Oggetto dell’attestazione nei concordati in continuità: superamento dell’insolvenza e sostenibilità economica dell’impresa

Carlo Pagliughi
10 Maggio 2024

Il focus analizza i concetti di crisi, insolvenza, sostenibilità nel tentativo di coordinare i vari piani rispetto ai quali dovrà essere emesso il giudizio sul superamento dell’insolvenza e sulla sostenibilità economica dell’impresa che il professionista indipendente deve esprimere ai sensi dell’art. 87 comma 3, c.c.i.i.

Introduzione

L'art. 87 del codice della crisi di impresa e dell'insolvenza, rubricato “contenuto del piano di concordato”, al comma 3 richiede il deposito, insieme alla domanda di concordato, della relazione di un professionista indipendente che “attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano e, in caso di concordato in continuità, che il piano è atto ad impedire o superare l'insolvenza del debitore, a garantire la sostenibilità economica dell'impresa e a riconoscere a ciascun creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello che riceverebbe in caso di liquidazione giudiziale”.

L'obbligo in capo all'attestatore di esprimere un giudizio professionale anche sul superamento dell'insolvenza e sulla sostenibilità economica dell'impresa nell'ambito di un piano di concordato in continuità costituisce una novità assoluta nel codice della crisi, aggiungendosi alle due tipiche direttrici dell'attestazione, rappresentate dal giudizio sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano.

In questo quadro, ci si propone di analizzare in chiave sistematica i concetti espressi dalla norma (crisi, insolvenza, sostenibilità) nel tentativo di coordinare i vari piani rispetto ai quali dovrà essere emesso il giudizio del professionista indipendente.

Crisi, insolvenza e dissesto

Le prescrizioni dell'art. 87 comma 3, c.c.i.i.si inseriscono nella prospettiva del codice della crisi, il cui obiettivo è quello di favorire l'emersione tempestiva della crisi e di agevolarne la soluzione mediante strumenti che consentano di prevenire l'insolvenza e di rilanciare le attività ancora sostenibili dal punto di vista economico.

Nell'ottica della tempestiva rilevazione e superamento delle situazioni di difficoltà economica, finanziaria e patrimoniale, il codice delinea un'ampia casistica delle situazioni di crisi: i) ci si può trovare in condizioni di pre–crisi come richiamate dall'art. 12 c.c.i.i.; ii) di crisi definita come probabilità di insolvenza, ravvisabile in funzione della inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici rispetto alle obbligazioni nei successivi dodici mesi [art. 2 comma 1, lett. a), c.c.i.i.]); iii) di insolvenza vera e propria [art. 2 comma 1, lett. b), c.c.i.i.].

Nell'ambito della nuova disciplina della crisi di impresa esistono, dunque, diversi stadi di difficoltà finanziaria, che permettono alla società di intercettare situazioni di squilibrio caratterizzate da diversi gradi di gravità e di definitività della condizione.

Per quanto concerne la pre–crisi (riferimenti alla probabilità di crisi si trovano all'interno dell'art. 12 comma 1, c.c.i.i.in tema di condizioni di accesso alla composizione negoziata, laddove si richiede il sussistere in capo all'imprenditore di “condizioni di squilibrio patrimoniale o economico – finanziario che ne rendono probabile la crisi o l'insolvenza”), questa costituisce una fase propedeutica caratterizzata dalla probabilità di crisi ovvero una situazione di squilibrio indotta da fattori interni od esterni all'impresa potenzialmente in grado di provocare l'eventuale prossima crisi (Ranalli, Alcune riflessioni aziendalistiche sulla viability of the business della Direttiva Insolvency, con particolare (ma non esclusivo) riguardo al concordato in continuità, in DC, 2 gennaio 2023, che richiama E. La Marca, Insolvenza, crisi e pre-crisi nel Codice della crisi, a valle della emanazione del Decreto Attuativo della Direttiva Insolvency, in DC, 22 agosto 2022).

Per crisi, invece, ai sensi dell'art. 2 c.c.i.i., si intende “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. La crisi viene, dunque, definita come una situazione di difficoltà finanziaria prospettica. Si avvicina al concetto di crisi il fenomeno della insolvenza c.d. prospettica, elaborato in dottrina e giurisprudenza nei termini di una situazione di squilibrio che in un futuro prossimo potrebbe portare alla sostanziale incapacità dell'impresa di far fronte alle obbligazioni programmate.

A livello finanziario la manifestazione acuta della crisi è rappresentata dall'insolvenza, che l'art. 2 c.c.i.i.definisce come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le obbligazioni”. Anche la giurisprudenza, nell'ambito di diverse pronunce della Cassazione, ha fornito una propria definizione, descrivendo l'insolvenza come “uno stato di impotenza funzionale non transitoria a soddisfare le obbligazioni inerenti all'impresa e si esprime nell'incapacità di produrre beni con margine di redditività da destinare alla copertura delle esigenze dell'impresa, nonché nell'impossibilità di ricorrere al credito a condizioni normali, senza rovinose decurtazioni del patrimonio” (ex multis Cass. n. 7087/2022; Cass. n. 6978/2019) ovvero come una “situazione d'impotenza strutturale e non soltanto transitoria, a soddisfare regolarmente e con mezzi normali le proprie obbligazioni a seguito del venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie alla relativa attività” (ex multis Cass. 5 marzo 2019, n. 15572).

L'insolvenza coincide con lo stato di illiquidità dovuto all'incapacità dell'impresa di generare nel breve termine i flussi finanziari in grado di soddisfare regolarmente le obbligazioni contratte.

L'insolvenza può a sua volta essere inquadrata nella categoria della c.d. insolvenza irreversibile, intesa come una “condizione di impotenza economica nella quale l'imprenditore non è in grado di adempiere regolarmente con normali mezzi solutori le proprie obbligazioni per il venir meno della liquidità finanziaria e della disponibilità di credito necessari per lo svolgimento della sua attività” (Cass. 27 maggio 2015, n. 10952) ovvero come “una previsione negativa sulla possibilità che i crediti dell'impresa possano trovare integrale soddisfazione” (Trib. Milano, 3 ottobre 2019).

Ma l'insolvenza può anche essere ricondotta alla categoria della c.d. insolvenza reversibile, la quale consiste in uno stadio di profonda crisi che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori, in presenza peraltro di concrete prospettive di risanamento (art. 21 comma 1, c.c.i.i.: “… quando nel corso della composizione negoziata, risulta che l'imprenditore è insolvente ma esistono concrete prospettive di risanamento”). “L'insolvenza reversibile si presenta, infatti, in circostanze rarefatte e interstiziali di imprese ancora sane e vitali dal punto di vista strategico e con modelli di business ancora coerenti, quindi competitive e forse in relativo equilibrio economico, che pur tuttavia presentano situazioni di insolvenza, ma non fatalmente definitiva” (P. Bastia, Le condizioni oggettive – pre-crisi, crisi, insolvenza, insolvenza reversibile, Biblioteca Eutekne, novembre 2022). 

Lo stadio patologico della crisi finanziaria, nel senso della sua irreversibilità, è invece riconducibile al concetto di dissesto, che rappresenta uno stato di inarrestabile declino reddituale e di crisi finanziaria ai quali si somma una condizione di incapienza delle attività patrimoniali rispetto alle passività contratte per finanziare l'esercizio dell'impresa. Il concetto di dissesto, a differenza di quello di crisi e di insolvenza, non presentando una definizione legale nell'ambito del nuovo codice della crisi, è stato oggetto di diverse ricostruzioni dottrinali e giurisprudenziali, che lo definiscono come una “situazione di squilibrio economico-patrimoniale progressivo ed ingravescente che, se non fronteggiata con opportuni provvedimenti o con la presa d'atto dell'impossibilità di proseguire l'attività, può comportare l'aggravamento inarrestabile della situazione debitoria, con conseguente incremento del danno” (Cass. 21 maggio 2020, n. 15652; Cass. 25 maggio 2011, n. 32899; Trib. Vicenza 25 maggio 2022, n. 239).

In definitiva, mentre la crisi e l'insolvenza possono essere misurate in termine di flussi ed esprimono con differenti livelli di gravità una situazione di tensione finanziaria (i flussi di cassa generati dall'impresa sono, cioè, insufficienti a far fronte agli esborsi connessi all'adempimento delle obbligazioni), il dissesto trova espressione nel deficit patrimoniale nel quale il valore complessivo delle attività (impieghi) è insufficiente a garantire il rimborso delle relative fonti di finanziamento.

Insolvenza e dissesto rappresentano, tra i possibili effetti di una crisi aziendale, le sintomatologie più acute e sono tipicamente osservabili ex post in un quadro di ormai ridotta capacità di “reazione”.

Sostenibilità economica dell'impresa

I concetti richiamati nel precedente paragrafo attengono al profilo patologico della dimensione finanziaria dell'impresa. Essi vanno ora coordinati rispetto al profilo della sostenibilità economica richiamato dal terzo comma dell'art. 87 c.c.i.i.

La sostenibilità economica (“viability of the business”) rappresenta un termine che innerva le previsioni della Direttiva Insolvency 1023/2019 e risulta frequentemente richiamato quale presupposto fondante l'utilizzo dei quadri di ristrutturazione preventiva.

Ed infatti, uno degli obiettivi dichiarati della Direttiva 1023/2019 è quello di favorire l'emersione tempestiva della crisi attraverso strumenti di allerta precoce (richiamati in particolare nel “considerando” 22 e nell'art. 3 della Direttiva) e di agevolare la soluzione della crisi mediante strumenti che consentano di prevenire l'insolvenza e di rilanciare le attività ancora sostenibili dal punto di vista economico (considerando 1 e 3 della Direttiva).

Per le imprese in difficoltà finanziaria senza prospettive di sostenibilità economica (considerando 3), la Direttiva sollecita interventi normativi a livello nazionale che privilegino la rapidità del processo liquidatorio (quindi, l'impresa in difficoltà o viene salvata se ci sono prospettive di risanamento oppure va liquidata rapidamente minimizzando l'impatto delle perdite per il sistema, consentendo eventualmente all'imprenditore una seconda chance).

Nel profilo aziendalistico, il concetto di sostenibilità economica attiene alla sfera reddituale e richiama l'esigenza che l'attività caratteristica dell'impresa sia prima di tutto in grado di produrre redditi positivi. In questa prospettiva la sostenibilità economica si sovrappone o comunque presenta un rapporto di derivazione diretta dal concetto di continuità aziendale (P. Bastia, La sostenibilità economica nel concordato in continuità aziendale, in DC, 15 giugno 2023) definita come la “capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito per un prevedibile arco temporale futuro” (OIC 11).

Se dunque il concetto di sostenibilità economica si riallaccia in prima battuta a quello più generale della continuità aziendale e, quindi, della capacità dell'impresa di continuare ad operare nel mercato di riferimento attraverso un modello di business a sua volta “sostenibile”, a parere dello scrivente la sostenibilità economica non può costituire un parametro da valutare in termini “assoluti”, bensì in termini di rapporto con l'altra grandezza che condiziona l'andamento finanziario di un'impresa. L'andamento economico va cioè rapportato all'esposizione debitoria dell'impresa e pertanto la valutazione sulla sostenibilità economica si intreccia con quella relativa alla sostenibilità del debito.

In particolare, il concetto di sostenibilità del debito si riallaccia alla possibilità che i flussi di cassa operativi dell'impresa (Free Cash Flow from Operations – FCFO), al netto degli investimenti di mantenimento, degli interessi sul debito finanziario autoliquidante e del carico fiscale, siano a regime in grado di consentire il servizio del debito finanziario.

Il rapporto FCFO/debito può essere osservato lungo differenti orizzonti temporali:

- Orizzonte di breve termine (sei mesi-1 anno);

- Orizzonte di medio termine (1-5 anni);

- Orizzonte di lungo termine (oltre 5 anni).

A seconda dell'orizzonte temporale può cambiare il parametro di riferimento e lo strumento di misurazione utilizzato.

Ad esempio, nella prospettiva di breve termine, nella quale il rapporto tra flussi e debiti finanziari deve risultare tendenzialmente pari o superiore all'unità, un indicatore molto utilizzato per il controllo di sostenibilità dell'indebitamento finanziario è il Debt Service Coverage Ratio (DSCR) (CNDCEC, “Crisi di impresa, gli indici di allerta”, 20 ottobre 2019).

Nella prospettiva di medio-lungo termine, invece, l'esame delle condizioni finanziarie dell'impresa richiede il ricorso a indicatori espressivi delle condizioni di solidità patrimoniale e di solvibilità dell'impresa, tra i quali ricorrono: a) l'indice di indebitamento (PFN/PN), che evidenzia il grado di dipendenza dell'impresa da terzi finanziatori; b) il rapporto posizione finanziaria netta/margine operativo lordo (PFN/MOL), che esprime la capacità e i tempi di rimborso del debito finanziario tramite le risorse prodotte dalla gestione operativa; c) il rapporto debito operativo/oneri finanziari (RO/OF), il quale segnala la capacità dell'impresa di garantire, tramite le risorse generate dall'attività operativa, la copertura degli oneri finanziari relativi a debiti verso terzi finanziatori.

Dall'andamento di questi indicatori non è possibile ricavare valori universalmente accettabili che offrano la prova diretta e conclusiva in ordine alla sostenibilità del debito nel medio/lungo termine. Piuttosto, la conferma di tale stato deriva dalla constatazione di valori degli indicatori riconosciuti come idonei ad attribuire il merito di credito e in linea con quelli riferiti ad imprese in bonis comparabili (in termini di settore, dimensione, struttura degli investimenti).

Pertanto, alla luce di tutto quanto sopra esposto, è possibile affermare che la c.d. “viability of the business” costituisce una particolare manifestazione della continuità aziendale, che si caratterizza per la capacità dell'impresa di perdurare sul mercato realizzando margini reddituali positivi e compatibili - sia nel breve che nel medio/lungo periodo - con un determinato livello di indebitamento finanziario.

Superamento dell'insolvenza e sostenibilità economica nell'attestazione del professionista indipendente ex art. 87 comma 3, c.c.i.i.

Riprendendo quanto disposto dal terzo comma dell'art. 87 c.c.i.i., il professionista indipendente è dunque chiamato, nell'ambito dei soli piani di concordato in continuità aziendale, ad attestare, oltre alla veridicità dei dati aziendali e alla fattibilità del piano, anche la capacità di quest'ultimo di “impedire o superare l'insolvenza del debitore” e di “garantire la sostenibilità economica dell'impresa”.

a) Impedire o superare l'insolvenza del debitore.

Tenendo in considerazione le definizioni di crisi ed insolvenza più sopra esposte, affinché un piano in continuità sia idoneo ad “impedire l'insolvenza”, occorre che l'impresa debitrice si trovi in uno stadio di squilibrio finanziario meno grave dell'insolvenza, coincidente con quello della crisi ovvero dell'insolvenza prospettica. Il superamento dell'insolvenza, invece, presuppone un precedente stato di insolvenza reversibile.

In tutti i casi (piano diretto ad impedire l'insolvenza, oppure a superare la crisi o l'insolvenza reversibile), il giudizio dell'attestatore dipenderà dall'accertamento della fattibilità del piano rispetto all'obiettivo di ristrutturazione/risanamento dell'esposizione debitoria (esistente nella fase di avvio del piano).

b) Garantire la sostenibilità economica dell'impresa.

La capacità del piano di impedire o superare la crisi/insolvenza del debitore rappresenta un concetto dinamico che deve essere verificato dall'attestatore non solo rispetto allo stock di debito oggetto di ristrutturazione, ma anche rispetto all'indebitamento che fisiologicamente verrà contratto dall'impresa nell'arco del piano e al termine di esso.

In altri termini, se il piano è improntato alla continuità aziendale, l'attestatore dovrà accertare che l'obiettivo di risanamento dei debiti possa essere raggiunto congiuntamente a quello del riequilibrio economico-finanziario.

Quest'ultimo concetto (equilibrio economico-finanziario) si salda con quello della sostenibilità economica dell'impresa e del correlato profilo di sostenibilità dell'indebitamento. Nel senso che un piano fattibile dovrà fornire l'evidenza di risultati reddituali (e di correlati flussi di cassa) tali da consentire la sostenibilità del debito a fine piano (normalmente non coincidente con quello di inizio piano salvo che in relazione a posizioni ristrutturate mediante rimodulazione delle scadenze). Ciò al fine di evitare fenomeni di mero slittamento temporale della crisi/insolvenza anziché ottenerne la soluzione.

Quindi, nel profilo operativo, il professionista indipendente dovrà porre massima attenzione al fatto che l'andamento dell'impresa desumibile dal piano presenti, anche alla luce di possibili scenari avversi, le seguenti caratteristiche:

a)            sia in grado di contenere nel breve periodo il divario tra entrate ed uscite monetarie (si tratta, in sostanza, del controllo di tesoreria), così escludendo il rischio di peggioramento delle condizioni di liquidità nel breve termine;

b)           presenti condizioni di solvibilità nel medio lungo-termine, assicurate da un andamento reddituale e dalla produzione di flussi di cassa compatibili con l'esigenza di remunerare e procedere al rimborso dell'indebitamento di natura finanziaria;

c)            manifesti al termine del piano una struttura finanziaria (definita dal mix delle fonti di finanziamento acquisite a titolo di capitale proprio o capitale di credito) solida (in termini di indipendenza dai terzi finanziatori) e coerente con la struttura degli investimenti (in capitale fisso e in capitale circolante).

I controlli sopra indicati vanno opportunamente declinati e limitati con riguardo ai concordati in continuità “indiretta”. In tal caso, ad esempio nell'ipotesi di continuità attuata mediante affitto e successiva cessione dell'azienda in esercizio, la verifica del superamento delle condizioni di crisi/insolvenza è riferita alla società debitrice e non all'affittuario/cessionario.

Allo stesso modo le analisi sulla sostenibilità economica dei piani di concordati in continuità indiretta c.d. prepackaged assumono significato nei limiti della loro correlazione con le prospettive di soddisfacimento dei creditori.  In tal caso, le analisi del professionista indipendente saranno prioritariamente indirizzate alla acquisizione di elementi dimostrativi della solvibilità del cessionario, piuttosto che ai profili di sostenibilità economica del piano elaborato dal cessionario e che sorregge il corrispettivo indicato nell'offerta d'acquisto.

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