Il Codice della crisi e la (mancata) opposizione dell’Agenzia delle entrate all’omologa

03 Maggio 2024

L’autore esamina il tema della posizione assunta dall’Agenzia delle Entrate in una procedura di regolazione della crisi d’impresa in sede di espressione di voto per una proposta di transazione fiscale.

Premessa

In uno studio precedente (I. Pellecchia, “Il (mancato) recepimento da parte dell'AdE dei nuovi criteri del CCII per la valutazione del trattamento dei crediti tributari”, IUS Crisi d'Impresa, 22 maggio 2023) l'Autore concludeva che da una prima esperienza si poteva rilevare come l'Amministrazione finanziaria continuasse a fondare il proprio convincimento in modo preponderante sulla meritevolezza del debitore, piuttosto che sulla effettiva convenienza economica della proposta di trattamento, contrariamente a quanto prescritto dalla normativa, auspicando un puntuale aggiornamento della prassi amministrativa contenuta nella Circolare n. 34/E del 2020, in modo da tenere in debito conto la disciplina dettata dal CCII.

Il tema oggi di attualità, alla luce di una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione, permette di proseguire l'esame della posizione dell'Amministrazione finanziaria nell'ambito delle procedure concorsuali, questa volta in relazione alla ritualità del giudizio di omologazione.

La vicenda

La vicenda muove dal reclamo presso la Corte d'Appello di Bari proposto dall'Agenzia delle Entrate a seguito dell'omologazione forzosa del concordato preventivo in continuità richiesta dalla società ricorrente.

Nel caso di specie il Tribunale aveva applicato il cd. cram down fiscale, superando il dissenso espresso dall'Amministrazione finanziaria in sede di operazioni di voto. Non vi era stata opposizione all'omologazione.

I giudici di secondo grado, con decreto del 24 febbraio 2023, avevano accolto le doglianze dell'Agenzia reclamante, proposte in ragione – tra l'altro – dell'“erroneità del giudizio di convenienza della proposta per l'Amministrazione finanziaria” e dell' “erronea valutazione in ordine alla deliberata e sistematica violazione degli obblighi tributari da parte della Società” (riprendendo la cd. meritevolezza del debitore).

Sul piano processuale della legittimazione a proporre reclamo, nonostante non avesse proposto opposizione, l'Ufficio si era difeso sostenendo che, “a seguito del mancato raggiungimento delle maggioranze previste dall'art. 177 l.fall., il primo atto contro il quale poteva insorgere è il provvedimento con cui il Tribunale di Bari, decidendo sulla domanda di omologazione ha accolto la proposta di concordato avanzata dalla Società, precisando che l'art. 180 comma 3 l.fall. prevede la non sottoponibilità a gravame del decreto nella sola ipotesi in cui non siano state proposte opposizioni contro l'omologazione approvata dalla maggioranza dei creditori ai sensi dell'art. 177 comma 1 l.fall. e non già nell'ipotesi in cui, dopo la mancata formazione delle maggioranze prescritte dalla predetta norma, si sia proceduto all'omologazione “forzosa” ai sensi dell'art. 180 comma 4 l.fall”.

La Corte osservava che “la legge fallimentare, all'infuori delle ipotesi in cui la proposta non sia stata approvata (art. 179) ed in cui, viceversa, sia stata approvata (art.180 comma 1) nulla dispone in ordine all'iter che il procedimento deve seguire nel caso di una proposta concordataria non approvata, ma che possa, comunque, essere omologata a seguito dell'accoglimento dell'istanza volta ad ottenere l'applicazione del cd. cram down”; offrendo, altresì, un'esegesi coordinata dei commi da 1 a 4 dell'art. 180 l.fall., in base alla quale “l'approvazione del concordato da parte della maggioranza dei creditori ex art. 177 comma 1 l.fall. e la mancata proposizione di opposizioni costituiscono, nella loro inscindibilità, il presupposto processuale indefettibile per la non assoggettabilità a gravame del decreto di omologazione ai sensi dell'art. 180 comma 3 l.fall”.

Per questi motivi, la Corte d'appello, in accoglimento del reclamo ex art. 183 legge fall. proposto dall'Agenzia delle Entrate, revocava il decreto di omologazione emesso dal Tribunale di Bari.

La Società ricorreva in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Con ordinanza n. 1033/2024, pubblicata il 10 gennaio 2024, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione stabilisce un fondamentale principio di procedura in tema di omologazione del concordato preventivo con applicazione del cram down fiscale.

In tal senso, la Suprema Corte, se da una parte nega l'instaurazione di una disciplina speciale, dall'altra precisa le regole da seguire in caso di reclamo in Corte d'appello avverso il decreto di omologa; infatti, nel caso in cui siano state presentate opposizioni, il regime procedurale sarà quello ordinario, mentre in assenza di opposizioni, troverà applicazione il regime semplificato, il quale preclude il reclamo.

La norma posta all'attenzione della Suprema Corte è l'art. 180 l. fall., che prevede una sorta di “doppio binario” del giudizio di omologazione: una procedura semplificata, qualora non vengano proposte opposizioni, e una procedura ordinaria, in caso contrario.

Infatti, il comma 3 del richiamato articolo stabilisce che “Se non sono proposte opposizioni, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l'esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame”.

Appare chiaro, quindi, in questa ipotesi, l'impossibilità di presentare reclamo in appello avverso il provvedimento di omologazione.

Al successivo comma 4, è stabilito, invece, che quando “sono proposte opposizioni, il Tribunale assume i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti di ufficio, anche delegando uno dei componenti del collegio” e, quindi, “provvede con decreto motivato comunicato al debitore e al commissario giudiziale, che provvede a darne notizia ai creditori. Il decreto è pubblicato a norma dell'art. 17 ed è provvisoriamente esecutivo” (comma 5).

Soltanto in quest'ultimo caso è possibile applicare quanto stabilito dall'art. 183 comma 1, e cioè “Contro il decreto del Tribunale può essere proposto reclamo alla Corte di Appello, la quale pronuncia in camera di consiglio”.

Quanto all'operatività del cd. cram down fiscale, la Suprema Corte supera ogni dubbio interpretativo circa il regime processuale da osservare, affermando che tale istituto, disciplinato dall'art. 180, comma 4, l. fall., non dà luogo ad un tertium genus di giudizio di omologazione del concordato preventivo, ma segue il regime procedurale ordinario, il quale contempla il reclamo ai sensi dell'art. 183 l. fall. (art. 180 comma 4, l. fall.), ovvero quello semplificato, che ne esclude la proponibilità (art. 180 comma 3, l. fall.) a seconda che siano proposte o meno opposizioni.

Infatti, a differenza del cram down ordinario che trae origine dalla specifica contestazione circa la convenienza della proposta da parte di un creditore dissenziente appartenente ad una classe dissenziente (ovvero, nell'ipotesi di mancata formazione delle classi, di creditori che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto), il cram down fiscale interviene nella fase precedente all'approvazione della proposta, poiché realizza, per una sorta di fictio, il raggiungimento delle maggioranze prescritte dall'art. 177 comma 1, l. fall. anche nel caso in cui esse non fossero raggiunte per la mancata adesione determinante del creditore pubblico, purché il Tribunale ritenga che sia rispettato il presupposto di convenienza rispetto all'alternativa liquidatoria, anche senza una specifica contestazione, essendo già sufficiente la mancata adesione.

In altri termini, mediante questo meccanismo è come se fosse realizzato il presupposto dell'approvazione del concordato “a norma del primo comma dell'art. 177”, come previsto ex art. 180 comma 1, l. fall.

Nel caso in questione - osserva la Corte - sussistono entrambi i presupposti necessari per l'applicazione del regime semplificato di cui all'art. 180 comma 3, l. fall., ossia (i) il raggiungimento delle maggioranze previste (seppur “forzoso”) e (ii) l'assenza di opposizioni; così consentendo un'applicazione non già in via analogica, bensì diretta del regime semplificato.

Il Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza

Benché il caso in parola sia inserito nella cornice della legge fallimentare, analoghe considerazioni possono essere formulate anche in relazione alla riformata normativa contenuta nel Codice della Crisi d'Impresa e dell'Insolvenza.

Infatti, sia pure con una dislocazione differente, la lettura sistematica degli artt. 48,51,53 e 112 c.c.i.i. consente di ritrovare le stesse regole procedurali della precedente normativa, superando così l'assenza di specifiche disposizioni codicistiche che disciplinino in modo differenziato il reclamo avverso la sentenza di omologazione, laddove vengano raggiunte le maggioranze necessarie ai fini dell'approvazione della proposta di concordato preventivo, per il tramite del cram down fiscale.

Non vi è, dunque, la previsione di un rito differenziato in caso di omologazione forzosa ex art. 88, comma 2-bis, c.c.i.i. (ai sensi del quale il Tribunale omologa il concordato preventivo anche in mancanza di adesione alla proposta del debitore da parte dell'Amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie (i) se l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze per l'approvazione della proposta e (ii) se, anche sulla base delle risultanze della relazione di attestazione, la proposta di soddisfacimento risulta conveniente o non peggiorativa rispetto all'alternativa della liquidazione giudiziale), atteso che l'istituto del cram down trova collocazione in sede di computo delle maggioranze, in un momento precedente al giudizio di omologazione, poiché la sua operatività trae impulso dall'istanza presentata dal debitore in vista dell'udienza in cui il Tribunale si pronuncerà in merito all'omologazione.

La novità portata dal nuovo Codice è rappresentata dal cd. procedimento unitario che non contempla più una procedura semplificata in assenza di opposizioni ma riunisce in un'unica ritualità gli step dell'iter di omologazione.

In tal senso, l'art. 48 comma 2, c.c.i.i. stabilisce che “Le opposizioni dei creditori dissenzienti e di qualsiasi interessato devono essere proposte con memoria depositata nel termine perentorio di almeno dieci giorni prima dell'udienza” (la locuzione “qualsiasi interessato” va intesa in senso ampio, dovendosi ricomprendere chiunque sia portatore di un interesse giuridico - e non di mero fatto - che possa ricevere un pregiudizio per effetto dell'omologazione: Cass. civ., sez. I, 30 gennaio 2017, n. 2227; Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13284; Cass. civ., sez. I, 26 luglio 2012, n. 13285; sotto questo profilo sono stati ritenuti legittimati all'opposizione: i creditori astenuti, i creditori non convocati, i creditori che non raggiungono la soglia minima ex art. 112 comma 5, i creditori privilegiati, i fideiussori, l'assuntore).

Il successivo comma 3 dispone che “Il Tribunale, assunti i mezzi istruttori richiesti dalle parti o disposti d'ufficio nel rispetto di quanto previsto dall'art. 112 comma 4, per il concordato in continuità aziendale, anche delegando uno dei componenti del collegio, omologa con sentenza il concordato”.

Come l'art. 48, anche l'art. 51 del c.c.i.i. si presenta come una norma dal forte tenore procedimentale.

Tale disposizione stabilisce che contro il giudizio del Tribunale che si pronuncia sull'omologazione del concordato preventivo, le parti possono impugnare la sentenza proponendo reclamo, presentato tramite ricorso, esponendo i fatti e gli elementi di diritto su cui si basa l'impugnazione, con le relative conclusioni, nonché l'indicazione dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti.

L'utilizzo della locuzione “parti” per identificare i soggetti che possono impugnare la sentenza deve intendersi riferito a quei soggetti che hanno partecipato legittimamente al procedimento di omologazione.

In tal senso, dal punto di vista della legittimazione a proporre reclamo, l'art. 51 comma 1, provvede ad attribuire tale legittimazione alle parti intervenute in relazione ai provvedimenti che avevano condotto alla pronuncia della sentenza di omologazione del concordato preventivo: ciò significa che potranno proporre reclamo, oltre al debitore e al commissario giudiziale i soli creditori dissenzienti che abbiano proposto opposizione nei termini stabiliti ai sensi del citato art. 48 comma 2.

Tale disposizione si pone in linea con le esigenze procedimentali poste già in sede di omologazione del concordato, laddove l'instaurazione del contraddittorio si pone come imprescindibile aspetto del procedimento che conduce al giudizio di omologazione, in cui riconoscere le ragioni di convenienza rispetto alla liquidazione avanzate dal debitore ovvero quelle alla base del dissenso espresso dai creditori contrari.

Sulla base delle considerazioni esposte, si deve ritenere, pertanto, confermata la ritualità individuata dalla previgente normativa fallimentare che coinvolge anche l'Amministrazione finanziaria, la quale potrà, quindi, impugnare la sentenza che omologa – anche forzosamente – il concordato contenente la transazione fiscale nel solo caso in cui si sia opposta alla omologazione della stessa nei termini sanciti dall'art. 48 comma 2, c.c.i.i., alla stregua di ogni altro creditore.

Com'è noto, il funzionamento del cram down fiscale, ad opera del Tribunale, può essere declinato come sostituzione (ovvero conversione) del voto contrario dell'Amministrazione finanziaria in un voto favorevole che concorra al raggiungimento delle maggioranze richieste per l'approvazione del concordato, oppure come sterilizzazione (ovvero esclusione) del dissenso espresso da parte dell'Amministrazione, non tenendone conto ai fini del calcolo delle maggioranze (cfr., in senso contrario, L. De Bernardin, Ristrutturazione trasversale e transazione fiscale: non ce lo chiede il legislatore…e neanche l'Europa, in Diritto della Crisi, 29 gennaio 2024).

Alcune considerazioni sul tema

La pronuncia in commento si pone in aderenza al primo orientamento, avendo la Suprema Corte espressamente stabilito che con l'omologazione forzosa, in ragione della convenienza della proposta e del carattere determinante dell'adesione dei creditori pubblici, si “realizza, per una sorta di fictio, il raggiungimento delle maggioranze prescritte dall'art. 177 comma 1, l. fall. anche nel caso in cui esse non fossero state raggiute per la mancata adesione determinante dell'Amministrazione finanziaria […]. Pertanto, attraverso questo meccanismo è come se si fosse realizzato il presupposto dell'approvazione del concordato”.

Tuttavia, la sostituzione (ovvero conversione) del voto contrario oppure non espresso nel concordato preventivo dall'Amministrazione finanziaria in un voto favorevole, assume rilevanza unicamente ai fini del calcolo dei voti, conservando il creditore pubblico il diritto di tutelare le proprie ragioni dinanzi alla medesima sede giurisdizionale, in cui può sottoporre al vaglio del Tribunale le eccezioni e le censure già manifestate in occasione del suo voto contrario (ovvero a illustrarle ex novo in caso di mancata espressione del voto) (sul punto G. Andreani e A. Tubelli, Cram down fiscale: reclamo precluso al Fisco che non si sia opposto alla omologazione, IUS Crisi d'Impresa, 14 febbraio 2024)

Una volta compiute le operazioni di voto ed eventualmente proposte opposizioni, il Tribunale è chiamato ad esprimere il proprio giudizio di omologazione del concordato.

Nell'ambito del concordato preventivo, la norma di riferimento è l'art. 112 del c.c.i.i. che disciplina i casi in cui il giudizio di omologazione del Tribunale può superare il dissenso espresso dai creditori, tanto nel concordato in continuità che in quello liquidatorio.

La norma introduce il cd. cram down ordinario (altresì chiamato cross-class cram-down o ristrutturazione trasversale) che, ai sensi del comma 2, permette l'omologazione forzosa del concordato in continuità laddove una o più classi siano dissenzienti, nel caso in cui ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

  1. il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione (Absolute Priority Rule);
  2. il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore (Relative Priority Rule), fermo restando quanto previsto dall'art. 84 comma 7;
  3. nessun creditore riceva più dell'importo del proprio credito;
  4. la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.

Al successivo comma 3 viene regolato il caso in cui vi sia l'opposizione di un creditore dissenziente che eccepisce il difetto di convenienza della proposta. In tal caso, laddove il credito risulti soddisfatto in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale, il Tribunale (anche mediante la disposizione della stima del complesso aziendale del debitore ai sensi del comma 4) omologa il concordato superando l'eccezione sollevata dal creditore.

A differenza del concordato liquidatorio, nella procedura in continuità, l'opposizione all'omologazione che contesti la convenienza della proposta rispetto all'alternativa liquidatoria può essere esperita da qualsiasi creditore dissenziente, a prescindere dalla sussistenza di classi dissenzienti o di una percentuale minima di crediti ammessi al voto, atteso che l'approvazione del concordato in tutte le classi non esclude il diritto di opporsi riconosciuto al singolo creditore contrario.

Nel caso di concordato che prevede, invece, la liquidazione del patrimonio (oppure l'attribuzione delle attività a un assuntore in qualsiasi forma), in caso di contestazione sulla convenienza della proposta da parte di un creditore dissenziente appartenente a una classe dissenziente ovvero, nell'ipotesi di mancata formazione delle classi, di creditori dissenzienti che rappresentano il venti per cento dei crediti ammessi al voto, il Tribunale omologa forzosamente il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale.

Qualora vengano proposte opposizioni fondate sulla convenienza, il Tribunale è chiamato ad esprimere una valutazione economica, essendogli riconosciuto il potere di omologare (forzosamente, mediante cram down) il concordato, laddove ritenga che i crediti dei creditori dissenzienti possano essere soddisfatti dalla proposta del debitore in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale, atteso anche il tenore qualitativo della valutazione economica di una proposta di concordato in continuità che tenga in conto tutti i benefici anche latenti riservati ai creditori derivanti dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, rispetto, invece, ad una valutazione essenzialmente quantitativa condotta per confrontare il valore realizzato mediante concordato preventivo liquidatorio con il valore realizzabile attraverso la liquidazione giudiziale.

A differenza del concordato in continuità, la contestazione della convenienza della proposta di concordato liquidatorio, alla base dell'opposizione, non può essere presentata da qualsiasi creditore dissenziente, bensì occorre che sia avanzata da una percentuale significativa dei crediti ammessi al voto oppure da parte di un singolo creditore che sia espressione del dissenso di una intera classe contraria.

Per ciò che riguarda la posizione che assumerebbe l'Amministrazione finanziaria in tali ipotesi, l'esperienza professionale ci permette di comprendere come, la maggior parte delle volte, l'Agenzia delle Entrate possa raggiungere facilmente anche da sola la soglia del venti per cento dei crediti ammessi al voto, come pure essere espressione del dissenso di una intera classe, quella dei crediti erariali; condizioni che attiverebbero, da un lato, la possibilità di contestare la proposta e, dall'altro, di rendere applicabile il cram down.

Tuttavia, l'art. 88 comma 2-bis, c.c.i.i., definisce i presupposti per trascinare il creditore pubblico dissenziente tra gli altri creditori favorevoli alla proposta di concordato, senza fare distinzione tra concordato in continuità e concordato liquidatorio, quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all'art. 109 comma 1, e la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente o non deteriore rispetto all'alternativa liquidatoria, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente.

In conclusione, se da un lato il legislatore codicistico ha inteso introdurre un regime speciale che consenta il superamento del dissenso dell'Agenzia delle Entrate, attraverso l'applicazione del cram down fiscale, ai sensi dell'art. 88 comma 2-bis; dall'altro deve ritenersi operativo anche nei confronti dell'Amministrazione finanziaria il sistema generale di regole procedimentali che prescrivono la preventiva formale opposizione per poter reclamare la sentenza di omologazione.

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