Le modifiche apportate dalla riforma Cartabia al rito ordinario di cognizione hanno determinato il sorgere di numerosi problemi applicativi. Tra questi, alcuni di essi sono la conseguenza del farraginoso e oscuro snodo processuale rappresentato dagli artt. 171-bis e 171-ter c.p.c. in combinato disposto dell'art. 183 c.p.c., che, spostando in avanti il primo incontro delle parti con il giudice già ad una fase avanzata del processo, rischia di non permettere l'immediata emersione di questioni pregiudiziali di rito impedienti, le quali di per sé sole sono in grado di determinare la conclusione del processo.
In particolare, la decisione qui riportata si occupa dei rapporti tra gli artt. 645,647, 171-bis c.p.c. e l'art. 5-bis del d.lgs. n. 28/2010.
La riforma Cartabia, recependo l'indirizzo fatto proprio dalla Cassazione con la sentenza a Sezioni unite 18 settembre 2020, n. 19596, ha espressamente statuito che nelle materie in cui la mediazione è obbligatoria, sebbene la fase sommaria del procedimento monitorio non soggiaccia al previo esperimento della condizione di procedibilità, è onere della parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo esperire il tentativo obbligatorio di mediazione, con la conseguenza che nel caso in cui il ricorrente non vi abbia provveduto, il giudice dell'opposizione, alla prima udienza, dopo aver deciso sulle eventuali istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione, dispone l'esperimento del tentativo di mediazione, fissando la successiva udienza dopo la scadenza del termine di durata del procedimento; nel caso in cui in quella sede accerti che la mediazione non è stata esperita, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revocando il decreto opposto.
Come è evidente, dunque, il previo esperimento del tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità del giudizio di opposizione, che va accertata alla prima udienza di trattazione. Tale questione pregiudiziale impediente, tuttavia, si interseca e sovrappone con l'altra, di pari natura, relativa all'errore nella scelta dell'atto introduttivo.
Al riguardo, l'art. 171-bis c.p.c. stabilisce che nel caso in cui il giudice rilevi l'esistenza delle questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione, «anche con riguardo alle condizioni di procedibilità della domanda» pronuncia apposito provvedimento con cui segnala alle parti l'esistenza di tali questioni, le quali «sono trattate dalle parti nelle memorie integrative di cui all'articolo 171-ter» e successivamente decise nel corso della prima udienza di cui all'art. 183 c.p.c. Se, dunque, anche le questioni attinenti alla procedibilità (e a fortiori all'ammissibilità) della domanda vanno trattate nel corso della prima udienza, tutta l'ulteriore attività difensiva (attinente alle altre questioni di rito o di merito) svolta delle parti nelle memorie integrative rischia di essere inutile laddove il giudice ritenga sussistente la causa di improcedibilità (o di inammissibilità) della domanda e chiuda il processo in rito.
Per tale motivo, si sta diffondendo nella prassi la soluzione di ammettere la fissazione, su istanza di parte se non d'ufficio, di una apposita udienza «preliminare» rispetto a quella di cui all'art. 183 c.p.c. in cui il giudice, sentite i difensori delle parti, possa adottare i provvedimenti del caso.
Detta soluzione, ammessa in alcuni uffici giudiziari (si v. Trib. Bologna, sez. II, decr. 3 novembre 2023; Trib. Roma, sez. VI, decr. 22 giugno 2023) costituisce la condivisibile «reazione» ad un sistema che, imponendo alle parti di giungere alla prima udienza avendo già preso posizione su tutte le possibili questioni relative alla controversia, rischia non solo di influire negativamente sulla ricerca di soluzioni conciliative, ma anche di addossare alle parti il peso dello svolgimento di un'attività di allegazione ed istruttoria che in alcuni casi potrebbe rivelarsi inutile e quindi in contrasto con i principi di ragionevole durata e di speditezza che informano proprio la riforma Cartabia.
Detta interpretazione (che, non si nasconde, è di fatto parzialmente abrogativa dell'art. 171-bis c.p.c.) sembra essere l'unica utile; essa, vero e proprio che esempio di impegno nell'esercizio della funzione del giudicante, oltre che di competenza, si basa sul combinato disposto non solo dell'art. 175 c.p.c. che attribuisce al giudice «tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento», altresì permettendogli di fissare «le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali», ma anche dell'art. 101, comma 2, c.p.c., che impone al giudice di rispettare il principio del contraddittorio nel rilievo delle questioni oggetto del procedimento.
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