L'estinzione del processo esecutivo può essere dichiarata anche durante la sua sospensione

02 Maggio 2024

La Corte di cassazione è stata investita della questione inerente alla possibilità per il giudice dell'esecuzione di dichiarare l'estinzione del processo esecutivo mentre lo stesso sia sospeso per effetto della proposizione di un'opposizione.

Massima

Il potere officioso del giudice dell'esecuzione di rilevare l'eventuale difetto – totale o parziale, originario o sopravvenuto – del titolo esecutivo, essendo connaturato e immanente alla funzione di direzione del processo esecutivo e del tutto indipendente dallo svolgimento e dall'esito delle eventuali opposizioni proposte dalle parti, non viene meno quando sia stata disposta la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.

Il caso

Nell'ambito di un'espropriazione immobiliare veniva proposta opposizione all'esecuzione ex art. 615 c.p.c., attraverso la quale era contestata l'esistenza del titolo esecutivo posto dal creditore a fondamento della propria azione.

Il giudice dell'esecuzione disponeva dapprima la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c.; quindi, ne dichiarava l'estinzione nella pendenza del giudizio di merito dell'opposizione, con provvedimento che veniva impugnato ex art. 617 c.p.c.

Tale opposizione agli atti esecutivi – con cui si sosteneva che il giudice dell'esecuzione non potesse dichiarare l'estinzione del processo esecutivo sospeso per le medesime ragioni che erano state poste a fondamento dell'opposizione all'esecuzione e che erano al vaglio del giudice della fase di merito della stessa – era respinta dal Tribunale di Civitavecchia, con sentenza gravata mediante ricorso per cassazione.

La questione

La Corte di cassazione è stata investita della questione inerente alla possibilità per il giudice dell'esecuzione di dichiarare l'estinzione del processo esecutivo mentre lo stesso sia sospeso per effetto della proposizione di un'opposizione.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza che si annota, i giudici di legittimità hanno respinto il ricorso, affermando che: 1) il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere di verificare l'esistenza del titolo esecutivo; 2) quando il debitore abbia proposto un'opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., contestando in tutto o in parte il diritto del creditore di procedere a esecuzione forzata, il giudice dell'esecuzione può limitarsi a sospendere il processo esecutivo o può esercitare i suoi poteri di rilievo officioso dell'esistenza o meno del titolo esecutivo; 3) tali poteri non vengono meno nel caso in cui sia stata disposta la sospensione del processo esecutivo ai sensi dell'art. 624 c.p.c., non essendone impedito l'esercizio dalla regola dettata dall'art. 626 c.p.c., che, riguardando gli atti esecutivi, si riferisce soltanto a quelli che comportano una progressione della procedura.

Osservazioni

L'interessante pronuncia della Corte di cassazione individua, da un lato, i poteri di rilievo officioso che competono al giudice dell'esecuzione nell'ambito dei controlli deputati a verificare la sussistenza delle condizioni per dare corso all'espropriazione forzata e coltivarla sino al suo esito naturale, vale a dire la liquidazione del bene pignorato e la sua conversione in denaro, per consentire in questo modo la soddisfazione delle ragioni dei creditori dell'esecutato; dall'altro lato, precisa se e in che modo tali poteri sono incisi dalle cosiddette vicende anomale del processo esecutivo e, in particolare, dalla sua sospensione.

Dal primo punto di vista, il giudice dell'esecuzione ha il potere-dovere di verificare – anche d'ufficio e a prescindere da una sollecitazione o da un'opposizione del debitore esecutato – l'esistenza e la permanenza, per tutto il corso dell'espropriazione, di un titolo esecutivo che sia idonea a sorreggerla: a questo proposito, va ricordato che, con la fondamentale sentenza n. 61 del 7 gennaio 2014, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno affermato che, quand'anche sia venuta meno l'efficacia esecutiva del titolo azionato dal creditore procedente, il processo esecutivo può continuare se, nel frattempo, sia intervenuto altro creditore parimenti titolato, che possa compiere i necessari atti di impulso idonei a condurlo alla sua conclusione.

Va da sé che, riscontrata la mancanza o la (totale o parziale) inefficacia dell'unico titolo esecutivo, il giudice ha il potere-dovere di dichiarare l'esecuzione non più proseguibile per l'insussistenza di uno dei suoi presupposti essenziali.

Dal secondo punto di vista, si tratta di capire se tali poteri possano essere esercitati quando sia stata proposta un'opposizione all'esecuzione che abbia per oggetto proprio l'esistenza del titolo esecutivo, sia stato adottato un provvedimento di sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 624 c.p.c. e sia pendente il giudizio di merito dell'opposizione.

La risposta dei giudici di legittimità è stata positiva, per un duplice ordine di ragioni.

In primo luogo, il potere di rilievo officioso in ordine alla sussistenza del titolo esecutivo può senz'altro essere esercitato anche quando il debitore si sia costituito nel processo esecutivo e non solo abbia sollevato contestazioni, sollecitando il giudice dell'esecuzione ad adottare i conseguenti provvedimenti strettamente correlati a tale potere, ma abbia addirittura proposto opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c.

Più precisamente, è stato affermato che, in presenza di un'opposizione con cui il debitore abbia contestato il diritto di procedere a esecuzione forzata per il credito fatto valere, il giudice dell'esecuzione ha due possibilità:

- può prendere atto dell'opposizione e, senza esercitare i propri poteri officiosi, limitarsi a sospendere l'esecuzione (in tutto o in parte) se e in quanto ravvisi – sia pure nei termini sommariamente prognostici propri di ogni valutazione avente natura lato sensu cautelare – la fondatezza dell'opposizione, fissando il termine per l'inizio del giudizio di merito;

- può nondimeno decidere di esercitare i propri poteri officiosi, che non vengono meno solo perché è stata proposta un'opposizione all'esecuzione, dichiarando l'estinzione del processo esecutivo, ovvero negando al creditore – in tutto o in parte – l'assegnazione degli importi ricavati dalla vendita dei beni pignorati, definendo in entrambi i casi l'espropriazione forzata.

Trattandosi di potere del giudice dell'esecuzione connaturato e immanente alla funzione di direzione del processo esecutivo che la legge gli attribuisce, esso resta insensibile allo svolgimento e all'esito delle eventuali opposizioni proposte dalle parti, quand'anche sia stata disposta, per effetto delle stesse, la sospensione dell'esecuzione ai sensi dell'art. 624 c.p.c.

D'altra parte, va rammentato che la sospensione del processo esecutivo va dichiarata non solo nei casi nei quali dell'opposizione sia investito direttamente il giudice dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 615, comma 2, c.p.c., ma anche quando:

- nell'ambito di un'opposizione cosiddetta pre-esecutiva, ossia a precetto, il giudice abbia sospeso l'efficacia esecutiva del titolo e, nel frattempo, l'esecuzione sia già stata avviata (evenienza che può indubbiamente verificarsi, tenuto conto della brevità del termine dilatorio di dieci giorni previsto dall'art. 482 c.p.c.);

- sia stata disposta la sospensione dell'efficacia del titolo giudiziale provvisoriamente esecutivo nel giudizio avente per oggetto la sua impugnazione (è il caso del decreto ingiuntivo la cui provvisoria esecutorietà, concessa ai sensi dell'art. 642 c.p.c. venga sospesa ex art. 649 c.p.c., della sentenza di primo grado la cui provvisoria efficacia esecutiva sia stata sospesa nel corso del giudizio d'appello ai sensi degli artt. 283 e 351 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione la cui efficacia esecutiva sia stata sospesa ai sensi dell'art. 373 c.p.c.).

In entrambi i casi, si è in presenza di una causa di sospensione esterna, che impone al giudice dell'esecuzione di adottare un provvedimento che determina l'arresto temporaneo del processo esecutivo, in attesa che il titolo su cui si regge possa tornare a esplicare l'efficacia di cui è stato temporaneamente privato.

Di regola, peraltro, il giudice dell'esecuzione, quando intenda esercitare il potere di rilievo officioso in ordine all'assenza di un titolo esecutivo, anche in presenza di un'opposizione all'esecuzione, lo farà presumibilmente prima e in alternativa rispetto all'adozione di un provvedimento di sospensione ai sensi dell'art. 624 c.p.c., visto che, una volta dichiarata l'improcedibilità del processo esecutivo, non potrebbe darsi luogo alla sua sospensione (ferma restando la necessità, pure in questo caso, di fissare ugualmente il termine per l'introduzione del giudizio di merito dell'opposizione, onde consentire alle parti di ottenere una pronuncia con efficacia di giudicato, idonea – come tale – ad accertare l'insussistenza del diritto del creditore di agire esecutivamente nei confronti del debitore anche al di là e al di fuori di quel determinato processo esecutivo).

Ciò non esclude, peraltro, che sussistano in concreto ragioni che possono indurre il giudice dell'esecuzione a esercitare dapprima il potere di sospensione di cui all'art. 624 c.p.c. e, successivamente, quello di verifica in ordine alla sussistenza del titolo esecutivo ai fini della proseguibilità dell'esecuzione: si tratta, infatti, di due poteri distinti e autonomi, che rinvengono la propria ragione di essere nell'autonomia strutturale del processo di esecuzione e di quello di cognizione cui dà luogo la proposizione di un'opposizione esecutiva.

In questo caso, va semmai considerata l'eventuale inutilità pratica e funzionale di uno dei due provvedimenti, ma un tanto può dirsi solo quando il processo esecutivo sia stato definitivamente chiuso: è evidente, infatti, che non vi sarebbe spazio per l'adozione di un provvedimento ai sensi dell'art. 624 c.p.c., vuoi perché non avrebbe senso sospendere un'esecuzione che non è più pendente, vuoi perché il giudice dell'esecuzione, con l'adozione dell'ordinanza di improcedibilità o di estinzione, avrebbe esaurito la sua funzione e si sarebbe spogliato di ogni suo potere.

In secondo luogo, non può sostenersi che il potere officioso di accertamento dell'insussistenza di un titolo esecutivo e l'esercizio dei conseguenti poteri sia inibito dall'intervenuta sospensione del processo esecutivo, per effetto di quanto disposto dall'art. 626 c.p.c., a mente del quale, in tale caso, è esclusa la possibilità di compiere atti esecutivi.

Anche non volendo considerare che la medesima norma fa salva una diversa disposizione del giudice dell'esecuzione, resta il fatto che, per consolidato orientamento giurisprudenziale, essa si riferisce ai soli atti volti a consentire la progressione della procedura esecutiva (vale a dire, a quelli idonei a darle impulso), restando quindi fuori dal fuoco della disposizione quei provvedimenti che, al contrario, ne determinano l'arresto definitivo, quando sia accertata l'insussistenza o la sopravvenuta caducazione del titolo esecutivo, con conseguente assorbimento del provvedimento di sospensione eventualmente già pronunciato.