Accordo d’incremento retributivo “automatico”: questioni interpretative e “assorbibilità” dell’emolumento

02 Maggio 2024

Nella sentenza in commento, il Tribunale di Cosenza affronta e risolve una controversia inerente all'interpretazione di una clausola pattizia di aumento della retribuzione in caso d'incremento dei ricavi aziendali. Stante una formulazione ambigua del testo negoziale, il giudice del lavoro, sulla scorta dei principi di ermeneutica contrattuale e degli approdi maggioritari della Corte di Cassazione, decide la vicenda riguardo alla questione dell'automaticità dell'aumento, della sua decorrenza nonché rispetto al generale principio dell'assorbimento dei c.d. “superminimi”.

MASSIME

La clausola contrattuale disponente che “la retribuzione del dipendente potrà essere incrementata di un importo pari al 10% (dieci per cento) dell'incremento dei ricavi prodotti dalla società come risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre di ogni anno” deve essere interpretata nel senso dell'incremento automatico della retribuzione ove si realizzi l'evento futuro e incerto (i.e.: condizione sospensiva) rappresentato dall'aumento dei ricavi prodotti dalla società, per come risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre di ciascun anno, con decorrenza dalla data di approvazione dello stesso e con imputazione a titolo di superminimo riassorbibile.

IL CASO

I fatti di causa

Con sentenza del 2 febbraio 2024, n. 220, il Tribunale di Cosenza affronta e risolve una controversia contrattuale, da una parte, tutt'altro che infrequente, considerati i contorni della fattispecie discussa ossia elementi di retribuzione eccedenti i minimi previsti dalla contrattazione collettiva (cioè i c.d. “superminimi”), dall'altra, assolutamente peculiare, in quanto concordati formalmente, non in bonus, premio incentivo o simili voci di carattere variabile e, comunque, accidentali rispetto all'ordinaria obbligazione economica, bensì in termini di stabile incremento della retribuzione originariamente riconosciuta al prestatore subordinato.

Invero, per quel che qui rileva, nel mentre di complesse vicende di mutazione societaria, dalle risultanze processuali emergeva, fra lavoratore e datore di lavoro, un regolamento pattizio del trattamento economico contente una clausola del tenore che segue: “la retribuzione del dipendente potrà essere incrementata di un importo pari al 10% (dieci per cento) dell'incremento dei ricavi prodotti dalla società come risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre di ogni anno”.

Di qui, il prestatore subordinato ricorrente lamentava il mancato riconoscimento, nonostante l'accresciuto risultato del conto economico, della suddetta progressione retributiva per l'anno 2021, da erogarsi, a suo dire, con decorrenza dal 1° gennaio 2022.

In aggiunta, riguardo alla corresponsione, invece, avvenuta con riferimento all'anno 2019, si doleva della compiuta liquidazione, solo a far data dal 1° aprile 2020, anziché 1° gennaio 2020 e, oltretutto, con imputazione della somma a “superminimo riassorbibile”.

Di contro, la società eccepiva l'infondatezza della domanda opponendo una “interpretazione della clausola contrattuale attributiva del potere (i.e. facoltà) della società di incrementare il trattamento retributivo” e non, come sostenuto da parte attrice, nel senso di determinare un automatismo negozialmente vincolante; del pari riteneva priva di fondamento la questione sull'errata decorrenza della variazione economica.

LE QUESTIONI E LE SOLUZIONI GIURIDICHE

La decisione. l'incremento “automatico” della retribuzione

Ai fini della decisione, il magistrato cosentino si prodiga in uno strutturato iter motivazionale che muove, in primo luogo, dal qualificare la norma pattizia quale condizione sospensiva ex art. 1353 c.c., ancorata all'aumento, anno su anno, dei ricavi aziendali.

Proseguendo, in difetto di elementi fattuali o giuridici utili a un suo piano intendimento, il giudicante si vede costretto a dipanare la centrale questione del significato da attribuire all'espressione “potrà essere incrementata”, ritenuta dal medesimo non risolvibile mediante il canone interpretativo letterale, “atteso che il testo contrattuale […] si presenta oltremodo oscuro ed ambiguo”.

Con la conseguenza che, dopo una breve premessa d'inquadramento teorico sui criteri di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 c.c. e ss. ed evidenziandone una loro macro suddivisione in “soggettivi” (artt. 1362-1365 c.c.) e “oggettivi” (artt. 1366-1370 c.c.), il giudice adito, nel definire la controversia, procede adoperandone essenzialmente tre.

In primis, indagando, sul punto dibattuto, la concreta intenzione dei contraenti, specialmente avuto riguardo, ai sensi del comma 2 art. 1362 c.c., del comportamento complessivo dai medesimi assunto, anche “dopo (durante l'esecuzione) il sorgere del vincolo negoziale” e vagliando, a tal proposito, quanto accaduto nell'anno 2020.

In particolare, preso atto, per tabulas, dell'applicazione pedissequa della clausola contrattuale e non emergendo dalla prodromica comunicazione datoriale (la quale si limitava a motivare l'incremento in ragione “delle risultanze emerse da evidenza di bilancio di esercizio relativo all'anno 2019”) indizi presuntivi di liberalità e/o discrezionalità nell'avvenuta erogazione, il tribunale adito conveniva per un'interpretazione del negozio “nel senso dell'incremento automatico della retribuzione del ricorrente pari ad 10% ove si realizzi l'evento futuro ed incerto (i.e.: condizione sospensiva) rappresentato dall'aumento dei ricavi prodotti dalla società […] per come risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre di ciascun anno”.

Un conclusione confermata, da secondo, anche evidenziando che l'optare per la tesi resistente ossia della previsione di una mera “facoltà datoriale non subordinata ad alcun specifico e predeterminato presupposto fattuale o giuridico ulteriore rispetto a quello dell'aumento dei ricavi prodotti dalla società”, significherebbe, di riflesso, il concretizzarsi di una condizione nulla poiché “meramente potestativa” (art. 1355 c.c.), evenienza in evidente contrasto con il principio ermeneutico di “conservazione del contratto” ex art. 1367 c.c.

Da ultimo, a medesimo esito conduceva pure l'applicazione dell'art. 1366 c.c. posto che, alla stregua di un'interpretazione della clausola secondo “buona fede”, “la specularità dei reciproci benefici comporta che all'incremento dei ricavi per la società per come risultanti dal bilancio approvato, consegua il corrispettivo aumento della retribuzione del dipendente”.

(Segue): decorrenza e assorbimento dell'emolumento

Al contrario, riguardo alla corresponsione economica del 2020, il giudice del merito disattendeva le doglianze inerente alla postergata decorrenza al 1 aprile, anziché fin dal 1 gennaio, evidenziando, sul punto, come la formulazione testuale, rimandando ai ricavi “risultanti dal bilancio chiuso al 31 dicembre di ogni anno”, dovesse intendersi riferita al momento di approvazione dell'anzidetta dichiarazione contabile che, in specie, era avvenuta alla data del 14 maggio 2020, dunque, addirittura in epoca successiva rispetto a quella di effettiva liquidazione dell'incremento economico.

Del pari, venivano respinte le rimostrante concernenti la prevista “assorbibilità” dell'aumento, essendo che, per maggioritaria giurisprudenza di legittimità (citando, in pronuncia, Cass. 29 agosto 2012, n. 14689, Cass. 27 marzo 2013, n. 7685 e Cass. 26 maggio 2016, n. 10945), la portata generale del principio di assorbimento comportava che un'eventuale volontà comune delle parti, fosse, nel caso, necessaria “per escluderne e non già per consentirne l'applicazione”.

In conseguenza, ad avviso del Tribunale del lavoro, mancata la prova della “natura assorbibile [dell'emolumento] in quanto connesso a particolari meriti o alla maggiore onerosità delle mansioni da egli svolte”, l'istanza andava rigettata.

OSSERVAZIONI

Volendo offrire una complessiva considerazione della sentenza qui annotata, si potrebbe anzitutto osservare come, nonostante le atipicità della vicenda, l'approccio valutativo e di argomentazione tenuto dal Tribunale di Cosenza rappresenta, riguardo diversi aspetti e relativamente alle varie questioni di diritto affrontate, un'ottima espressione di applicazione, nel merito, di principi ritenuti, oggi, consolidati, ai gradi giurisdizionali di legittimità.

A cominciare dalla ravvisata necessità, in caso di controversia vertente sull'interpretazione del contratto, di non arrestarsi al dato testuale e, nella peculiare fattispecie, alla locuzione utilizzata dalle parti “potrà essere incrementata”, la quale, in effetti, prima facie, ben induceva a un'esegesi della clausola pattizia favorevole alla piena discrezionalità datoriale del riconoscimento.

Infatti, ad avviso della più aggiornata giurisprudenza di Cassazione, tanto civile, quanto del lavoro, pur restando un fondamentale punto di partenza, il “senso letterale” ricavabile dal testo del negozio, giammai può finire con l'oscurare tutti gli altri criteri di ermeneutica dal codice previsti, essendo anzi lo stesso art. 1362 c.c. ad ammonire il giudicante circa l'esigenza ad indagare, in ogni caso, quale sia stata la comune intenzione perseguita dalle parti (Cfr. Cass. 12 gennaio 2024, n. 1065).

Al contrario, il dato testuale potrà, quindi, ritenersi pacifico e acquisito solo al termine del processo interpretativo (Così Cass. civ., Sez. III, 27 novembre 2023, n. 32933), il che comporta, in una logica di “circolarità” dello stesso, l'apprezzamento di tutti i criteri civilistici, peraltro fra loro posti su un livello di equiordinazione (Cfr. Cass. 13 ottobre 2022, n. 30141).

Ma anche a voler assumere, in un solco più tradizionale, un principio di gerarchia (v. Cass. 30 novembre 2021, n. 37590) a favore dei canoni c.d. “strettamente interpretativi” (i.e. gli artt. 1362 e 1363 c.c.), nessuna censura sembra potersi muovere nei riguardi della commentata pronuncia posto che, nell'economia dell'iter motivazionale, emerge con nettezza l'utilizzo solo ad adiuvandum dei criteri c.d. “integrativi” (i.e. gli artt. da 1365 a 1371 c.c.).

Così come del tutto pertinente oltreché conforme alla giurisprudenza di legittimità appare il critico richiamo alle clausole “meramente potestative” visto che, nella sostanza, la tesi interpretativa propugnata dal datore di lavoro avrebbe proprio realizzato l'esito, dall'ordinamento non consentito, di prevedere una “condizione […] il cui compimento o la cui omissione non dipende da seri o apprezzabili motivi, ma dal mero arbitrio della parte, svincolato da qualsiasi razionale valutazione di opportunità e convenienza, sì da manifestare l'assenza di una seria volontà della parte di ritenersi vincolata dal contratto” (Cfr. Cass. 10 settembre 2021, n. 24483).

Da ultimo, del tutto consonante alla prevalente giurisprudenza di Cassazione, si presente poi la decisione sul fronte della “assorbibilità” dell'incremento retributivo.

Invero, riscontrata la finalità del c.d. “superminimo” nell'adeguare, secondo uno specifico apprezzamento “individuale” di proporzionalità e in termini di favor praestatoris, la retribuzione minima prevista dalla contrattazione collettiva (Cfr. Cass. 20 marzo 1998, n. 2984), risulta indubitabile che, al netto di qualche isolatissima pronuncia di segno contrario (v. Cass. 12 novembre 2004, n. 21555, la quale nega espressamente l'esistenza del “preteso principio di diritto del normale assorbimento del superminimo nei miglioramenti contrattuali, […] essendo state, invece (e non poteva essere altrimenti, considerati i ricordati limiti del giudizio di legittimità con riferimento a disposizioni contrattuali di diritto comune), semplicemente confermate sentenze di merito che avevano ritenuto sussistente, nel caso concreto, tale regola contrattuale”), una risalente giurisprudenza della Suprema Corte si è costantemente espressa nel senso di riconoscere, nelle diverse evenienze di rinnovo del C.C.N.L., mutamento di mansioni e finanche di riqualificazione del rapporto, da autonomo a subordinato, la generale applicazione del “criterio globale del trattamento più favorevole e non [i]l criterio del cumulo del nuovo minimo tabellare con l'anzidetto superminimo, tranne che le parti individuali o collettive abbiano espressamente previsto o voluto il cumulo o che il superminimo abbia la natura di compenso aggiuntivo speciale per particolari meriti del dipendente […] e sia così sorretto da autonomo titolo” (ancora Cass. 20 marzo 1998 cit.).

Dunque, in conformità con quanto osservato dal Tribunale cosentino, una vera e propria presunzione relativa (così Cass. 16 aprile 2021, n. 10164) che potrà essere superata dal lavoratore solo offrendo prova, per esempio facendo leva sul nomen attribuito dalle parti all'emolumento (infatti, opposti sono stati gli esiti del giudizio in caso dell'utilizzo di diciture quali “acconti futuri aumenti contrattuali” piuttosto che “assegno ad personam”; v. Cass. 29 settembre 2015, n. 19276 e Cass. 12 novembre 2004 cit.) ovvero sul comportamento dalle medesime tenuto successivamente alla definizione della clausola retributiva (v. il mancato assorbimento in caso di aumenti derivanti da rinnovo contrattuale; sul punto Cass. 29 agosto 2012, n. 14689), della sussistenza del titolo o del fatto costitutivo che autorizzi il mantenimento del compenso, così da escludere l'operatività del principio dell'assorbimento (Cfr. Cass. 25 agosto 1986, n. 5192).