I limiti della responsabilità solidale del socio di s.r.l. con l’organo amministrativo

15 Maggio 2024

Il contributo analizza la portata dell'art. 2476, comma 8, c.c., che prevede una particolare ipotesi di responsabilità illimitata del socio di s.r.l., in deroga al principio generale per cui il socio risponde delle obbligazioni nei limiti di quanto conferito.

Introduzione

La regola, secondo la quale il socio di una società di capitali risponde delle obbligazioni sociali nei limiti dei soli conferimenti dallo stesso effettuati, subisce una rilevante eccezione nelle società a responsabilità limitata nell'ambito della fattispecie disciplinata dall'art. 2476, comma 8, c.c.- Tale norma prevede una particolare ipotesi di responsabilità illimitata del socio, in solido con gli amministratori, allorquando questi abbia intenzionalmente concorso a decidere o ad autorizzare l'organo gestorio al compimento di singoli atti dannosi per la società, i soci o i terzi.  

Con la sentenza Cass. n. 19191/2023, pubblicata lo scorso 6 luglio, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla portata della previsione normativa in parola, in relazione ad un caso in cui i due soci di una s.r.l., poi fallita, avevano permesso alla società di operare dopo il decorso del termine di durata, in violazione del disposto di cui all'art. 2484, comma 1, n. 1 c.c., cosicché la stessa ha potuto concludere due contratti d'appalto con delle società terze che avrebbero aggravato lo stato di dissesto.

La responsabilità solidale del socio di s.r.l.

La ratio dell'art. 2476, comma 8, c.c., che estende la responsabilità proprie degli amministratori anche ai soci della s.r.l., che hanno intenzionalmente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi”, è da rinvenire nelle caratteristiche proprie dello schema societario della s.r.l.

Com'è noto, tra i “tipi” di società di capitali disciplinati dal codice civile, la società a responsabilità limitata è quella maggiormente connotata dalla centralità della persona dei soci (ovvero caratterizzata dal c.d. “intuitus personae”) e dai rapporti tra loro intercorrenti. Solitamente la base sociale è solida e poco mutevole (c.d. “chiusa”), così da contrapporsi nettamente a quella più dinamica della società per azioni. Tanto è vero che, a conferma della rilevanza della personalità dei soci nella s.r.l., il codice civile prevede che il loro coinvolgimento nell'attività sociale possa andare oltre alla semplice partecipazione mediante l'espressione del proprio assenso e/o assenso tramite votazione in sede assembleare (ovvero nelle altre forme statutarie alternative): l'art. 2468, comma 3, c.c. disciplina espressamente la facoltà di introdurre nell'atto costitutivo delle s.r.l. in capo ai singoli soci l'attribuzione di particolari diritti riguardanti l'amministrazione societaria.

Alla luce delle peculiarità appena ricordate, il legislatore ha ritenuto necessario prevedere per la sola società a responsabilità limitata una norma volta a disciplinare specificamente quei casi in cui i soci vadano ad ingerirsi nella gestione d'impresa (come è stato ben messo in luce da una recente pronuncia del Tribunale di Napoli, 20 ottobre 2022, n. 9266, in giurisprudenzadelleimprese.it, la norma in esame “letta congiuntamente alle disposizioni sulla responsabilità da abuso di direzione e coordinamento, artt. 2497 ss., disciplina il fenomeno della “eterogestione” nelle società, costituendo il fondamento giuridico dell'ammissibilità della responsabilità dei cosiddetti gestori di fatto delle società di capitali), non solo in forza di una clausola contenuta nell'atto costitutivo, ma anche qualora – a fronte della ricordata natura personalistica della società – gli stessi si occupino “di fatto” dell'amministrazione dell'azienda, concorrendo con gli amministratori – con la propria deliberazione o esplicita autorizzazione – al compimento di specifici atti dannosi per la società (si veda, in senso conforme: Trib. Salerno, 9 marzo 2010).

Tanto detto, il fine dell'art. 2476, comma 8, c.c. è evidente: responsabilizzare l'operato di tali soggetti, i quali – altrimenti – si troverebbero ad assumere un ruolo attivo nella gestione della società, in concorso con l'organo amministrativo, in una condizione di sostanziale impunibilità, ovvero senza assumersi alcun di dover rispondere del c.d. “rischio di amministrazione” (in questo senso, V. Pandolfini, S.r.l.: quando i soci rispondono illimitatamente per atti di gestione degli amministratori?,  in Diritto Societario, 23 agosto 2022).

Si precisa che la responsabilità in parola richiede la dimostrazione dell'elemento soggettivo del dolo, dovendo essere intenzionale la riferibilità psicologica dell'atto in capo ai soci: nell'accezione (i) si voglia della consapevolezza dell'intrinseca antigiuridicità del fatto (frutto di conoscenza o di esigibile conoscibilità), (ii) oppure dell'esercizio abusivo di un atto di per sé lecito, poiché esercitato in violazione dello scopo posto dal contratto sociale (così, Trib. Roma, Sez. Imprese, 1 giugno 2016).

Ne deriva che la mera volontà dei soci di ingerirsi nella gestione della società non potrà mai risultare di per sé sufficiente ad integrare la specifica connotazione soggettiva richiesta dalla norma come sopra ricostruita.

La pronuncia della Cassazione

La Corte di Cassazione (Cass. civ., n. 19191/2023) si è posta in continuità con le pronunce delle Corti di merito ricordate nel paragrafo precedente, mettendo bene in luce come la responsabilità ex art. 2476, comma 8, c.c. non preveda in alcun modo il coinvolgimento tout court dei soci delle s.r.l. nella responsabilità solidale con gli amministratori per ogni atto di mala gestio da questi perpetrato nel corso del mandato, né – tantomeno – imponga in capo ai medesimi soci un generico – e non normato – dovere di vigilanza sull'organo gestorio.

La disposizione in esame non deve essere interpretata estensivamente così da rendere i soci una sorta di “co-gestori” della società, in quanto tali responsabili “di fatto” dell'intera gestione, ma intende al contrario farli chiamare a rispondere per tutti i distinti atti dannosi degli amministratori, che siano frutto di un'intenzionale induzione da parte di questi.

È, pertanto, evidente la distinzione della presente fattispecie con quella molto più ampia rappresentata dall'amministrazione c.d. “di fatto” dei soci non amministratori, ovvero dall'ingerenza continuata e globale dei soci nella gestione dell'impresa.

A tale proposito, si riporta un significativo passaggio della sentenza in commento, che descrive la corretta interpretazione e portata degli “atti dannosi” cui l'art. 2476, comma 8, c.c.: Si tratta, quindi, di atti che indubbiamente palesano un qualche coinvolgimento od ingerenza nella stessa gestione societaria: ma, al di fuori del caso in cui sia ravvisabile in capo al socio anche una posizione di c.d. amministratore di fatto - ossia tale da coinvolgerlo nella intera gestione societaria, in tutta la sua complessità verso l'interno e verso i terzi - egli potrà rispondere solo con riguardo all'atto o agli atti, come specificamente decisi o autorizzati. Ciò che si richiede, quindi, sia pure non soltanto nelle sedi ufficialmente deputate alla manifestazione di volontà dei soci, è una effettiva influenza sull'attività gestoria, in uno dei modi che la legge stessa menziona, in quanto al socio possa imputarsi il coinvolgimento diretto nell'assunzione di scelte gestorie pregiudizievoli.”

Sulla scorta di tale ricostruzione normativa, la Corte di Cassazione ha statuito in merito al caso in esame, consistente in un'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2476, comma 8 (allora VII comma), c.c., intentata nei confronti di due soci di una s.r.l. da parte di un Fallimento. In particolare, la Procedura ricorrente lamentava il mancato riconoscimento nel corso di due gradi di giudizio della responsabilità in capo ai due soci per non essersi attivati tempestivamente avanti il Tribunale competente per ottenere l'emissione di un decreto che dichiarasse lo scioglimento della società, allora in bonis, per decorso del termine ai sensi dell'art. 2484, comma 1, n. 1, c.c., ma anzi questi avessero concesso all'amministratore di continuare ad operare in una condizione di grave irregolarità, pur nella consapevolezza dello stato di sottocapitalizzazione della società, con asserito aggravio del dissesto.

La Suprema Corte ha escluso che la legittimazione attiva dei soci, prevista dal II comma dell'art. 2485 c.c., di far accertare e dichiarare giudizialmente mediante un procedimento camerale innanzi al Tribunale il verificarsi dell'avvenuta causa di scioglimento della società, rappresenti un obbligo di legge specificamente sanzionato da responsabilità in caso di omissione quanto, piuttosto, un potere sostitutivo.

Ed invero, l'art. 2486, comma 2, c.c., in combinato disposto con il precedente art. 2485, comma 1, c.c. dispone espressamente che i soli soggetti responsabili dei danni arrecati alla società e ai terzi per atti o omissioni compiuti a causa della mancata attivazione “senza indugio” a fronte della manifestazione di una causa di scioglimento della società siano personalmente e solidalmente i soli amministratori. 

Non ravvisando nel caso in esame gli specifici elementi fondanti della responsabilità di cui all'art. 2476, comma 8, c.c. – in particolare la presenza di un concorso omissivo con l'organo amministrativo –, la Corte di Cassazione ha correttamente statuito che dal mancato esercizio di tale potere sostitutivo non possa in alcun modo conseguire alcuna condanna a tale titolo nei confronti dei soci.

Considerazioni conclusive

Del tutto correttamente, inoltre, la Suprema Corte ha confermato la responsabilità dei soci ai sensi dell'art. 2476, comma 8, c.c., per la ben distinta condotta consistente nell'avere i soci partecipato come progettista e direttore lavori di un appalto eseguito dalla società successivamente alla scadenza del termine di durata.

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