Contratto di agenzia e indennità di fine rapporto: presupposti, onere della prova e criteri di quantificazione

08 Maggio 2024

La pronuncia in commento offre una panoramica completa sui più recenti orientamenti della Cassazione relativi ai fatti costitutivi del diritto dell'agente all'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. e all'onere della prova dei relativi presupposti. La Corte, anche in base alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, si sofferma poi sui criteri di calcolo, come previsti dall'art. 17 della Direttiva 86/653, precisando che gli stessi non dovranno essere necessariamente analitici ma potranno essere sintetici, con valorizzazione del principio di equità. Nella fattispecie è stata confermata la pronuncia di appello, stante la pacifica sussistenza dei requisiti di cui all'art. 1751 c.c. e la corretta quantificazione dell'indennità in base a tale norma, con soluzione più favorevole all'agente rispetto all'applicazione dell'aec settore commercio.

MASSIME

L'indennità di cessazione del rapporto (c.d. meritocratica) prevista dall'art. 1751 c.c. spetta all'agente quando questi abbia procurato nuovi clienti al preponente o abbia sensibilmente sviluppato gli affari con i clienti esistenti e il preponente riceva ancora, dopo la cessazione del rapporto, sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti. L'onere della prova della spettanza del diritto compete all'agente e il Giudice deve stabilire se l'indennità sia equa in base a una verifica in concreto, valutando le sole circostanze del caso. È consentito l'utilizzo di metodi di calcolo sintetici che valorizzino il criterio di equità e pongano quale punto di partenza il limite massimo di un'annualità media di provvigioni, come previsto dall'art. 17 della direttiva. L'art. 1751 c.c. è inderogabile in peius ma non in melius con la conseguenza che, per stabilire se le norme degli aec siano più favorevoli, è necessario effettuare una verifica caso per caso, da compiere nel giudizio di merito.

IL CASO

La vertenza ha origine da un contratto di agenzia del 3 maggio 2004 in regime di esclusiva per la promozione della vendita di pellicce nei Paesi dell'ex Unione Sovietica, cessato nel 2009 per disdetta unilaterale della preponente. La pronuncia di primo grado del Tribunale di Milano aveva condannato la preponente al pagamento di differenze provvigionali e dell'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c.

La Corte di Appello di Milano ha confermato la pronuncia di primo grado rilevando:

  • che già nel 2000 la preponente si era rivolta al legale rappresentante dell'agente per sondare le opportunità di mercato nel territorio successivamente affidato all'agente, nel quale la preponente non aveva alcun cliente;
  • che nel 2004 erano stati stipulati due contratti di agenzia con il legale rappresentante dell'agente personalmente e con la sua società, procurando alla preponente un portafoglio complessivo di circa 40 clienti con un fatturato realizzato nell'anno successivo alla cessazione del rapporto pari a circa € 2.500.000,00;
  • che l'agente aveva creato dal nulla una clientela significativa con fatturati rilevanti, ascrivibili interamente all'attività dell'agente, con la permanenza di vantaggi dopo la cessazione del rapporto e la rispondenza ad equità della corresponsione così come liquidata in primo grado in base al fatturato prodotto e alle somme versate a titolo di provvigioni.

La preponente presentava poi ricorso in Cassazione basato su tre motivi e più precisamente:

  1. La violazione degli artt. 1751 e 2697 c.c. e 115 c.p.c. sostenendo che non fossero stati accertati con sufficiente rigore i presupposti per il riconoscimento dell'indennità e in particolare il reale incremento del numero dei clienti per esclusivo merito dell'agente e la sussistenza di vantaggi sostanziali anche dopo la cessazione del rapporto, omettendo di effettuare un raffronto tra il fatturato realizzato durante il rapporto e al momento del recesso.
  2. La violazione degli artt. 61, 64, 101, 115 e 191 c.p.c. in quanto la Corte avrebbe accolto la domanda in base a fatti accertati dal CTU, senza che l'agente avesse fornito una prova effettiva sia dell'incremento degli affari, sia della sussistenza di vantaggi anche dopo la cessazione del rapporto.
  3. Infine con il terzo motivo veniva contestata la violazione dell'art. 1751 c.c. e delle clausole dell'aec settore commercio 16 febbraio 2009, come modificato dal Testo unico del 2010, sostenendo che la quantificazione dell'indennità di fine rapporto avrebbe dovuto essere effettuata in base ai criteri dell'aec.

Tutti e tre i motivi di ricorso sono stati respinti con conferma della sentenza impugnata e condanna alle spese del ricorrente

LE QUESTIONI

Le questioni più significative affrontate dall'ordinanza in esame attengono da un lato all'individuazione dei presupposti e fatti costitutivi dell'indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia e dall'altro ai criteri di quantificazione dell'indennità anche in relazione ai rapporti tra art. 1751 c.c. e accordi economici collettivi. Nella fattispecie l'aec esaminato è quello del settore commercio 16 febbraio 2009 (come modificato dal Testo unico del marzo 2010), ma i principi affermati appaiono applicabili a tutti gli accordi economici collettivi, indipendentemente dai criteri di calcolo in concreto adottati. Di interesse è poi il tema della ripartizione dell'onere della prova tra agente e preponente e del ruolo e limiti di operatività del CTU.

LE SOLUZIONI GIURIDICHE

La pronuncia in commento, prima di affrontare il primo dei tre motivi di ricorso, incentrato sull'asserita violazione degli articoli 1751 c.c. in tema di indennità di fine rapporto nel contratto di agenzia e 2697 c.c. sulla ripartizione dell'onere della prova, ha effettuato un interessante excursus sulla propria giurisprudenza in tema di presupposti e condizioni per il sorgere del diritto all'indennità di fine rapporto che, unitamente alla valutazione dei criteri di quantificazione dell''indennità anche in correlazione con quelli previsti dall'aec settore commercio 16 febbraio 2009, oggetto del terzo motivo, ne costituiscono senza dubbio il punto centrale.

La Corte ha infatti precisato che, ai sensi dell'art. 1751 c.c., per il sorgere del diritto all'indennità è necessario il positivo riscontro dei 2 seguenti requisiti:

  1. che l'agente abbia procurato nuovi clienti al preponente o sensibilmente sviluppato gli affari con la clientela esistente;
  2. che il preponente riceva ancora, dopo la cessazione del rapporto, sostanziali vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti;

Elementi costitutivi del diritto all'indennità sono quindi:

  1. la cessazione del rapporto, che non dipenda tuttavia dalle ipotesi elencate nel secondo comma dell'art. 1751 c.c.: risoluzione del contratto da parte del preponente per grave inadempimento dell'agente, recesso ordinario dell'agente, salvo che sia giustificato da circostanze attribuibili al preponente o da circostanze attribuibili all'agente come età infermità o malattia che non consentano la prosecuzione dell'attività, o in caso di cessione del contratto;
  2. i requisiti di legge sub 1. e 2. e cioè l'apporto di clientela o lo sviluppo degli affari con quella esistente e la sussistenza di vantaggi sostanziali per il preponente, dopo la cessazione del rapporto, derivanti dalla clientela apportata o sviluppata    

Per il riconoscimento dell'indennità di fine rapporto ex art. 1751 c.c. non è quindi sufficiente la semplice non imputabilità all'agente del recesso, essendo per contro necessaria la sussistenza in positivo di tutte le altre condizioni di legge.

Per quanto attiene invece alla ripartizione dell'onere della prova, lo stesso deve considerarsi gravare interamente sull'agente. Restano fermi tuttavia i temperamenti derivanti dal principio di prossimità e/o vicinanza alle fonti di prova in relazione a quei fatti la cui dimostrazione possa essere fornita solo dal preponente.

Spetta poi al Giudice, all'esito di una verifica in concreto, stabilire se l'indennità sia equa, valutando le sole “circostanze del caso” intendendosi per tali tutti gli elementi idonei a pervenire ad una adeguata personalizzazione del “quantum” da riconoscere all'agente. La Corte, richiamando propri precedenti, specifica altresì che tali elementi dovranno risultare ulteriori e diversi rispetto a quelli costitutivi del diritto.

Inoltre, richiamando precedente giurisprudenza (Cass. 23966/2008; Cass. 15203/2010 e Cass. 15375/2017) peraltro conforme ad un principio espresso anche dalla Corte di Giustizia (CGCE 23/3/2006 C-465/04), si precisa che l'art. 17 della Direttiva 86/653 (fonte dell'art 1751 c.c. nella sua attuale versione) consente l'utilizzo di metodi di calcolo dell'indennità sintetici, e non analitici (così implicitamente escludendo l'operatività anche in chiave interpretativa della giurisprudenza tedesca sul punto), valorizzando in maniera significativa il criterio di equità e considerando come punto di partenza il limite massimo di un'annualità media di provvigioni previsto dalla Direttiva.

Tornando al merito della questione la Corte ha osservato che il riconoscimento dell'indennità ex art 1751 c.c. (definita “indennità meritocratica”) era fondato anzitutto sulla condotta processuale di sostanziale non contestazione del preponente su alcune circostanze decisive quali la creazione dal nulla di una ricca clientela da parte dell'agente e la realizzazione di un fatturato significativo anche nell'anno successivo alla cessazione del rapporto, oltre che sulle risultanze della CTU effettuata sui documenti prodotti dall'agente.

Con riferimento alle contestazioni effettuate sulla ripartizione dell'onere della prova la Corte ha poi rilevato la tardività delle deduzioni della preponente e osservato, richiamando precedenti pronunce (Cass. 4747/2023; Cass. 31402/2019; Cass. 26859/2013), che la condotta processuale del convenuto, agli effetti della non contestazione dei fatti allegati dalla controparte, va correlata al regime delle preclusioni. Preclusioni che nella disciplina del giudizio ordinario sono da ritenersi connesse all'esaurimento della fase del processo entro la quale è consentito alle parti di precisare e modificare domande, eccezioni e conclusioni, con esclusione della possibilità di sollevare contestazioni in appello su fatti ritenuti pacifici in primo grado.

Un ulteriore interessante principio viene poi precisato con riferimento al ruolo del CTU, sovente coinvolto nelle vertenze aventi ad oggetto rapporti di agenzia, escludendo che lo stesso nella fattispecie esaminata abbia svolto un ruolo di supplenza nell'adempimento dell'onere della prova gravante sull'agente, essendosi limitato a verificare la spettanza dell'indennità sulla base del prospetto clienti e delle vendite in atti. La Corte ha altresì precisato che il CTU può legittimamente accertare, nei limiti delle indagini che gli sono affidate e nel rispetto del principio del contraddittorio, tutti i fatti il cui accertamento si renda necessario al fine di rispondere ai quesiti, a condizione che non si tratti dei fatti principali che le parti debbono allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni salvo, per queste ultime, che non si tratti di fatti rilevabili d'ufficio.

Di interesse è infine una parte della motivazione di rigetto del terzo motivo concernente la mancata adozione da parte del Giudice dei criteri di quantificazione dell'indennità, così come previsti dall'aec settore commercio 16/2/2009. La Corte infatti, richiamando propri precedenti, così come la fondamentale pronuncia della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 23 marzo 2006 (riferita agli aec del 1992, ma ritenuta dalla Cassazione espressione di un principio di carattere generale che vale anche per la contrattazione successiva), ha osservato che la censura mossa dal ricorrente presuppone l'incondizionata prevalenza delle norme collettive sul disposto dell'art. 1751 c.c., dimenticando che la suddetta norma, che costituisce attuazione dell'art. 17 della Direttiva 86/653, è inderogabile in peius ma non a vantaggio dell'agente, con la conseguente necessaria verifica caso per caso, da compiere nel giudizio di merito, per stabilire se le norme collettive risultino di maggior favore rispetto alla disciplina legale.

La Corte conclude ribadendo l'orientamento in base al quale ove sussistano i presupposti per il riconoscimento dell'indennità ex art. 1751 c.c., l'applicazione del metodo di calcolo degli aec presuppone una verifica non con una valutazione complessiva “ex ante”, ma piuttosto con un esame dei dati concreti “ex post”, per stabilire se, fermo il limite massimo dell'indennità ex art. 1751 terzo comma c.c., l'indennità determinata ex aec, tenendo conto di tutte le circostanze del caso e in particolare delle provvigioni che l'agente perde, sia equa e compensativa del merito dimostrato, dovendosi in difetto riconoscere la differenza per ricondurla ad equità. Questo principio, da considerarsi ormai consolidato nella giurisprudenza della Cassazione, non appare tuttavia del tutto in linea con i principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia 23 marzo 2006.

OSSERVAZIONI

L'ordinanza in commento torna ad occuparsi di due dei temi di maggiore rilevanza nella disciplina del contratto di agenzia, costituiti dai presupposti di esistenza e dai criteri di quantificazione dell'indennità di fine rapporto, a seguito delle leggi nazionali di attuazione della Direttiva 86/653 (d.lgs. n. 303/1991 e d.lgs. n. 65/1999) e delle rilevanti modifiche apportate all'art. 1751 c.c., con la conseguente inapplicabilità dei previgenti criteri di calcolo contenuti nella contrattazione collettiva.

Per quanto attiene ai presupposti di esistenza del diritto all'indennità in favore dell'agente, la Corte ha giustamente sottolineato come oltre alla cessazione del rapporto (con esclusione delle ipotesi previste nell'art. 1751 c.c. in cui l'indennità non è dovuta) sia necessario il positivo riscontro di due requisiti e più precisamente l'apporto di clientela, parificato alla sviluppo degli affari con la clientela esistente e la sussistenza di sostanziali vantaggi per il preponente derivanti dalla predetta clientela dopo la cessazione del rapporto. Quest'ultima precisazione, che può apparire implicita nella sussistenza dei vantaggi è in realtà molto significativa in quanto sgombra il campo da quell'orientamento che riteneva sufficiente la sussistenza di vantaggi al momento della cessazione del rapporto. Risulta invece evidente dai principi espressi nella motivazione dell'ordinanza che i vantaggi sostanziali del preponente, per potersi ritenere sufficienti a riconoscere il diritto dell'agente all'indennità, debbano sussistere anche dopo la cessazione del rapporto (come peraltro precisato in maniera molto chiara dalla sentenza della Corte di Giustizia del 23 marzo 2023 C-574/21).

In ordine poi alla distribuzione dell'onere della prova la Corte ha correttamente confermato che lo stesso debba gravare integralmente sull'agente, salva l'operatività del principio di vicinanza alle fonti di prova, in base al quale sarà il preponente a dover dimostrare i fatti rientranti nella sua esclusiva disponibilità, come ad esempio i vantaggi successivi alla cessazione del rapporto. In base a questi principi potrà quindi ritenersi accoglibile l'istanza di esibizione di documentazione nella sola disponibilità del preponente o di terzi, sovente riscontrabile nei contenziosi aventi ad oggetto la cessazione dei contratti di agenzia.

Ancora in tema di onere della prova è interessante quanto affermato sul ruolo del c.t.u. al quale è devoluta la facoltà di accertare tutti i fatti necessari per poter rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali posti a fondamento della domanda o delle eccezioni (salvo per quelle rilevabili d'ufficio) il cui onere di allegazione resta integralmente a carico delle parti (cfr. Cass. n. 3086/2021).

In ordine poi ai criteri di quantificazione dell'indennità di fine rapporto, la Corte ha effettuato una disamina dettagliata della sua più recente giurisprudenza, mettendo in evidenza alcuni aspetti degni di nota.        

L'evoluzione giurisprudenziale sul punto è stata peraltro molto complessa e articolata (cfr. sul punto per una disamina approfondita A. Venezia-R. Baldi, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, XI ed., Giuffrè Francis Lefebvre, 2023, p. 385 e ss. e in particolare p. 416 e ss.) e può suddividersi in due fasi.

La prima in cui le soluzioni e i criteri di calcolo elaborati dalle associazioni di categoria e trasfusi negli aec sono stati considerati come un valido criterio di quantificazione dell'indennità, nonostante le previsioni di cui all'art. 1751 c.c. e la loro palese contrarietà sia con la predetta norma, sia con l'art. 17 della Direttiva 86/653, la cui lettera e ratio avrebbero dovuto essere utilizzate dal Giudice nazionale per la corretta interpretazione dell'art. 1751 c.c. (in esecuzione del principio ormai consolidato elaborato dalla Corte di Giustizia in tema di efficacia delle Direttive comunitarieCGCE 3/10/2000, C 371/97; 13/7/2000, C 456/98; 4/3/1999, C 258/97 - in base al quale il Giudice nazionale deve interpretare le proprie norme precedenti, successive e a maggior ragione quelle emanate in attuazione di una Direttiva comunitaria, quanto più è possibile alla luce della ratio e della lettera della Direttiva medesima. Un punto di rottura del previgente orientamento è costituito dalla pronuncia della Corte di Giustizia del 23 marzo 2006 C-456/04, che ha ritenuto che le soluzioni accolte negli aec del 1992 non fossero in linea con il contenuto della Direttiva, cui è seguita la seconda fase, tuttora in essere, che considera i criteri di quantificazione dell'indennità di fine rapporto previsti dagli aec come una sorta di trattamento minimo, salva la possibilità per l'agente di richiedere e ottenere un importo superiore, sino al limite massimo di un anno di retribuzioni ex art. 1751 c.c., laddove a seguito di una verifica da effettuarsi “ex post” e cioè una volta cessato il rapporto, in base alle sue concrete modalità di esecuzione e alle provvigioni perse dall'agente, risulti che l'indennità ex aec non risulti “equa e compensativa del particolare merito dimostrato”. Principio quest'ultimo ribadito anche nell'ordinanza oggetto del presente approfondimento.

Tornando alla motivazione dell'ordinanza un primo punto rilevante attiene al generale requisito dell'equità, che la Corte ritiene debba essere oggetto di una verifica in concreto da svolgersi da parte del Giudice valutando le “circostanze del caso” costituite da tuti gli elementi, diversi da quelli costituitivi del diritto all'indennità, che possano determinare una adeguata personalizzazione del “quantum” spettante all'agente.

Sempre in termini di criteri generali di calcolo dell'indennità, la Corte ribadisce correttamente un principio già espresso dalla sentenza della Corte di Giustizia del 23/3/2006 e cioè che l'art. 17 della Direttiva non prevede un calcolo da effettuarsi in maniera analitica, come avviene ad esempio in diritto tedesco, ma consente l'utilizzo di criteri differenti e in particolare di metodi sintetici, che valorizzino in maniera significativa il principio di equità. Appare quindi pacifico che per la corretta quantificazione dell'indennità di fine rapporto non debba farsi necessariamente riferimento alla giurisprudenza tedesca e ciò indipendentemente dal fatto che la soluzione accolta nell'art. 17 della direttiva e adottata dal legislatore italiano sia di ispirazione tedesca. La Corte prosegue poi precisando che il limite massimo dell'indennità di cui all'art. 1751 c.c. (1 anno di retribuzioni da calcolarsi sulla media degli ultimi 5 anni o dell'intero rapporto se di durata inferiore) possa essere utilizzato come punto di partenza nella quantificazione dell'indennità. Questa precisazione mi pare opinabile posto che per la corretta quantificazione dell'indennità, in base al principio interpretativo elaborato dalla Corte di Giustizia in tema di efficacia della direttiva, andrebbe valutata la misura in cui sussistono i relativi requisiti di esistenza del diritto, come stabilito dall'art. 17 della Direttiva (che prevede che l'indennità sia dovuta “se e nella misura in cui” sussistono le condizioni previste per il sorgere del diritto), con la conseguenza che il limite massimo di cui all'art. 1751 c.c. dovrebbe rimanere un limite e non trasformarsi in una base di partenza.

Da ultimo, come già accennato, è stato affrontato il tema della applicabilità dei criteri di calcolo dell'indennità previsti dall'aec 16 febbraio 2009, correttamente risolto da parte della Corte in base alla qualità di norma imperativa del disposto di cui all'art. 1751 c.c., caratterizzata dall'inderogabilità a svantaggio dell'agente, con la conseguente inapplicabilità degli aec. Tuttavia l'affermata necessaria verifica caso per caso nel giudizio di merito del raffronto tra disciplina legale e norme collettive in relazione all'individuazione della soluzione di miglior favore per l'agente oltre a non essere in linea con i differenti principi espressi dalla sentenza della Corte di Giustizia del 23 marzo 2006 (che prevede per contro una valutazione preliminare e in astratto, cioè ex ante), finisce per eludere il tema principale costituito dalla necessaria elaborazione da parte della giurisprudenza italiana di validi criteri di quantificazione dell'indennità di fine rapporto in applicazione dell'art. 1751 c.c. da leggersi in connessione con l'art. 17 della Direttiva.

L'ordinanza in commento e gli interessanti spunti emersi evidenziano da un lato la rilevanza del tema dell'indennità di fine rapporto nella disciplina del contratto di agenzia e dall'altro la perdurante assenza, al di là dell'enunciazione di principi di carattere generale almeno in parte condivisibili, di un concreto criterio di calcolo di elaborazione giurisprudenziale che possa fornire un indispensabile contributo di chiarezza della materia, tuttora caratterizzata da un doppio binario di regolamentazione che vede la soluzione accolta dagli aec come un trattamento minimo e il limite massimo di cui all'art. 1751 c.c. come un obbiettivo dell'agente che, se non soddisfatto, tende a far sfociare inevitabilmente la relativa questione in un contenzioso.    

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

A. Venezia-R. Baldi, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, Giuffrè Francis Lefebvre, XI ed., 2023.

F. Toffoletto, Il contratto d'agenzia, Giuffrè,  2012.

F. Bortolotti, a cura di, Contratti di distribuzione, Ipsoa, 2022.

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