipula nella facoltà delle parti (Cass. civ., sez. III, 28 novembre 1997, n. 12071; Cass. civ., sez. III, 19 luglio 1990, n. 7395).

Riferimenti

Di Marzio, Commento all'art. 31 della l. n. 392/1978, in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 599;

Pizzimenti, Mancata attuazione del proposito indicato dal locatore quale motivo del diniego di rinnovazione e tutela del conduttore, in Nuova giur. civ. comm., 2014, I, 509;

Vecchi, Paga i danni all'inquilino il locatore che disdice il contratto ma poi non destina davvero l'immobile a “uso personale”, in Dirittoegiustizia.it, 2010;

Scarpa, Risarcimento possibile quando l'uso è diverso da quello indicato nella disdetta, in Immob. & diritto, 2010, fasc. 8, 37;

Piombo, Sul diniego di rinnovo alla prima scadenza della locazione abitativa, per esigenze proprie, da parte del locatore società commerciale, in Foro it., 2009, I, 1032;

Avigliano, Responsabilità del locatore per illegittimo diniego di rinnovo del contratto di locazione alla prima scadenza, in Ventiquattrore avvocato, 2005, fasc. 11, 61;

Del Torre, Diniego al rinnovo per motivi attinenti alle esigenze edilizie dell'immobile e liberalizzazione degli interventi edilizi previsti nel testo unico dell'edilizia e nel disegno di legge dei cento giorni del nuovo Governo, in Arch. loc. e cond., 2001, 777;

Roma, Diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza e mancata o diversa utilizzazione dell'immobile all'uso dichiarato nelle locazioni non abitative, in Rass. loc. e cond., 2001, 68;

Esposito, Impossibilità di realizzare la necessità prevista dal locatore per l'uso dell'immobile, in Rass. loc. e cond., 1997, 488;

Izzo, La specificazione analitica del motivo di diniego di rinnovazione delle locazioni non abitative: momento, alternatività, cumulabilità e immodificabilità, in Giust. civ., 1991, I, 401.

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