Quando si procede a sequestro preventivo a carico di enti collettivi occorre motivare sul periculum in mora

Ciro Santoriello
02 Maggio 2024

La Cassazione formula una sorta di decalogo, di vademecum di profili che occorre esaminare in punto periculum in mora quando si intende procedere a sequestro finalizzato alla confisca.

Massima

La previsione speciale dettata all'art. 53 d.lgs. n. 231 del 2001 non si differenzia - quanto ai presupposti di applicabilità del sequestro - da quella generale disciplinante il sequestro finalizzato alla confisca ex art. 321, comma 2, c.p.p., dovendo il decreto di sequestro, adottato ai sensi dell'art. 53 d.lgs. n. 231/2001 contenere la motivazione in ordine alle esigenze cautelari che il sequestro mira a tutelare senza che le esigenze cautelari possano essere desunte esclusivamente dall'incapienza del patrimonio rispetto al presumibile ammontare della confisca.

Il caso

In sede di riesame era confermato il sequestro preventivo del profitto, derivante dall'illecito amministrativo di cui all'art. 24 d.lgs. n. 231/2001 in relazione ai delitti presupposto di indebita percezione di erogazioni, truffa ai danni dello Stato e frode nelle pubbliche forniture.

In sede di cassazione, la difesa contestava la ritenuta sussistenza in re ipsa delle esigenze cautelari sottese al sequestro del profitto del reato. In particolare, pur essendo stata prodotta documentazione idonea a comprovare la capienza del patrimonio societario e l'insussistenza del rischio di sottrazione del profitto alla eventuale e futura confisca, il Tribunale del riesame aveva ritenuto assorbente il fatto che la confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 ha natura obbligatoria, il che escluderebbe la necessità di vagliare il periculum in mora: l'ordinanza impugnata, nel valutare la sussistenza del periculum in mora, si era limitata ad affermare che «l'attuale capienza del patrimonio non garantisce nulla sulla concreta possibilità che nelle more del giudizio lo stesso possa essere dissolto», aderendo espressamente all'indirizzo minoritario secondo cui, nei casi in cui è prevista un'ipotesi di confisca obbligatoria, il sequestro può essere legittimamente emesso sulla base del mero presupposto della confiscabilità del bene, senza alcuna ulteriore specificazione in ordine alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio.

La difesa contesta tale affermazione richiamando i principi affermati dalle Sezioni Unite n. 36959/2021, secondo cui il provvedimento di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, deve sempre contenere la motivazione in ordine alle esigenze cautelari che mira a tutelare.

La questione

Sulla circostanza che, nel sistema della responsabilità da reato degli enti, la confisca rappresenti una vera e propria sanzione non sussiste nessun dubbio né in dottrina (Vizzardi, Sub art. 19, in Presutti – Bernasconi - Fiorio, La responsabilità degli enti, Padova, 2008, 228; Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell'interpretazione delle Sezioni unite, in Cass. Pen. 2008, 4562; Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell'ente in cerca di identità: luci e ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite, in Riv. It. Dir. Pen. Proc., 2008, 1758) né in giurisprudenza (da ultimo, Cass. pen., sez. II, 14 luglio 2023 n. n. 30656).

Per una riflessione generale sull'istituto della confisca Lasalvia, Brevi riflessioni sulle "confische moderne", in Leg. Pen. web, 12 febbraio 2020; Fondaroli, La poliedrica natura della confisca, in Arch. Pen. Web, 2019, 2; Santoriello, Confisca e sequestro nei reati economici. un itinerario fra dubbi ed incoerenze della giurisprudenza, in Soc., 2022, 906.

Quanto all'onere motivazionale che deve accompagnare un tale provvedimento cautelare quando assunto in sede di procedimento nei confronti di persone fisiche, dopo la decisione delle sezioni unite 24 giugno 2021, n. 36959, la giurisprudenza – salvo isolate prese di posizione in senso contrario (Cass. pen., sez. VI, 23 febbraio 2022, n. 12513) - è concorde nel ritenere che il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca obbligatoria, deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare - nel rispetto dei criteri di adeguatezza e proporzionalità della misura reale - alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio (ex multis, Cass. pen., sez. VI, 15 febbraio 2023, n. 20649; Cass. pen., sez. VI, 5 luglio 2022, n. 32582).

In precedenza si riteneva che la circostanza che la confisca fosse obbligatoria rendesse superfluo una valutazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora in caso di apprensione in via cautelare dei beni del responsabile dell'illecito, ma la Cassazione ha chiarito che la qualificazione del provvedimento ablatorio come doveroso o facoltativo è irrilevante ai fini del discorso in oggetto posto che da un lato le due figure di confisca mantengono identiche caratteristiche, presupposti e funzioni e dall'altro non incide in alcun modo sulla finalità e ratio cautelare e preventiva del relativo provvedimento di sequestro.

In dottrina, sulla decisione delle Sezioni Unite Piergiovanni, Sequestro preventivo finalizzato alla confisca: le Sezioni unite impongono l'onere di motivare sul periculum in mora, in sistemapenale.it. 9 novembre 2021; Arbotti, L'accertamento del periculum nel sequestro preventivo "obbligatorio", in vista delle Sezioni Unite Penali, ivi, 14 marzo 2023; Carchietti, Sequestro preventivo di somme di danaro e periculum in mora: tra ossequio ai principi, salvaguardia dell'istituto e definizione degli oneri dimostrativi, ivi, 10 maggio 2023; Murone, Necessarietà della motivazione sul periculum in mora in ipotesi di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, in Dir. Pen. Proc., 2022, 777; Alesci, Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca deve essere motivato in relazione al periculum in mora, in Proc. Pen. Giust., 2022, 380; Biscardi, Sequestro per confisca: morte (apparente?) di un paradosso, ibidem, 481; Belfiore, Sequestro a scopo di confisca: necessario accertare il rischio di “dispersione” della res, in Cass. Pen., 2022, 532; Mormando, Il principio di proporzionalità della confisca: alcune brevi riflessioni, a margine della sentenza 24 giugno 2021, n. 36959 delle SS.UU, in Arch. Pen. web, 2023, fasc. 2.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato dichiarato fondato.

La decisione ha ribadito il dictum delle Sezioni Unite 24 giugno 2021, n. 36959, precisando che quanto affermato in relazione alle ipotesi del sequestro finalizzato alla confisca obbligatoria del profitto del reato, deve ritenersi ancor più necessitato lì dove, come nel caso di specie, il sequestro è stato emesso a carico di una società nei cui confronti si procede per la responsabilità amministrativa da reato.

In proposito la Cassazione ricorda che nel sistema punitivo disegnato dal d.lgs. n. 231/2001, la confisca è espressamente qualificata quale sanzione ai sensi degli artt. 9, lett. c) e 19), sicché il sequestro finalizzato alla confisca si traduce in una vera e propria anticipazione del trattamento sanzionatorio, prima ancora che si pervenga all'accertamento definitivo della responsabilità dell'ente, il che, dunque, pone il sequestro finalizzato alla confisca sullo stesso piano delle misure cautelari che determinano un'anticipazione della pena.

Un accenno in tal senso era presente in un lontano precedente (Cass. pen., sez. VI, 31 maggio 2021, n. 34505), secondo cui, per procedere al sequestro preventivo a fini di confisca del profitto del reato presupposto è necessario l'accertamento della sussistenza di gravi indizi di responsabilità dell'ente indagato: infatti, essendo il sequestro ex art. 53, d.lgs. n. 231/2001 finalizzato ad anticipare una sanzione principale - qual è, per l'appunto, la confisca ex art. 19 – è necessaria una valutazione più approfondita rispetto alla "astratta configurabilità" del reato. Una tale soluzione non aveva trovato conferma nella giurisprudenza successiva che, invece, si è attestata nel ritenere che per il sequestro preventivo dei beni di cui è obbligatoria la confisca ai sensi dell'art. 19 d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, né il periculum richiesto, essendo sufficiente accertare la confiscabilità dei beni una volta che sia astrattamente possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato (Cass. pen., sez. II, 10 luglio 2018, n. 34293; Cass. pen., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 51806).

La decisione in commento si pone, per così dire, in una posizione intermedia rispetto a questi due orientamenti, sostenendo che il principio volto a valorizzare la peculiarità del sequestro finalizzato alla confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 può essere recuperato con riferimento al profilo della necessità di motivare le esigenze cautelari, nel senso che la natura della confisca e gli effetti della sua anticipazione in fase di sequestro costituiscono elementi che rendono necessaria un'apposita motivazione in ordine alla sussistenza del periculum in mora. Motivazione che, come si legge nella citata sentenza n. 36969 del 2021, nell'illustrare le ragioni che impongono di specificare le ragioni sottese al sequestro, consente, da un lato, di evitare le possibili frizioni con il principio della presunzione di non colpevolezza e, dall'altro, di assicurare il rispetto del principio di proporzionalità «evitando un'indebita compressione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti, quali il diritto di proprietà o la libertà di iniziativa economica, e la trasformazione della misura cautelare in uno strumento, in parte o in tutto, inutilmente vessatorio».

Va esclusa invece ogni rilevanza alla circostanza che le Sezioni Unite, nell'affermare la sussistenza di un onere motivazionale relativamente al periculum in mora in caso di sequestro preventivo, non abbia fatto alcun riferimento al procedimento a carico degli enti. Infatti, i principi affermati in quell'occasione, stante la loro valenza generale, devono necessariamente essere attuati anche nel contesto normativo disegnato dall'art. 53 d.lgs. n. 231/2001, non foss'altro per la circostanza che tale provvedimento cautelare può assumere una tale incidenza da produrre effetti irreversibili rispetto alla sopravvivenza stessa dell'ente, come avviene nel caso in cui il vincolo cautelare venga apposto su risorse patrimoniali talmente ingenti – quando non attinga lo stesso complesso aziendale - da determinare la sostanziale impossibilità della prosecuzione dell'attività aziendale, con il rischio di pregiudicare definitivamente la continuità della stessa, il che realizzerebbe indirettamente il medesimo effetto riconosciuto alle ben più gravi misure cautelari interdittive.

Quanto all'oggetto della motivazione ovvero in cosa debbano consistere le esigenze cautelari in grado di giustificare l'adozione del sequestro preventivo, la Cassazione sostiene che queste ultime sono tendenzialmente da valutare con riguardo al rischio di dispersione della garanzia patrimoniale in merito all'eseguibilità della confisca. Il sequestro preventivo finalizzato alla confisca assume una funzione essenzialmente conservativa, in sostanza analoga a quanto può riscontrarsi con riferimento al sequestro conservativo di cui all'art. 316 c.p.p. che, analogamente, e con riferimento alla necessità di garantire l'effettività delle statuizioni relative al "pagamento della pena pecuniaria", presenta le stesse caratteristiche di preservazione della operatività di dette statuizioni, anch'esse condizionate alla definitività della pronuncia cui accedono.

Tuttavia, mentre con riferimento al provvedimento di cui all'art. 316 c.p.p. per ritenere sussistenti le esigenze cautelari è sufficiente che vi sia il fondato motivo per ritenere che manchino le garanzie del credito, ossia che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni, non occorrendo invece che sia simultaneamente configurabile un futuro depauperamento del debitore (Cass. pen., sez. un., 25 settembre 2014, n. 51660) e ciò in quanto lo stesso art. 316 c.p.p. contempla, quali presupposto per l'apposizione del vincolo, l'alternativa sussistenza del requisito della mancanza delle garanzie o del rischio della loro dispersione, tali requisiti non sono richiamati né dall'art. 321, comma 2, c.p.p. né dall'art. 53 d.lgs. n. 231/2001, in relazione ai quali, pertanto, deve ritenersi che la misura cautelare non possa essere applicata a fronte della mera sproporzione tra il profitto confiscabile e il patrimonio dell'ente, occorrendo in ogni caso - a differenza di quanto avviene nel caso del sequestro conservativo - un quid pluris che giustifichi l'effetto ablativo anticipato rispetto alla condanna che disponga la confisca (a conferma, cfr. Cass. pen., sez. III, 6 aprile 2023, n. 31025, secondo cui in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente del profitto del reato, è illegittimo il provvedimento di applicazione della misura che non contenga una, sia pur concisa, motivazione circa la ritenuta sussistenza del periculum in mora, anche nel caso in cui il patrimonio del soggetto passibile di ablazione sia di consistenza inferiore alla somma sino alla cui concorrenza questa dovrebbe operare, non coincidendo il suo presupposto applicativo con quello della mancanza/insufficienza della garanzia patrimoniale, previsto per il sequestro conservativo). In particolare, occorre – come si legge nella più volte citata decisione delle Sezioni Unite - «che il provvedimento si soffermi sulle ragioni per le quali il bene potrebbe, nelle more del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato».

Applicando tali principi al caso di specie, la Cassazione ritiene che l'ordinanza impugnata abbia reso una motivazione solo apparente in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, limitandosi ad affermare che «l'attuale capienza del patrimonio non garantisce nulla sulla concreta possibilità che nelle more del giudizio lo stesso possa essere dissolto». Si tratta di un'affermazione che, peraltro, sovrappone due diversi elementi, da un lato, infatti, sembrerebbe affermarsi che il patrimonio attuale della società risulterebbe incapiente e, al contempo, si afferma che nelle more del giudizio il patrimonio potrebbe essere dissolto, sottintendendo l'esistenza di elementi sintomatici di un eventuale depauperamento della garanzia patrimoniale. Tali affermazioni, tuttavia, slegate da qualsivoglia motivazione in ordine all'entità e alla composizione del patrimonio, non consentono di far ritenere rispettato l'obbligo di motivazione del sequestro.

Infine, la Cassazione formula una sorta di decalogo, di vademecum di profili che occorre esaminare in punto periculum in mora quando si intende procedere a sequestro finalizzato alla confisca. Infatti, il provvedimento dovrà stabilire a) l'entità della confisca e b) valutarla in correlazione al patrimonio della società, valutandone sinteticamente la consistenza e composizione, al fine di c) stabilire se, tenendo conto della tipologia dei beni, della destinazione o meno all'attività produttiva ed alla continuità della stessa, nonché d) all'agevole monetizzazione dei beni, diversi dal denaro, suscettibili di confisca, sussista un effettivo periculum in mora, essenzialmente in relazione alla e) possibilità di sottrazione dei beni in vista della futura confisca in virtù della presenza di indici dai quali desumere il rischio concreto di condotte elusive e di occultamento, dissipazione o deterioramento dei beni, f) senza che possa attribuirsi valore dirimente al mero dato della sproporzione tra l'entità del profitto confiscabile e il patrimonio dell'ente destinatario del sequestro

Osservazioni

La decisione della Cassazione si presenta apprezzabile anche perché valorizza un dato che spesso non è considerato da quanti ritengono che i provvedimenti cautelari di carattere reale debbano essere assistiti – sotto il profilo motivazionale – da oneri e garanzie minori rispetto a quelle pretendibili quando si discute di analoghi provvedimenti aventi ad oggetto la libertà personale. Diversamente da quanto sostenuto da costoro, infatti, che ritengono l'adozione di un sequestro preventivo una decisione avente un impatto limitato sulla sfera personale dell'indagato – e comunque di gravità ed incidenza certo minore rispetto a provvedimenti che limitano la libertà personale –, quando ad essere coinvolto nella vicenda è una società commerciale allora l'incidenza del sequestro finalizzato alla confisca è particolarmente significativo, potendosi con tale atto ad incidere significativamente sull'operatività dell'azienda.

Una tale considerazione assume maggior rilievo quando si consideri come il d.lgs. n. 231/2001 (non solo si diriga verso la punizione dell'ente collettivo, ma) sia anche significativamente improntato alla salvaguardia della continuità imprenditoriale, posto che il sistema sanzionatorio ivi presente contempla plurimi strumenti premiali che consentono, nel corso del procedimento, di adottare quelle forme di recupero della legalità a fronte del quale è previsto un trattamento punitivo di assoluto favore. Evidentemente, rispetto a questa impostazione non appare compatibile un'interpretazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca che sia, potenzialmente, in grado di esautorare l'ente dall'utilizzo di gran parte del proprio patrimonio e della azienda, anticipando gli effetti della condanna e, di fatto, impedendo anche l'efficace adozione delle misure riparatorie, se non a fronte della rigorosa verifica dei presupposti, anche in ordine al periculum in mora.

A queste osservazioni, va aggiunta un'ulteriore considerazione sempre relativamente alla motivazione del provvedimento con riferimento ai presupposti applicativi dello stesso posto che sarebbe opportuno richiedere un più intenso onere argomentativo anche con riferimento al c.d. fumus commissi reati, superando l'impostazione secondo cui per l'adozione della misura in discorso è necessaria solo l'astratta configurabilità dell'illecito e non la sussistenza di gravi indizi in ordine alla responsabilità dell'ente (Cass. pen., sez. II, 2 marzo 2006, n. 9829). Tale affermazione, come è noto già presente in giurisprudenza con riferimento al sequestro preventivo disciplinato dal codice di procedura penale, veniva giustificata richiamando la natura e la finalità dell'istituto della confisca nel sistema della responsabilità da reato delle società, nel cui ambito il provvedimento ablatorio disciplinato dagli artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001 non riveste necessariamente un carattere punitivo ma assume anche la fisionomia di uno strumento di compensazione dell'equilibrio economico violato, con conseguente applicazione della confisca anche in assenza di una acclarata responsabilità dell'ente collettivo per il fatto delittuoso – come dimostrato dalla circostanza che la sanzione in discorso può essere adottata anche nel caso in cui il reato sia stato commesso da un soggetto collocato in posizione apicale ma l'ente non debba rispondere dell'illecito posto in essere nel suo interesse o a suo vantaggio.

La dottrina ha da sempre contrastato tali conclusioni, sostenendosi che la definizione dei presupposti del sequestro preventivo a fine di confisca andrebbe effettuata considerando la stretta strumentalità che lega tale strumento alla sanzione della confisca, poiché «intanto il sequestro preventivo è preordinato alla confisca in quanto mira - e in via esclusiva - a garantirne la fruttuosità, [per cui] con la cautela in esame non si intende sottrarre all'ente la disponibilità di una res pericolosa ex lege, volendosi, invece, tutelare dal rischio di dispersione di prezzo e profitto dell'illecito che renderebbe vana la punizione dell'ente, una volta accertatane la responsabilità». Sulla scorta di questa ritenuta connessione fra sequestro preventivo e confisca finale del medesimo bene si conclude nel senso che per l'applicazione del provvedimento cautelare dovrebbero essere integrate le medesime condizioni stabilite per l'applicazione della sanzione della confisca ed il giudice dovrebbe comunque accertare l'imputabilità dell'illecito alla societas nonché la sussistenza di ciò che ne costituisce prezzo ed il profitto ed a sostegno di tale conclusione si evidenzia come proprio la circostanza che nel processo avverso gli enti collettivi la confisca assume una funzione di neutralizzazione dei vantaggi economici derivanti dalla attività criminosa renderebbe «scontato il previo accertamento di responsabilità della persona giuridica, [mentre] laddove si accerti l'insussistenza del reato verrebbero a mancare prezzo e prodotto, confiscabili in quanto illecitamente conseguiti» (Presutti, Certezze e dissidi interpretativi in tema di sequestro preventivo applicabile all'ente sotto processo, in Resp. Amm. Soc. enti, 2009, 3, 181, da cui sono tratte le citazioni presenti nel testo. Nello stesso senso, Paolozzi, Vademecum per gli enti sotto processo. Addebiti “amministrativi” da reato, Torino 2005, 144; Gaito, La procedura per accertare la responsabilità degli enti, in AA.VV., Manuale di procedura penale, Bologna 2008, 672; Garuti, Responsabilità delle persone giuridiche: II) Profili processuali, in Enc. Giur., XVII, Roma 2004, 6).

Anche in giurisprudenza sono presenti decisioni di analogo tenore, avendo i giudici di legittimità, in un'unica occasione (Cass. pen., sez. VI, 10 settembre 2012, n. 34505), sostenuto che la natura giuridica della confisca determina i requisiti di applicabilità del sequestro preventivo nel senso che quando questa misura cautelare è destinata ad anticipare l'applicazione di una sanzione definitiva, essendo la comminatoria di tale pena subordinata all'accertamento della responsabilità dell'accusato, allora il provvedimento preventivo non può essere assunto in assenza di un controllo del giudice sulla concreta fondatezza dell'accusa ovvero sulla rilevante probabilità che gli elementi probatori allo stato in possesso dell'ufficio inquirente conducano successivamente alla condanna definitiva dell'inquisito, per cui il fondamento giustificativo per il sequestro preventivo di cui all'art. 53 d.lgs. 231/2001 è “un fumus delicti ‘allargato', che finisce per coincidere sostanzialmente con il presupposto dei gravi indizi di responsabilità dell'ente, al pari di quanto accade per l'emanazione delle misure cautelari interdittive. Quanto alla circostanza che l'art. 53 d.lgs. n. 231 non fa alcun riferimento ad una attribuzione di responsabilità dell'accaduto alla società, diversamente da quanto prevede il precedente art. 45 del medesimo testo normativo, il quale nel disciplinare i presupposti per l'emanazione delle misure cautelari interdittive richiama i "gravi indizi" in ordine alla colpevolezza dell'ente, secondo i giudici di legittimità si tratta di «una diversità che non può essere considerata sintomo di una radicale differenziazione nei presupposti di misure cautelari che presentano caratteri omogenei in riferimento ai beni cui si riferiscono … sicché i presupposti sostanziali dei sequestro devono essere ricercati all'interno della disciplina contenuta nel decreto legislativo del 2001, quindi tenendo conto della specificità della confisca cui la misura cautelare in questione si riferisce».

Successivamente, tuttavia, la giurisprudenza è tornata sui suoi passi, sostenendo nuovamente che per procedere a sequestro preventivo ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 non occorre la prova della sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità, essendo sufficiente accertare la confiscabilità del bene una volta che sia possibile sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato (Cass. pen., sez. II, 20 luglio 2018, n. 34293; Cass. pen., sez. II, 16 settembre 2014, n. 41435; Cass. pen., sez. IV, 18 novembre 2014, n. 51806; Cass. pen., sez. II, 16 febbraio 2006, n. 9829).

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