Se la sofferenza diventa lesione dell’integrità psicologica, il danno è biologico, non morale

La Redazione
26 Aprile 2024

La Corte di cassazione, nell’ordinanza del 22 aprile 2024, n. 10787, ha chiarito che là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico.

La vicenda riguardava una richiesta di risarcimento avanzata da una paziente per tutti i danni patiti a seguito di un intervento di artroscopia al menisco destro, asseritamente riconducibili al negligente operato dei medici, tra i quali il danno psichico, subito come conseguenza del difficile decorso postoperatorio.

Per quanto di interesse, la Corte di cassazione ha ritenuto fondato il quinto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente lamentava che la Corte territoriale aveva erroneamente proceduto alla liquidazione del(l'accertato) danno psichico, subito in conseguenza del difficile decorso postoperatorio, a partire dal danno biologico, e cioè secondo una «personalizzazione» quantificata al 25% del danno biologico.

I giudici di legittimità hanno a riguardo chiarito «là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un'abituale, normale o comprensibile, alterazione dell'equilibrio affettivo-emotivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un'incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. civ. n. 6443/2023; Cass. civ. n. 18056/2019)».

Nella specie, lo stesso giudice di appello aveva riconosciuto, condividendo quanto già accertato dal primo giudice, che le conseguenze derivate all'attrice dal decorso post-operatorio si sono tradotte in un «disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico», ossia in una situazione che ha trasceso il piano della sofferenza soggettiva, tale da mutare in una condizione psicologica di tipo patologico. La Corte territoriale aveva, dunque, errato nel ricondurre lo «stato psicopatologico depressivo» tra i presupposti della «personalizzazione del danno» non patrimoniale e «in una misura proporzionata al profilo psico-esistenziale, di una persona che all'epoca svolgeva un'attività lavorativa di impiegata con una ordinaria sfera di vita personale, indubbiamente penalizzata», giacché avrebbe dovuto, ai fini della liquidazione complessiva del danno biologico, altresì prendere in considerazione il danno psichico allegato e provato.

A tal fine, essendosi in presenza di lesioni monocrone coesistenti - e cioè, di lesioni plurime riguardanti organi e funzioni diverse derivate da un medesimo evento dannoso - il giudice di secondo grado dovrà, quindi, tenere conto che il danno biologico è unitario, per cui la valutazione medico-legale delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva (Cass. civ. n. 8286/1996; Cass. civ. n. 18328/2019). In tal senso, non potrà, quindi, addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma ad un apprezzamento funzionale e, per l'appunto, complessivo delle singole invalidità, attraverso un corretto criterio medico-legale e in base ad un «barème» redatto con criteri di scientificità (Cass. civ. n. 11724/2021; Cass. civ. n. 19229/2022).

In siffatto contesto, poi, il giudice di merito dovrà considerare che il risarcimento spettante al danneggiato per il danno biologico-ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione, come detto, a un «barème» medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona - può essere incrementato in via di «personalizzazione» solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna «personalizzazione» in aumento (tra le altre: Cass. civ. n. 27482/2018; Cass. civ. n. 28988/2019; Cass. civ. n. 5865/2021).

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