Mancata iscrizione del servicer nell'albo ex art. 106 TUB: la Cassazione prende posizione
07 Maggio 2024
Massima Il conferimento dell'incarico di recupero dei crediti cartolarizzati ad un soggetto non iscritto nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. e i conseguenti atti di riscossione da questo compiuti non sono affetti da invalidità, in quanto l'art. 2, comma 6, della l. n. 130/1999 non ha immediata valenza civilistica, ma attiene, piuttosto, alla regolamentazione amministrativa del settore bancario e finanziario, la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri, anche sanzionatori, facenti capo all'autorità di vigilanza e presidiati da norme penali, con la conseguenza che l'omessa iscrizione nel menzionato albo può assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con la predetta autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici. Il caso Il giudizio approdato alla Cassazione e poi definito con la pronuncia in esame, aveva originariamente ad oggetto una opposizione agli atti esecutivi con la quale era stata dedotta la illegittimità del precetto per non essere stato lo stesso preceduto dalla notifica del titolo esecutivo. Solo nel corso del giudizio in sede di legittimità, tuttavia, veniva sollevata, verosimilmente allo scopo di contestare la ritualità del controricorso depositato dalla rappresentante sostanziale della mandataria della creditrice, altra questione, concernente la mancata iscrizione nell’elenco di cui all’art. 106 T.U.B. del soggetto al quale era stata affidata l’attività di recupero del credito «cartolarizzato»”, con l’effetto che la Cassazione, nell’affrontare la proposta opposizione agli atti esecutivi, riteneva preliminarmente di esaminare tale questione. La questione L’ordinanza in commento interviene su una questione di sicuro interesse nella prassi degli uffici giudiziari. E’, invero, piuttosto frequente che i crediti fondiari vengano ceduti mediante operazioni di cartolarizzazione dei crediti e che i soggetti cessionari del credito conferiscano procura ad altre società in vista delle attività di riscossione dei crediti in questione. Quanto a tali soggetti ai quali viene conferito incarico di curare la riscossione dei crediti, viene previsto, dall’art. 2, comma 6, della l. n. 130/1999, che gli stessi debbano essere banche, ovvero intermediari finanziari iscritti nell’elenco di cui all’art. 106 del d.lgs. n. 385/1993 (T.U.B.). Tali ultimi soggetti, poi, sovente conferiscono mandato ad altre società di provvedere a singole attività relative alla gestione del credito. Si pone, allora, sempre più di frequente, la questione di verificare se i soggetti incaricati dai cessionari del credito di provvedere alle attività di riscossione del credito siano effettivamente iscritti nel predetto elenco di cui all’art. 106 T.U.B. e, in caso di esito negativo di tale verifica, stabilire quali siano gli effetti civilistici di una tale mancata iscrizione. Le soluzioni giuridiche Occorre premettere che la pronuncia in commento aveva ad oggetto la questione concernente la legittimazione attiva di una società che agiva in giudizio quale rappresentante sostanziale di altra impresa, a sua volta mandataria della società veicolo, ossia della società cessionaria del credito. Pur a fronte di questa precisazione, le conclusioni alle quali giunge la Cassazione, parrebbero riferirsi tanto alla ipotesi di mancata iscrizione nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. della mandataria, quanto della società che da questa abbia ricevuto procura per il compimento di specifiche attività concernenti la riscossione del credito. Nella ordinanza in commento i giudici di legittimità ritengono che la questione concernente la non iscrizione del soggetto delegato alle attività di riscossione del credito nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. non possa incidere sulla validità della procura conferita a tale soggetto e sulla sua idoneità a svolgere le predette attività di riscossione per conto della mandante. A tale conclusione la Cassazione giunge sul presupposto che non venga in rilievo, nel presente caso, la violazione di norme imperative inderogabili, ossia di disposizioni poste a presidio di «preminenti interessi generali della collettività» o «valori giuridici fondamentali». In particolare, ad avviso della Corte, la disposizione che presiede alla iscrizione nel menzionato albo non ha «alcuna valenza civilistica» attenendo solo «alla regolamentazione (amministrativa) del settore bancario (e, più in generale, delle attività finanziarie), la cui rilevanza pubblicistica è specificamente tutelata dal sistema dei controlli e dei poteri (anche sanzionatori) facenti capo all'autorità di vigilanza (cioè, alla Banca d'Italia) e presidiati anche da norme penali» (si veda la ordinanza in commento). Ne consegue che «non vi è alcuna valida ragione per trasferire automaticamente sul piano del rapporto negoziale (o persino sugli atti di riscossione compiuti) le conseguenze delle condotte difformi degli operatori, al fine di provocare il travolgimento di contratti (cessioni di crediti, mandati, ecc.) o di atti processuali di estrinsecazione della tutela del credito, in sede cognitiva o anche esecutiva (precetti, pignoramenti, interventi, ecc.), asseritamente viziati da un'invalidità derivata», dovendo concludersi che «dall'omessa iscrizione nell'albo ex art. 106 T.U.B. del soggetto concretamente incaricato della riscossione dei crediti non deriva alcuna invalidità, pur potendo tale mancanza assumere rilievo sul diverso piano del rapporto con l'autorità di vigilanza o per eventuali profili penalistici» (si veda ancora l'ordinanza n. 7243/2024). Osservazioni Davvero la questione esaminata in modo molto sintetico dalla Cassazione nella ordinanza in commento ha alle spalle un background molto complesso (caratterizzato dalla complessa disciplina dettata tanto dal T.U.B., quanto dal T.U.F., nonché dalla estesa prassi della Banca d'Italia), che non si ha la pretesa, in questa sede, di esaminare in modo approfondito. Alcuni elementi, però, può essere utile passarli molto velocemente in rassegna. E così, deve premettersi come sempre più di frequente, a partire soprattutto dalla metà dello scorso decennio, gli istituti di credito abbiano posto in essere frequenti operazioni di cessione dei propri crediti, specie di quelli ritenuti deteriorati, dal momento che la presenza di consistenti crediti deteriorati nella contabilità di un istituto di credito ha, evidentemente, effetti pregiudizievoli per le banche che detengono gli stessi nei propri bilanci. La dislocazione di tali crediti, per lo più deteriorati, presso altri soggetti, avviene sovente nelle forme previste dalla l. n. 130/1999, dettata in tema di cartolarizzazione dei crediti. Il particolare meccanismo che presiede, sulla base di tale disciplina, alla cessione di crediti individuabili in blocco, prevede la possibilità di trasferire gli stessi ad un soggetto cessionario, il quale a sua volta affida l'attività di riscossione dei crediti oggetto di cessione ad un servicer, il quale deve essere iscritto nell'elenco disciplinato dall'art. 106 T.U.B. (si veda il comma 6 dell'art. 2 della citata l. n. 130/1999), che istituisce l'Albo degli intermediari finanziari. Al servicer è inoltre affidata - ai sensi dell'art. 2, comma 6-bis, della l. n. 130/1999 – la verifica in ordine alla conformità delle operazioni di cartolarizzazione alla legge e al prospetto informativo di cui all'art. 2 del medesimo provvedimento legislativo (per un esame più in dettaglio delle articolate funzioni svolte dal servicer, si veda la circolare n. 288 del 2015 della Banca d'Italia, recante «Disposizioni di vigilanza per gli intermediari finanziari»). Non è affatto infrequente, poi, nella prassi, che alcune specifiche attività devolute al servicer (quali, in particolare, quelle di gestione ed incasso dei crediti) vengano dallo stesso affidate ad altro soggetto, denominato sub servicer o special servicer. Gli artt. 132 e 132-bis del T.U.B. disciplinano gli effetti, sia sotto il profilo penalistico, quanto sotto quello della vigilanza di Banca d'Italia, derivanti dall'abusivo esercizio di attività riservate a soggetti iscritti nell'Albo di cui all'art. 106 T.U.B. Fatte queste premesse, davvero sintetiche e piuttosto sommarie, circa il contesto nel quale viene ad innestarsi la pronuncia in commento, occorre ulteriormente evidenziare come sulla questione da ultimo esaminata nella ordinanza in esame siano di recente intervenute diverse pronunce di merito, con esiti non sempre univoci (si vedano, così, la pronuncia del Tribunale di Monza del 22.1.2024 che si è espressa per la nullità della procura conferita ad un servicer non iscritto nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B., nonché la più recente sentenza del Tribunale di Modena del 26.3.2024 che, prendendo atto della intervenuta pronuncia della Cassazione sulla questione, si limita, una volta appurata la non iscrizione del servicer nell'Albo in questione, a disporre la trasmissione degli atti alla competente Procura della Repubblica e alla Banca d'Italia quale istituto di vigilanza). Va da sé che la soluzione alla quale è da ultimo giunta la Cassazione con l'ordinanza n. 7243/2024, per quanto importante, non esaurisce il confronto e neppure l'elaborazione giurisprudenziale su un tema così delicato e controverso. Da un lato, la circostanza che l'iscrizione nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. sia funzionale a garantire la vigilanza della Banca d'Italia sul soggetto in questione, unita al fatto, peraltro segnalato nella stessa ordinanza in commento, che l'abusivo esercizio di attività che richiedano l'iscrizione nell'albo in questione sia presidiata da sanzioni amministrative e penali, potrebbe indurre a ritenere che nel presente caso venga in rilievo una disposizione imperativa inderogabile, ossia una norma posta a presidio di «preminenti interessi generali della collettività» o di «valori giuridici fondamentali», con l'effetto che l'esercizio di una tale attività da parte di un soggetto non iscritto nell'albo in questione non possa non riverberarsi sulla validità, anche in ambito civilistico, degli atti compiuti da tale soggetto. Dall'altro lato, invece, non mancano elementi, suffragati dalla estesa giurisprudenza espressasi in tema di «nullità virtuale», che indurrebbero a propendere per la soluzione adottata dalla Cassazione nella ordinanza in commento, dovendo ritenersi che «in relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta «nullità virtuale»), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch'esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità» (Cass. civ., sez. un., n. 26724/2007). Un tema, quindi - quello delle ricadute sugli atti compiuti dal servicer derivanti dalla mancata iscrizione nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. - nient'affatto chiuso, sul quale occorrerà, ancora una volta, verificare nel prossimo futuro l'evoluzione dell'elaborazione dottrinale e le prese di posizione della giurisprudenza di legittimità e di merito. Del resto, anche il tema della rilevanza penale della condotta posta in essere dal mandatario non iscritto nell'albo in questione, e della correlativa necessità di segnalare alla competente Procura della Repubblica tale circostanza, merita un brevissimo cenno. E così, volendosi limitare ad un riferimento alla sola previsione delittuosa disegnata dal già citato art. 132 T.U.B., la stessa pare sanzionare unicamente «l'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma», con l'effetto che, pur tenendo conto delle articolate attività demandate ordinariamente al servicer da parte delle società cessionarie, appare comunque dubbia l'integrazione di tale reato da parte dell'operatore non iscritto nell'albo di cui all'art. 106 T.U.B. |