Liquidazione del compenso ai curatori succedutisi nel corso della procedura

Daniele Fico
06 Maggio 2024

In tema di liquidazione dei compensi spettanti a due curatori succedutisi nell’incarico nel corso della procedura fallimentare, la S.C. ha ribadito la necessità di enunciare i criteri di quantificazione e ripartizione del compenso in relazione alle attività rispettivamente svolte ed ai risultati conseguiti.

Massima

In caso di successione di curatori nel corso della procedura, è incongruente l’assunto per cui la somma giacente nel conto della società al momento del fallimento dovrebbe computarsi come attivo realizzato da entrambi. La disponibilità liquida esistente in cassa è acquisita al fallimento dal solo curatore inizialmente nominato, per l’ovvia ragione che egli ha l’onere di attivarsi allo scopo di evitare possibili attività distrattive, mentre il secondo curatore trova già la corrispondente somma nell’attivo fallimentare senza dover svolgere alcuna attività   

Il caso

Il Tribunale di Novara liquidava il compenso ai due curatori di una procedura fallimentare (il primo, nominato con la dichiarazione di fallimento e successivamente revocato e il secondo, nominato in sostituzione del primo) considerando l’attività svolta, l’attivo realizzato ed il passivo accertato. Tale decreto veniva impugnato dall’erede del primo curatore dinanzi alla S.C. che, con ordinanza 25532/2016, cassava il suddetto provvedimento in quanto mancante di motivazione relativamente alla ripartizione del compenso finale tra i due professionisti succedutisi nell’incarico di curatore con rinvio affinché i giudici di primo grado – in diversa composizione – provvedessero a rideterminare il compenso medesimo.

Il Tribunale di Novara, in sede di rinvio, confermava il compenso nella misura stabilita con il provvedimento di cui sopra, affermando che le somme giacenti sul conto corrente della società alla data della dichiarazione di fallimento, non ripartite, dovevano considerarsi nell’attivo realizzato da entrambi i curatori; così facendo, al secondo veniva attribuito un compenso prossimo al valore medio sull’attivo realizzato e sul passivo - accertato, in pratica, dal primo curatore - e a quest’ultimo un importo inferiore al minimo, giustificato dal fatto che lo stesso era stato revocato per negligenza, avendo in maniera ingiustificata protratto i tempi della liquidazione.

Anche avverso tale provvedimento gli eredi del primo curatore proponevano ricorso per Cassazione, che accoglieva il medesimo cassando il provvedimento dei giudici di prime cure con rinvio della causa nuovamente a questi ultimi, in diversa composizione, al fine di rinnovare l’esame in conformità ai principi enunciati dalla S.C., relativamente sia alla valutazione della disponibilità di cassa esistente al momento della dichiarazione di fallimento, sia al principio già definito con la suddetta ordinanza 25532/2016.

La questione giuridica e la soluzione

La sentenza in esame consente di affrontare l‘interessante questione relativa alla liquidazione dei compensi spettanti a due curatori succedutisi nell’incarico durante la procedura fallimentare.

Al riguardo, la Corte di Cassazione, dopo aver evidenziato la necessità di adeguata motivazione del decreto di liquidazione del compenso ai curatori e del principio di proporzionalità dell’attivo realizzato, ha considerato incongruente l’assunto secondo il quale la somma giacente nel conto della società fallita, al momento della dichiarazione di fallimento, si sarebbe dovuta computare come attivo realizzato da entrambi i curatori; dal momento che tale somma è stata considerata due volte, come se l’attivo da disponibilità liquide fosse il doppio di quello realizzato.  

A parere dei giudici di legittimità, infatti, la disponibilità liquida esistente in cassa è acquisita dalla procedura fallimentare dal solo curatore (il primo) nominato con la sentenza dichiarativa di fallimento, per l’ovvia ragione in base alla quale lo stesso ha l’onere di attivarsi allo scopo di evitare possibili attività distrattive, mentre il curatore nominato successivamente in sua sostituzione (secondo curatore) trova già corrispondente somma nell’attivo fallimentare senza dovere svolgere alcuna attività.

In conclusione, la S.C. ha ribadito che il decreto di liquidazione degli emolumenti, spettanti a più curatori fallimentari succedutisi nella carica, deve contenere l'enunciazione dei criteri di quantificazione e ripartizione del compenso, in relazione alle attività rispettivamente svolte ed ai risultati conseguiti.

Osservazioni

Secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimità, il decreto di liquidazione del compenso ai diversi curatori succedutisi nell'incarico deve necessariamente motivare i criteri di liquidazione ed i parametri essenziali previsti dall'art. 1 D.M. 25 gennaio 2012, n. 30, cui si richiama l'art. 39, comma 1, l. fall., quali “l'opera prestata dal curatore”, i "risultati ottenuti", la "importanza del fallimento" e la "sollecitudine con cui sono state condotte le relative operazioni" (v., per tutte, Cass. 13 ottobre 2022, n. 30069; Cass. 11 marzo 2021, n. 6806;Cass. 26 giugno 2018, n. 16739).

Come noto, ai sensi del sopra citato primo comma dell'art. 39 l. fall., il compenso e le spese spettanti al curatore sono liquidati ad istanza del medesimo con decreto del tribunale non soggetto a reclamo – comunque impugnabile dinanzi alla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. – su relazione del giudice delegato, sulla base di quanto stabilito con decreto del Ministro della Giustizia. In ogni caso, la liquidazione del compenso è fatta successivamente all'approvazione del rendiconto di gestione e, se del caso, dopo l'esecuzione del concordato fallimentare (art. 39, comma 2, l. fall.).

Qualora, inoltre, nell'incarico si siano succeduti più curatori , il compenso è determinato secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato al termine della procedura fallimentare, salvo eventuali acconti (art. 39, comma 3, l. fall.). In particolare, ai fini dell'applicazione del predetto criterio di proporzionalità, deve essere precisato l'ammontare dell' attivo realizzato da ciascun curatore , determinando, all'interno dei valori così identificati, il compenso da attribuire a ciascuno temperando il criterio di cassa della realizzazione dell'attivo con quello di competenza, nei casi in cui il momento solutorio, conseguente alla fase liquidatoria dei beni, ricada temporalmente nella gestione del curatore subentrato, pur essendo causalmente riferibile ad operazioni condotte da quello revocato (così Cass. 5 settembre 2019, n. 22272).

A ben vedere, la necessità di motivazione delle scelte discrezionali adottate dal tribunale, relativamente alla liquidazione del compenso al curatore, è connaturata al parametro normativo di cui all'art. 39, comma 1, l. fall., che richiama espressamente, oltre alla relazione del giudice delegato, i criteri regolamentari previsti dal decreto del Ministro della Giustizia.

Al riguardo, l'art. 1 D.M. 30/2012 - richiamato dal primo comma dell'art. 39 l. fall. - impone l'adozione, per l'effettuazione della determinazione del compenso, oltre che di criteri quantitativi, anche di criteri qualitativi, quali la sollecitudine con cui vengono condotte le operazioni della curatela, l'efficienza con cui vengono svolte le medesime e l'efficacia in ordine al conseguimento degli obiettivi, requisiti peraltro cui la prassi dei tribunali fa costante riferimento nell'emissione dei decreti di liquidazione del compenso dei curatori.

Pertanto, aldilà dei criteri meramente quantitativi, legati ai dati numerici dell'attivo realizzato e del passivo accertato, i criteri qualitativi sono quelli determinanti al fine di veicolare la scelta del tribunale nella determinazione del compenso del curatore, realizzando in questo modo un giudizio di merito sull'operato del medesimo (in questo modo, G. D'Attorre, Sub art. 39. Il compenso del curatore, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di A. Nigro, M. Sandulli, V. Santoro, Torino, 2010, 532).

Tra i criteri qualitativi per la quantificazione del compenso del curatore deve essere annoverato, in primo luogo, l'essenza dell'“opera prestata” dallo stesso in termini di energia impiegata nello svolgimento del proprio incarico. Con riguardo, invece, al parametro qualitativo dei “risultati ottenuti”, si deve necessariamente tenere conto, nell'ottica della determinazione giudiziale del compenso, del quid, del quantum e del quomodo delle operazioni liquidatorie compiute dall'organo della procedura concorsuale (così N. Lucarelli, Successione di più curatori nella procedura fallimentare e liquidazione dei compensi, in altalex.com, 10 ottobre 2020).

Il criterio dell'“importanza” della procedura fallimentare, prescritto dall'art. 1 del citato decreto ministeriale, a sua volta, è connaturato alla complessità, nonché al numero delle operazioni svolte ai fini della liquidazione dell'attivo. Il criterio qualitativo della “sollecitudine”, infine, fa riferimento alla diligenza del curatore nello svolgimento dell'incarico ed alla sua operosità nel compimento delle operazioni tenuto conto del tempo impiegato e dell'assiduità delle medesime.

Gli anzidetti criteri, fondati sul giudizio meritocratico effettuato sull'operato del curatore, vanno considerati congiuntamente ai criteri quantitativi descritti dagli artt. 1 e 2 D.M. 30/2012 – fondati su dati numerici inerenti all'attivo realizzato e al passivo accertato, secondo percentuali decrescenti e variabili tra un importo minimo e un importo massimo.

Al riguardo, relativamente al concetto di “attivo realizzato”, è senza dubbio da ricomprendersi ogni liquidità in qualunque modo acquisita dalla curatela nel corso della propria gestione conseguita nell'interesse del ceto creditorio; tra cui, come precisato nella sentenza oggetto di esame, la disponibilità di cassa all'apertura della procedura fallimentare da conteggiarsi, tuttavia, esclusivamente nell'attivo realizzato dal primo curatore, rectius da colui che risulta nominato con la sentenza dichiarativa di fallimento.

Sempre relativamente al criterio quantitativo, per i giudici di legittimità rientra nella piena discrezionalità del tribunale indicare diverse percentuali sul compenso complessivo determinato per l'ufficio del curatore, quando più professionisti si siano avvicendati nell'incarico; con la precisazione che l'unico principio cui è tenuto ad uniformarsi il giudicante è rappresentato esclusivamente da quello della proporzionalità di cui al terzo comma dell'art. 39 l. fall., in combinato disposto con l'art. 2, comma 1, D.M. 30/2012 (cfr. Cass. 27 aprile 2016, n. 8404).

Alla luce di tali disposizioni normative, quindi, il compenso dovuto a più professionisti che si sono succeduti nell'incarico di curatore fallimentare sarà determinato in base ad una complessa procedura che culminerà, dopo la presentazione del rendiconto della gestione (o dopo l'esecuzione del concordato), con il computo dell'attivo realizzato da ognuno di essi e del passivo accertato complessivamente. Soltanto a partire da questo momento, infatti, il compenso spettante ai singoli curatori succeduti nella funzione potrà essere definito sulla scorta del calcolo delle percentuali di composizione, in maniera tale da rendere effettivo il principio di proporzionalità normativamente prescritto.

Sul punto, peraltro, la S.C. a Sezioni Unite (Cass. 19 dicembre 2007, n. 26730) ha sottolineato che soltanto all'esito dello svolgimento della procedura fallimentare, quando è ormai certo il quantum inerente all'attivo realizzato e al passivo accertato, è possibile la determinazione e la valutazione del contributo di ciascun curatore con riferimento ai risultati concretamente conseguiti; sempre in conformità ai principi contenuti nell'art. 39, comma 3, l. fall., quali quelli dell'unicità del compenso – nel senso che la somma dei compensi attribuiti ai curatori che si sono avvicendati nella funzione non può eccedere in alcun caso il limite massimo previsto per il singolo curatore – e della proporzionalità, tenendo comunque conto dell'opera prestata da ognuno, nonché dei risultati concretamente e singolarmente conseguiti.

In tale ottica, risulta quindi essenziale che nella determinazione degli importi riconosciuti a più curatori succedutisi nella funzione sia svolta un'espressa e dettagliata enunciazione dei criteri di quantificazione e ripartizione, avuto riguardo alle attività espletate e ai risultati conseguiti da ciascuno, dovendosi pervenire ad una liquidazione avente carattere riconoscibilmente individualizzato (Cass.  13 ottobre 2022, n. 30069, cit.).

A questo fine, è stato ritenuto affetto da carenza assoluta di motivazione, impugnabile con ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., il decreto con il quale il tribunale fallimentare liquidi il compenso a due curatori succedutisi nel corso della procedura, calcolandolo sul complessivo ammontare dell'attivo realizzato, senza precisare l'ammontare dell'attivo realizzato da ciascuno di essi, e senza determinare, all'interno dei valori in tal modo identificati, l'esatta percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti (Cass. 24 giugno 2013, n. 15761).

Conclusioni

Il provvedimento in commento, in linea con il consolidato orientamento della S.C., evidenzia alcuni principi fondamentali inerenti alla determinazione del compenso spettante a due curatori succedutisi nel corso della procedura fallimentare.

In primo luogo, quello relativo all’obbligo, a pena di nullità, di motivazione analitica (e non apparente) del relativo decreto di liquidazione; nel senso che lo stesso deve contenere l’enunciazione dei criteri di quantificazione e ripartizione del compenso, relativamente alle attività rispettivamente svolte e ai risultati ottenuti.

In secondo luogo, quello della liquidazione del compenso tenendo conto del criterio della proporzionalità, con riferimento cioè alla quota parte dell’attivo ascrivibile a ciascuno dei curatori succedutisi secondo la percentuale applicata tra il minimo e il massimo astrattamente previsti in base ai criteri di cui al decreto del Ministero di Giustizia vigente. In tale ottica, la S.C. ha osservato, correttamente a parere di chi scrive, che la disponibilità di cassa iniziale va considerata nell’attivo realizzato dal primo curatore, al fine di evitare una duplicazione dell’attivo medesimo.

Con riferimento, infine, ai criteri qualitativi, per i giudici di legittimità non giustifica la differente ripartizione delle quote tra i due curatori il fatto che il primo sia stato revocato per negligenza, in quanto ciò potrebbe valere a ridurre al minimo l’ammontare del compenso liquidabile allo stesso, ma non anche a incrementare quello del curatore (secondo) subentrante.

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