Le Sezioni Unite risolvono il contrasto sulla producibilità di elementi probatori nuovi nell’appello cautelare

03 Maggio 2024

Con la sentenza in commento le Sezioni Unite hanno risolto in senso affermativo il contrasto interpretativo concernente l'acquisibilità, nell'appello cautelare avverso le ordinanze di rigetto delle istanze di revoca o di sostituzione delle misure cautelari personali, di elementi probatori nuovi, sopravvenuti o anche preesistenti, ma in ogni caso inediti rispetto a quelli valutati dal giudice di prima istanza.

Massima

Nell'appello cautelare proposto ex art. 310 c.p.p. avverso le ordinanze di rigetto delle istanze di revoca o di sostituzione delle misure cautelari personali le parti possono produrre elementi probatori nuovi, sopravvenuti o anche preesistenti, nel rispetto del contraddittorio e nei limiti del devolutum.

Il caso

L'imputato propone ricorso per cassazione avverso l'ordinanza con la quale la quale il tribunale della libertà ha rigettato l'appello cautelare avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di revoca o di sostituzione ex art. 299 c.p.p. della custodia cautelare in carcere, escludendo di poter valutare elementi probatori nuovi e sopravvenuti prodotti dalla difesa all'udienza di discussione.

La questione

Il dubbio interpretativo affrontato dalle Sezioni Unite origina dalla laconicità della disciplina dell'appello cautelare contenuta nell'art. 310 c.p.p., il quale nel comma 2 dispone che al tribunale della libertà vengano trasmessi l'ordinanza appellata e gli “atti su cui la stessa si fonda”, ma non ricalca né richiama la differente disciplina prevista per il riesame nell'art. 309, comma 9, c.p.p., a mente del quale il tribunale della libertà decide, in relazione a tale differente mezzo di gravame, “anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza” di discussione.

Da tale differente assetto normativo origina quindi il dubbio se, al pari del riesame, anche nell'appello cautelare ex art. 310 c.p.p. le parti possano dedurre dinanzi al tribunale della libertà elementi probatori nuovi rispetto a quelli valutati dal giudice di prima istanza.

La questione è stata affrontata da una precedente pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. pen., Sez. Un., 31 marzo 2004, n. 18339, Donelli) che ha parzialmente risolto in senso affermativo il dubbio ermeneutico con esclusivo riguardo all'ipotesi di appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare personale, riconoscendo la facoltà delle parti di produrre in sede di appello cautelare elementi probatori nuovi.

Avendo delimitato la soluzione interpretativa alla sola ipotesi dell'appello del pubblico ministero contro la reiezione della richiesta di applicazione della misura cautelare, il contrasto interpretativo sotteso si è subito riproposto – sia sul piano delle contrapposte soluzioni sia sul piano delle rispettive argomentazioni a supporto – per la residua ipotesi di appello dell'imputato avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di revoca o di sostituzione di una misura cautelare ex art. 299 c.p.p.

Le soluzioni giuridiche

Il contrasto

Sulla questione si sono profilati nella giurisprudenza di legittimità due contrapposti indirizzi.

Secondo un primo orientamento è da escludersi che nel giudizio d'appello cautelare possano fare ingresso elementi probatori nuovi in ossequio al principio devolutivo, che informa la disciplina dell'appello e che implica che la cognizione del giudice d'appello possa avere ad oggetto esclusivamente i punti della decisione devoluti con i motivi d'impugnazione e, conseguentemente, debba fondarsi sui medesimi elementi probatori valutati dal giudice di prima istanza.

Inoltre, secondo tale orientamento, è di ostacolo alla possibilità di acquisire nuovi elementi in appello il mancato richiamo, nella disposizione dell'art. 310, comma 2, c.p.p., al comma 9 dell'art. 309 c.p.p., che prevede espressamente che, in sede di riesame, il tribunale della libertà possa porre a fondamento della decisione anche elementi addotti dalle parti nel corso dell'udienza.

A tale indirizzo se ne contrappone un secondo, favorevole invece alla possibilità di acquisire in sede di appello cautelare elementi probatori inediti rispetto al materiale valutato dal giudice di prima istanza.

A mente di tale contrapposto orientamento, il principio devolutivo limita il thema decidendum del giudizio d'appello, ma non comporta implicazioni preclusive sulla deducibilità di elementi di prova inediti.

Inoltre, alcune pronunce adesive a tale indirizzo hanno evidenziato l'esito di inefficienza processuale a cui conduce l'opposta soluzione interpretativa, atteso che costringe la parte interessata ad avviare ex novo la sequenza procedimentale prevista dall'art. 299 c.p.p.

Nel solco di tale indirizzo alcune pronunce hanno altresì riconosciuto in via analogica al giudice dell'appello cautelare i medesimi poteri di integrazione della piattaforma probatoria previsti, per il giudice dell'appello in sede cognitiva, dall'art. 603, commi 2 e 3, c.p.p.

La soluzione

Con la pronuncia in commento le Sezioni Unite hanno aderito alla soluzione interpretativa favorevole alla possibilità di deduzione, dinanzi al tribunale della libertà, di elementi informativi nuovi rispetto a quelli valutati dal giudice di prima istanza.

La Corte muove dal riconoscimento della continuità strutturale dell'appello cautelare con l'appello della fase di cognizione e del conseguente implicito rinvio alla relativa disciplina per quanto non diversamente regolamentato nell'art. 310 c.p.p. Da tanto consegue anche l'estensione all'appello cautelare dell'effetto parzialmente devolutivo dell'impugnazione, regolato nell'art. 597, comma 1, c.p.p., secondo il quale la cognizione del giudice d'appello – tanto in sede di cognizione quanto in quella cautelare – è limitata ai punti della decisione impugnata attinti dai motivi di impugnazione, nonché a quelli con essi strettamente connessi e da essi dipendenti.

Peraltro, le Sezioni Unite hanno condiviso l'approdo interpretativo, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui con riguardo all'appello cautelare il principio devolutivo comporta il limite della c.d. “doppia devoluzione”, nel senso che in ambito cautelare la cognizione del giudice d'appello è confinata non solo dai motivi dedotti con l'impugnazione, ma a monte anche dalla richiesta originaria avanzata al giudice che ha adottato il provvedimento impugnato.

Ciò posto, le Sezioni Unite hanno evidenziato che i due contrapposti orientamenti concordano nel valorizzare il principio devolutivo quale perno della definizione del potere cognitivo del giudice dell'appello cautelare, ma divergono radicalmente sulle implicazioni discendenti da tale principio.

Nell'alternativa, la Corte ha escluso che dal principio devolutivo debba essere tratta, quale implicazione indefettibile, la preclusione all'ingresso di elementi probatori nuovi nella base cognitiva del giudice dell'appello cautelare.

Le Sezioni Unite hanno infatti messo chiaramente in luce che altro è circoscrivere l'area del devoluto alla cognizione del giudice d'appello – confinata, secondo il richiamato principio di doppia devoluzione, ai punti della decisione attinti dai motivi di gravame – e altro è individuare il materiale probatorio fruibile dal giudice per la valutazione dei punti devoluti al suo giudizio: la sovrapposizione dei due piani, avvertono i giudici di legittimità, si risolve in una mera petizione di principio, non esistendo in realtà alcuna necessaria simmetria tra gli stessi.

Al contrario, secondo le Sezioni Unite, la disciplina della rinnovazione istruttoria nel giudizio d'appello di cui all'art. 603 c.p.p. – che invero non rappresenta un parametro normativo applicabile in via analogica nell'appello cautelare trattandosi di norma configurata sulla differente struttura del giudizio di cognizione – vale a confermare che la modifica della base conoscitiva del giudice dell'impugnazione non è affatto incompatibile con la struttura e con le funzione tipiche dell'appello né con il carattere parzialmente devolutivo che le definisce, coniugandosi i due aspetti nella conseguenza che, sia pur con i limiti derivanti dalle differenti strutture del giudizio, sono acquisibili nel giudizio d'appello  –  tanto di cognizione quanto cautelare – solo quegli elementi di prova nuovi che riguardano i punti della decisione impugnata attinti dai motivi di censura.

Afferma la Corte che non è di ostacolo alla soluzione positiva adottata il mancato rinvio, nell'art. 310, comma 2, c.p.p., al comma 9 dell'art. 309 c.p.p. La selezione operata dal legislatore, infatti, è limitata a meccanismi procedurali neutri, tali da poter essere replicati nella disciplina dell'appello cautelare senza metterne in crisi l'autonomia e la radicale differenza strutturale rispetto al riesame, di talché all'omissione non può essere attribuita particolare valenza euristica.

Ciò posto, le Sezioni Unite hanno definito anche i limiti e le condizioni della producibilità degli elementi probatori nuovi nel giudizio d'appello.

Oltre al già richiamato limite del principio di doppia devoluzione, la sentenza in commento ha chiarito che la facoltà di produrre elementi nuovi deve essere riconosciuta, in ottica di parità delle parti, tanto alla difesa dell'imputato quanto al pubblico ministero, mentre è da escludersi la possibilità di attribuire poteri istruttori officiosi al tribunale della libertà.

Quanto alla natura del materiale probatorio acquisibile, la sentenza ha chiarito anzitutto che sono acquisibili unicamente elementi probatori di carattere precostituito, mentre con riguardo alle forme della presentazione e acquisizione dei nuovi elementi le Sezioni Unite hanno statuito che la riconosciuta possibilità delle parti di integrare la base cognitiva del giudice presuppone indefettibilmente la garanzia del contraddittorio tra le stesse. Si deve, di conseguenza, attribuire al giudice il compito di modulare in concreto tempi e modalità di acquisizione dei nuovi elementi probatori in modo da consentire alla parte che non li ha dedotti di esaminarli e confutarli, tenuto altresì conto della natura non perentoria dei termini previsti per lo svolgimento dell'appello cautelare.

Al riguardo la sentenza in commento sembra individuare come regolamentazione la disciplina di cui all'art. 127, comma 2, c.p.p. – peraltro espressamente richiamata nell'art. 310, comma 2, c.p.p. – a mente della quale le parti possono presentare memorie fino a cinque giorni prima dell'udienza, dovendosi intendere – secondo il massimo collegio – per “memorie” lo strumento attraverso il quale le parti veicolano nel procedimento camerale non solo le proprie argomentazioni, ma anche eventuali documenti rappresentativi di inedite prove precostituite.

Osservazioni

La soluzione adottata dalle Sezioni Unite è pienamente condivisibile.

La pronuncia completa in perfetta coerenza l'approdo della richiamata sentenza delle Sezioni Unite Donelli, rendendo uniformi le coordinate interpretative sull'appello cautelare sia che si versi in ipotesi di appello del pubblico ministero avverso l'ordinanza di rigetto della richiesta di applicazione di una misura cautelare, sia che si tratti di appello dell'indagato o dell'imputato avverso l'ordinanza reiettiva di un'istanza di revoca o di sostituzione di una misura cautelare ex art. 299 c.p.p.

L'argomentazione delle sentenza si apprezza particolarmente per l'attenta distinzione tra il piano della identificazione del thema decidendum oggetto dell'appello cautelare, che in ossequio al principio devolutivo coincide con i punti della decisione attinti dai motivi di impugnazione, e il differente piano della delimitazione del materiale probatorio utilizzabile dal giudice dell'impugnazione, il quale risente del principio devolutivo solo nella misura in cui non sono acquisibili elementi probatori esulanti dal devolutum, non esistendo però entro tali limiti alcuna preclusione alle possibilità di integrazione della base cognitiva del giudice dell'impugnazione.

L'interpretazione sistematica a cui accedono le Sezioni Unite ha così l'evidente pregio – espressamente dichiarato nella motivazione – di voler assicurare la coerenza della disciplina dell'appello cautelare al principio generale informatore della materia cautelare – codificato nell'art. 299 c.p.p. – di costante adeguamento dello status libertatis dell'imputato alle risultanze del procedimento in conformità ai principi costituzionali e convenzionali che reggono la materia.

Alla luce della positiva soluzione della questione interpretativa in termini uniformi per tutte le ipotesi di appello cautelare, occorrerebbe interrogarsi, in una prospettiva de iure condendo, se non sia opportuno l'intervento del legislatore volto a dettare la disciplina positiva sui tempi e sulle modalità di acquisizione dei nuovi elementi probatori, posto che allo stato, secondo le indicazioni delle Sezioni Unite, tali aspetti risultano affidati alla valutazione caso per caso del giudice, salva l'osservanza della regola di cui all'art. 127, comma 2 c.p.p.

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