Applicazioni pratiche del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali

24 Aprile 2024

Tra le prime applicazioni degli artt. 121 e 46 disp. att. c.p.c. in materia di chiarezza e sinteticità degli atti meritano di essere segnalate una pronuncia della Corte d'appello di Milano (25 gennaio 2024), secondo cui la composizione di atti difensivi prolissi, contenenti  digressioni anche letterarie del tutto fuorvianti e prive di attinenza alla fattispecie dedotta oltre che destituite di rilevanza giuridica può essere valutata dal giudice nella determinazione delle spese di lite, e una decisione del Tribunale di Verona (27 febbraio 2024) che ha ammesso la riduzione dell'importo spettante al ricorrente a titolo di compenso nel caso di allegati al ricorso monitorio privi di denominazione corrispondente al loro contenuto.

Chiarezza e sinteticità degli atti processuali

Com'è noto, il legislatore, in attuazione dell'art. 1, comma 17, lett. d), l. n. 206/2021, ha modificato l'art. 121 c.p.c. codificando il principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali.

Tale innovazione ha determinato l'aggiunta nella rubrica dell'art. 121, dopo l'espressione «Libertà di forme», delle parole «Chiarezza e sinteticità degli atti» nonché l'affiancamento alla prescrizione secondo cui «Gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo» della precisazione che «Tutti gli atti del processo sono redatti in modo chiaro e sintetico».

Come osservato in dottrina (Carratta, 22), con la positivizzazione del principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali, il legislatore ha inteso condividere l'orientamento con cui la Corte di Cassazione, a partire dal 2014, ha affermato che la chiarezza e la sinteticità sono requisiti degli atti processuali imprescindibili per la garanzia dei principi di ragionevole durata del processo, di leale collaborazione tra le parti nonché tra queste e il giudice (cfr. Cass. civ. 6 agosto 2014, n. 17698; Cass. civ. 30 aprile 2020, n. 8425).

Tale principio è tradizionalmente inteso come limite alla forma e alla lunghezza degli atti di parte (Gradi, 52), funzionale alla ragionevole durata del processo, nella misura in cui facilita lo studio degli scritti difensivi da parte del giudice, il quale non di rado è chiamato all'esame di atti prolissi, costituiti da argomentazioni artificiose, contraddittorie o irrilevanti, in grado di rallentare lo svolgimento delle attività processuali.

E' quindi evidente il legame sussistente tra la sinteticità degli atti e l'efficienza del processo (Luongo, §3.2.).

La codificazione della regola di chiarezza e concisione degli atti risente, altresì, del rafforzamento,ad opera della riforma c.d. Cartabia, del processo civile telematico, che necessita inevitabilmente di forme più agevoli di consultazione telematica degli atti (cfr. art. 196-quater disp. att. c.p.c., secondo cui i depositi degli atti giudiziari, ivi compresi quelli introduttivi del giudizio, deve compiersi «esclusivamente con modalità telematiche»).

Occorre evidenziare che la previsione in oggetto non è una novità nel panorama legislativo italiano. Invero, la redazione chiara e sintetica degli atti costituisce ormai da tempo una regola del processo amministrativo (art. 3, comma 2, d.lgs. n. 104/2010).

Inoltre, il principio di chiarezza e sinteticità degli atti processuali è richiamato dal Protocollo d'intesa fra Consiglio nazionale forense e Corte di Cassazione del 17.12.2015 sulla redazione dei motivi del ricorso per Cassazione.

Al contempo, si è registrata l'introduzione di diverse disposizioni volte ad incentivare, seppur senza la previsione di sanzioni, la redazione di atti e provvedimenti sintetici (Lombardi, 2): si pensi, ad esempio, alla “concisa esposizione” delle ragioni di fatto e di diritto della sentenza di cui all'art. 132 c.p.c. o alla «redazione sintetica» degli atti e dei provvedimenti depositati telematicamente cui faceva riferimento il previgente art. 16-bis, comma 9-octies, del d.l. n. 179/2012 (abrogato dal d.lgs. n. 149/2022).

Quanto al significato dei criteri di redazione degli atti contenuti nell'art. 121 c.p.c., può affermarsi che il requisito della chiarezza presuppone l'impostazione ordinata del testo scritto, oltre che la sua comprensibilità (Luongo, § 2).  

Diversamente, il requisito della sinteticità può esprimere due diversi significati, uno da rapportare al contenuto dell'atto, l'altro collegato alle sue dimensioni (De Giorgis, § 3).

Sotto il primo profilo, il canone di sinteticità richiede che il testo dell'atto non comprenda inutili ripetizioni e che non sia ridondante e prolisso. La sua portata non può che variare in ragione della complessità del fatto dedotto in lite, grazie al «filtro»” della specificità (espressamente richiamato, ad esempio, dagli artt. 163,167,281-undecies, 342 c.p.c.), quale criterio di selezione degli elementi necessari e sufficienti ad individuare il contenuto dell'atto processuale (Delle Donne, 274).

Da questa prospettiva, la sinteticità implica, non tanto la brevità dell'atto, quanto piuttosto l'essenzialità sulle questioni rilevanti.

In una diversa accezione, la sinteticità può essere intesa come criterio dimensionale, come limite alla lunghezza degli atti (De Giorgis, § 3).

Il legislatore sembra prediligere tale ultima concezione del canone di sinteticità.

Invero, il nuovo comma 5 dell'art. 46 disp. att. c.p.c. prevede che, con decreto del Ministro della giustizia, sentiti il Consiglio superiore della magistratura e il Consiglio nazionale forense, vengano definiti gli schemi informatici degli atti giudiziari e i limiti degli atti processuali, tenendo conto della tipologia, del valore, della complessità della controversia, del numero delle parti e della natura degli interessi coinvolti.

In attuazione di tale disposizione, in data 7 agosto 2023, il Ministro della Giustizia ha definito con decreto gli schemi informatici degli atti giudiziari, con la strutturazione dei campi necessari per l'inserimento delle informazioni nei registri del processo e ha stabilito i criteri di redazione e i limiti dimensionali degli atti. Tale decreto si applica agli atti processuali relativi ai procedimenti introdotti dopo il primo settembre 2023.

Il mancato rispetto delle specifiche tecniche sulla forma e sullo schema informatico e dei criteri e limiti di redazione dell'atto, secondo la previsione contenuta nell'art. 46, comma 6, disp. att. c.p.c., «non comporta invalidità, ma può essere valutato dal giudice ai fini della decisione sulle spese del processo ».

I limiti di redazione dell'atto cui fa riferimento la norma citata sono quelli quantitativi (De Giorgis, § 4).

Non può, quindi, dubitarsi dell'applicabilità della sanzione nel caso di mancato rispetto del canone di sinteticità, da intendere come limite dimensionale degli atti, nel senso che è sufficiente che uno scritto superi il numero di caratteri stabilito dalla legge perché esso, salve le eccezioni previste dall'art. 5 del d.m. cit., possa considerarsi come prolisso e, quindi, non conforme al principio di concisione di cui all'art. 121 c.p.c., la cui violazione può essere valutata dal giudice nella liquidazione delle spese di lite.

In realtà, il d.m. n. 110/2023 sembra indirettamente far riferimento anche al criterio di sinteticità da intendere nella diversa accezione di canone di contenuto dell'atto.

Va invero considerato che l'art. 2, d.m. cit., rubricato «criteri di redazione degli atti processuali delle parti private e del pubblico ministero», dispone che l'esposizione dei fatti e dei motivi di diritto sia «specifica».

Ebbene, i concetti di specificità e di sinteticità sono tra loro connessi in quanto la proporzione tra complessità delle questioni da affrontare e ampiezza dello scritto è assicurata dal filtro della specificità, quale criterio di selezione degli elementi necessari e sufficienti ad individuare il contenuto dell'atto processuale. In questa prospettiva, la sinteticità può essere intesa come «capacità di selezionare gli elementi essenziali alla funzione di quel particolare tipo testuale» (De Santis, 752).

Quindi, alla luce dell'art. 2 del d.m. cit., anche l'inosservanza della regola di sinteticità, da collegare al contenuto dell'atto, piuttosto che alle sue dimensioni, potrebbe assumere rilevanza sotto il profilo delle spese di lite.

Più controversa, invece, è l'applicabilità della sanzione prevista dall'art. 46 disp. att. c.p.c. nel caso di violazione del canone di chiarezza.

Secondo alcuni autori, posto che la regola della chiarezza è sorretta dalla medesima ratio di quella della sinteticità, anche la redazione di atti oscuri può assumere rilievo sotto il profilo delle spese di lite (Cossignani, § 2.1.). Di diverso avviso è quella parte della dottrina che ha messo in evidenza che, in assenza di una espressa previsione normativa, il mancato rispetto del canone della chiarezza comporta l'operatività delle sanzioni già previste nel nostro ordinamento, come, ad esempio, la nullità dell'atto di citazione o l'impiego del principio di non contestazione (Festi, § 2). Su questa linea, si è osservato che l'art. 46 disp. att. c.p.c., disciplinando le conseguenze del mancato rispetto di «specifiche tecniche», «criteri» e «limiti di redazione», non è riferibile al canone di chiarezza (De Giorgis, § 6).

La questione deve oggi essere affrontata alla luce del decreto ministeriale n. 110/2023.

In particolare, l'art. 2 del d.m. cit., al fine di garantire la chiarezza e la sinteticità degli atti, delinea un'articolazione degli atti introduttivi della causa che riflette quello che dovrebbe essere l'ordine logico del ragionamento. Considerato che il requisito della chiarezza presuppone l'impostazione ordinata del testo scritto, oltre che la sua comprensibilità, anche l'inosservanza dei criteri di redazione dell'atto, cui fa riferimento l'art. 46 disp. att., può contribuire alla confusione e all'ambiguità dell'atto.  

Aderendo a questa prospettiva, potrebbe ipotizzarsi che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 46, comma 6, disp. att. c.p.c. e dell'art. 2 del d.m. cit., pure l'inosservanza del canone della chiarezza espositiva possa essere valutata dal giudice nella determinazione delle spese di lite.

L'incidenza degli atti prolissi sulla liquidazione delle spese di lite

In tale quadro normativo, la Corte d'appello di Milano, con provvedimento del 25 gennaio 2024, ha ritenuto applicabile al caso esaminato il disposto dell'art. 121 c.p.c., rilevando che il ricorso depositato dal reclamante, costituito da oltre 40 pagine, era connotato da prolissità e da digressioni anche letterarie del tutto fuorvianti e prive di attinenza alla fattispecie dedotta oltre che destituite di rilevanza giuridica e che, pertanto, l'atto non era rispettoso del principio di sinteticità e chiarezza di cui all'art. 121 c.p.c.

Il giudice, nel rendere operativo l'art. 46 disp. att. c.p.c., ha tenuto conto della violazione riscontrata nella quantificazione delle spese di lite, le quali sono state poste a carico del reclamante, sulla scorta dei principi di cui agli art. 91 e 92 c.p.c.

La soluzione adottata dalla Corte d'appello di Milano, oltre ad essere conforme al dato normativo e rispondente al criterio della soccombenza, mette in evidenza che il vero problema della redazione degli atti non è tanto il numero di caratteri impiegato quanto piuttosto l'esposizione oscura del fatto e del diritto, la quale rischia di pregiudicare la comprensione della vicenda, di incidere negativamente sull'efficacia della tutela e di rendere meno efficiente lo svolgimento delle attività processuali.  Invero, come evidenziato in dottrina, «un atto ingiustificatamente prolisso finisce con l'essere inevitabilmente oscuro» (De Santis, 751).

Nell'attuale contesto normativo, la redazione degli atti non può più prescindere da un'esposizione nitida, essenziale e precisa dei contenuti selezionati, capace di rendere la ricostruzione del fatto e del diritto più convincente agli occhi del giudice, la cui attenzione non deve essere distolta da argomentazioni non rilevanti per la decisione della causa.

E' tuttavia auspicabile che i giudici non facciano un'applicazione troppo rigida dell'art. 46 disp. att. c.p.c., la quale costituisce pur sempre una mera facoltà, il cui esercizio non può prescindere dall'accertamento dell'incidenza dell'inosservanza dei criteri di stesura dell'atto sull'efficienza del processo.

Da questa prospettiva, considerato che l'operatività nel processo civile del principio di chiarezza e sinteticità costituisce il fondamento di un nuova tecnica di redazione degli atti giudiziari che vedrà il professionista lavorare su un rinnovato linguaggio giuridico e su moderne tecniche di costruzione del ragionamento, non può escludersi che il giudice, nel tentativo di contemperare il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. con le esigenze di economicità processuale, in virtù del disposto di cui all'art. 175 c.p.c., possa comunque invitare le parti a riformulare l'atto oscuro o prolisso, con il divieto di introdurre fatti, motivi ed eccezioni nuovi rispetto a quelli già dedotti (cfr. Relazione Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione, 1 dicembre 2022, n. 110 sul d.lgs. n. 149/2022) oppure segnalare alle stesse parti, dopo il deposito degli atti introduttivi (ad esempio, con il provvedimento conclusivo delle verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis c.p.c.), l'inosservanza dei canoni di chiarezza e sinteticità, al fine di indurre gli avvocati, per i futuri scritti difensivi, a fare un uso più parsimonioso delle parole, con precisa individuazione dei punti controversi, da esporre con uno stile asciutto ed essenziale.

La riduzione dell'ammontare delle spese di lite nel caso di allegati al ricorso monitorio privi di denominazione corrispondente al loro contenuto

Un ulteriore applicazione degli artt. 121 e 46 disp. att. c.p.c. si riscontra nel decreto del Tribunale di Verona del 27 febbraio 2024, che, in accoglimento di un ricorso monitorio, ha ritenuto di ridurre di euro 100,00 l'importo da liquidare in favore del ricorrente a titolo di compenso in considerazione del fatto che gli allegati al ricorso, pur essendo stati indicati in ordine numerico progressivo, non recavano la descrizione corrispondente al loro contenuto.

In particolare, il giudice ha rilevato che la prescrizione contenuta nell'art. 2, lett. f) del d.m. cit., secondo cui anche i ricorsi vadano redatti, nella parte in fatto, mediante «puntuale riferimento ai documenti offerti in comunicazione, indicati in ordine numerico progressivo e denominati in modo corrispondente al loro contenuto, preferibilmente consultabili con apposito collegamento ipertestuale», postula l'indicazione degli allegati con la stessa denominazione contenuta nel corpo dell'atto, al fine di agevolarne la consultazione, specie in assenza di collegamenti ipertestuali.

Da questa prospettiva, il Tribunale di Verona ha evidenziato che tale regola, essendo diretta ad facilitare, non solo il giudice, ma anche la controparte, nell'esame delle allegazioni contenute nell'atto e delle collegate produzioni, è funzionale al diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., anche in considerazione della brevità del termine per proporre opposizione nel procedimento di ingiunzione (art. 641 c.p.c.).

Il giudice ha altresì escluso che il superamento della violazione dei criteri di stesura dell'atto possa essere garantito dallo strumento di cui all'art. 640 c.p.c., atteso che tale norma consente unicamente l'integrazione dei documenti.

Inoltre, nel decreto in commento si è osservato che l'ampia formulazione dell'art. 46 disp. att. c.p.c. consente sia di derogare al principio di soccombenza sia di rideterminare l'ammontare delle spese di lite in considerazione del numero e/o della gravità dell'inosservanza rilevata.

La lettura del Tribunale di Verona suggerisce qualche osservazione.

Innanzitutto, è giusto chiedersi se, in un procedimento a contraddittorio puramente eventuale, qual è quello ingiuntivo, ove la violazione dei criteri di redazione degli atti di cui al d.m. n. 110/2023 è tale da determinare, in concreto, unicamente un maggior aggravio all'attività del giudice, diventando attuale l'aumento degli oneri processuali della controparte solo nel caso di presentazione dell'opposizione al decreto ingiuntivo nei termini di legge, il giudice sia tenuto ad una specifica ed adeguata indicazione delle ragioni in forza delle quali la riscontrata violazione – nel caso di specie la mancanza negli allegati al ricorso monitorio della denominazione corrispondente al loro contenuto – abbia reso meno efficiente lo svolgimento delle attività processuali (ad esempio, nella fattispecie in esame, attraverso l'indicazione del numero degli allegati esaminati), idonea a giustificare la regolazione delle spese adottata, non potendo prescindere l'applicazione dell'art. 46 disp. att. c.p.c. dal rilievo dell'incidenza della violazione dei criteri di stesura degli atti sull'efficienza del processo. Il che appare tanto più vero se si considera che la violazione rilevata dal Tribunale di Verona, incidendo in via immediata sulle modalità di consultazione dei documenti allegati all'atto processuale, ha una portata diversa rispetto al vizio determinato dall'assenza di chiarezza e sinteticità dell'atto.

Vi è poi un ulteriore profilo che vale la pena sottolineare.

Il Tribunale di Verona ha rilevato che l'ampia formulazione dell'art. 46 disp. att. c.p.c. consente, non solo di parametrare l'ammontare delle spese di lite al numero e alla gravità della violazione dei criteri di redazione degli atti processuali, ma anche di derogare la principio di soccombenza.

A tal riguardo, è importante evidenziare che la legge non chiarisce se il giudice chiamato a vagliare il rispetto dell'art. 121 c.p.c. possa condannare alla rifusione delle spese di lite la parte vincitrice che ha redatto atti non conformi al principio di chiarezza e sinteticità o utilizzare lo strumento della compensazione delle spese di lite.

Quanto alla compensazione totale in danno della parte totalmente vittoriosa, una simile opzione non sembra essere consentita dall'art. 92, comma 2, c.p.c., che la limita ai casi di soccombenza reciproca, di assoluta novità della questione trattata ovvero di mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti o, ancora, dopo l'intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 77/2018, in presenza di «altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni» (in arg. cfr. Cass. del 14.10.2022, n. 30328), salvo ritenere che il legislatore, con l'introduzione dell'art. 46 disp. att. c.p.c., abbia voluto prevedere una nuova ipotesi di compensazione delle spese di lite.

Da questa prospettiva, alcuni autori hanno evidenziato che tale prescrizione può comportare solo la rideterminazione (in aumento o in diminuzione) dell'ammontare delle spese di lite, la cui imputazione non può in ogni caso prescindere dagli ordinari criteri di riparto delle spese di cui agli artt. 91 e 92, ispirati al principio di soccombenza (Cicalese, 3).

Ciò precisato va peraltro osservato che, nel silenzio della legge, la violazione delle tecniche redazionali di cui al d.m. n. 110/2023 sembra poter comportare la condanna nei confronti del vincitore, in deroga al principio di soccombenza, solo con riferimento alle spese che la stessa parte abbia causato all'altra per trasgressione del dovere di lealtà di cui all'art. 88 c.p.c., in applicazione dell'art. 92, comma 1, c.p.c., che prescinde dalla soccombenza della parte. Invero, in presenza di testi oscuri, espressivi della volontà dell'autore di creare confusione per trarre in inganno la controparte ed il giudice, la poca chiarezza ed organicità dell'atto potrebbe costituire un indice sintomatico dell'abusività della condotta, meritevole di essere sanzionata attraverso l'applicazione dell'art. 92, comma 1, c.p.c. (in arg. Gradi, 53).

Riferimenti

Carratta, Le riforme del processo civile. D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, in attuazione della L. 26 novembre 2021, n. 206, Torino, 2023, 20 ss.;

Cicalese, Compensazione delle spese se la dimensione dei caratteri e dell'interlinea viola il D.M n. 110/2023, in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 9 novembre 2023;

Cossignani, Riforma Cartabia. Le modifiche al primo grado del processo di cognizione ordinario, in giustiziainsieme.it, 22 febbraio 2023;

De Giorgis, Le disposizioni generali in materia di chiarezza e sinteticità degli atti processuali nella riforma Cartabia, in judicium.it, 16 giugno 2023;

De Santis, La redazione degli atti difensivi ai tempi del processo civile telematico: sinteticità e chiarezza, in Giust. proc. civ., 2017, 3, 749 ss.;

Delle Donne, La fase introduttiva, la prima udienza e i provvedimenti del giudice istruttore, in La riforma Cartabia del processo civile. Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Tiscini (a cura di), Pisa, 2023, 271 ss.;

Festi, Chiarezza e sinteticità nella Riforma Cartabia, in giurisprudenzamodenese.it, 21 gennaio 2023;

Gradi, Dovere delle parti e dei terzi, in La riforma Cartabia del processo civile, Commento al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, Tiscini (a cura di), Pisa, 2023, 52 ss.;

Lombardi, Sintesi degli atti giudiziari e regolamentazione delle spese di lite, in IUS Processo civile (ius.giuffrefl.it), 6 aprile 2023;

Luongo, Il «principio» di sinteticità e chiarezza degli atti di parte e il diritto di accesso al giudice (anche alla luce dell'art. 1, co. 17 lett. d ed e, d.d.l. 1662), in judicium.it, 9 ottobre 2021.

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