Unioni civili e mutamento di sesso: no allo scioglimento automatico del vincolo

15 Maggio 2024

La sentenza in commento dichiara correttamente l'illegittimità della disciplina, contemplata nella l. 76/2016. che prevede l'automatico scioglimento dell'unione civile a seguito di rettificazione del sesso di uno dei due componenti, pure quando entrambi abbiano inteso mantenere, sotto diversa forma, il vincolo tra loro contratto. 

Massima

Sono costituzionalmente illegittimi:

a) l'art. 1 comma 26, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell'unione civile senza prevedere, laddove l'attore e l'altra parte dell'unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, l'intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione;

b) l'art. 70-octies, comma 5, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (ordinamento dello stato civile) aggiunto dall'art. 1, d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, nella parte in cui non prevede che l'ufficiale dello stato civile competente, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso, proceda ad annotare, se disposta dal giudice, la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento dell'unione civile fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

Il caso 

Il Tribunale di Torino, nel corso di un giudizio di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso, richiesto di pronunciarsi sulla trasformazione in matrimonio dell'unione civile contratta dal richiedente con altro soggetto, solleva questione di legittimità costituzionale, tra l'altro: a) dell'art. 1, comma 26, l. n. 76/2016, che dispone che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, senza prevedere la possibilità della conversione del vincolo in matrimonio per dichiarazione congiunta delle parti; b) dell'art. 70 comma 5, d.P.R. 396/2000, introdotto dall'art. 7, d.lgs. n. 5 del 2017, per cui l'ufficiale dello stato civile, ricevuta la comunicazione della sentenza di rettificazione di sesso, nel cui giudizio le parti abbiano manifestato la volontà di convertire il matrimonio in unione civile, procede all'iscrizione della stessa e alle eventuali annotazioni relative al regime patrimoniale e alla scelta del cognome della coppia, mentre ciò non è previsto per la simmetrica ipotesi di rettificazione di sesso di persona civilmente unita.

Il tutto per dedotto contrasto con gli artt. 2,3 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 Cedu.

La Corte costituzionale dichiara fondate entrambe le questioni.

La questione

È conforme alla Costituzione la disciplina per cui, in caso di rettificazione di sesso di persona civilmente unita con altra, prevede lo scioglimento automatico dell’unione, escludendone la conversione in matrimonio, qualora entrambe le parti intendano mantenere in essere il vincolo con diversa forma giuridica, tenuto conto della diversa disciplina quando la rettificazione di sesso riguarda uno dei due coniugi, legati in matrimonio?

Le soluzioni giuridiche

Con sentenza n. 170/2014 la Corte costituzionale aveva dichiarato l'illegittimità, per contrasto con l'art. 2 Cost., degli artt. 2 e 4 della legge n. 164/1982, nella parte in cui contemplavano il c.d. divorzio imposto, quale effetto automatico della declaratoria di rettificazione di sesso di un coniuge, per l'impossibilita di configurare un matrimonio tra persone del medesimo genere. Nel contempo, la Consulta aveva rivolto un espresso monito al legislatore perché consentisse ai coniugi, che avessero manifestato volontà in tal senso, di non sciogliere automaticamente il matrimonio, ma «di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore»

Per effetto di quella sentenza la Corte di cassazione, che aveva sollevato la questione di costituzionalità, dichiarava che, pur a fronte della rettificazione del sesso di uno dei coniugi, il vincolo coniugale dovesse nella specie permanere, con conservazione alle parti del riconoscimento dei diritti e doveri conseguenti al matrimonio, sino a quando il legislatore non fosse intervenuto per disciplinare la materia (Cass. 21 maggio 2015, n. 8097, S. Molfino, Il mantenimento degli effetti del matrimonio in caso di rettifica del sesso di un coniuge, in IUS Famiglie). Si dava così ingresso ad una singolare fattispecie di matrimonio a termine, in contrasto con i principi istituzionali per i quali il matrimonio, quale actus legitimus, non tollera gli elementi accessori della condizione e del termine.

La successiva l. 76/2016 sulle unioni civili (e le convivenze), la cui emanazione era oramai indifferibile, tenuto anche conto delle plurime condanne irrogate dalla Cedu all'Italia, ha recepito il sollecito della Consulta ed è intervenuta in merito.

Come noto, l'art. 1 comma 27 di detta legge dispone che alla rettificazione anagrafica di sesso consegue l'automatica conversione del matrimonio in unione civile, qualora entrambi i coniugi abbiano a manifestare la volontà di non sciogliere il vincolo. Conseguentemente, l'art. 7, d.lgs. n. 5/2017 ha introdotto all'interno dell'art. 31, d.lgs. n. 150/2011, il comma 4-bis, consentendo ai coniugi di manifestare, nel giudizio di rettificazione anagrafica e fino al momento della precisazione delle conclusioni, la volontà di non sciogliere il matrimonio o di non farne cessare gli effetti civili, convertendolo in unione civile.

L'art. 1 comma 26 della legge in questione dispone invece che, qualora la rettificazione di sesso riguardi uno dei componenti dell'unione civile, questa si scioglie automaticamente per sopravvenuta mancanza del presupposto dell'identità di sesso delle parti. In altri termini, si esclude la conversione del vincolo in matrimonio. La previsione è certamente rappresentativa di come, per il legislatore, il legame matrimoniale meriti un favor rispetto a quello derivante da un'unione civile. La sopravvenuta diversità di genere tra le parti già civilmente unite potrà se mai consentire alle stesse, ove lo intendessero, di rinnovare il vincolo, celebrando un matrimonio. Vero è però che si verrebbe a determinare sempre uno iato temporale tra i due vincoli, con tutte le possibili conseguenze: una delle due parti potrebbe nel frattempo decedere, privando così l'altra del titolo a succedere quale legittimaria; l'eventuale comunione legale si scioglierebbe, ecc.

La dedotta disparità di trattamento aveva già dato luogo ad una prima questione di legittimità costituzionale della disciplina in esame, sollevata dal Tribunale di Lucca con ordinanza del 14 gennaio 2022 ( G. Montalcini, Rettificazione di sesso e mancata conversione in matrimonio dell'unione civile: una questione di legittimità costituzionale, in Ius Famiglie) dichiarata peraltro inammissibile dalla Consulta con sentenza 27 dicembre 2022 n. 269, per difetto di attualità e concretezza.

La pronuncia in esame, di contro, ritiene fondata la duplice questione di costituzionalità, sollevata dal Tribunale di Torino, ancorchè con riferimento al solo parametro dell'art. 2 Cost., escludendo espressamente un contrasto con l'art. 3 Cost ed implicitamente con l'art. 117 Cost., in relazione alla normativa CEDU. Di conseguenza, dopo aver negato lo scioglimento automatico dell'unione civile, elabora, in modo additivo, la regula juris da applicare nella fattispecie: là dove, nel procedimento di rettificazione di sesso, l'attore e l'altra parte dell'unione civile rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all'udienza di precisazione delle conclusioni, l'intenzione di contrarre matrimonio, il giudice dovrà disporre la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione. Si tratta di un'interpretazione analogica del termine massimo per contrarre matrimonio a far data dalla pubblicazione, contemplato nell'art. 99 c.c.

Osservazioni

La sentenza in commento dichiara correttamente l'illegittimità della disciplina, contemplata nella l. 76/2016. che prevede l'automatico scioglimento dell'unione civile a seguito di rettificazione del sesso di uno dei due componenti, pure quando entrambi abbiano inteso mantenere, sotto diversa forma, il vincolo tra loro contratto. Occorre peraltro evidenziare come la Consulta sia pervenuta a tale conclusione, escludendo già in limine il dedotto contrasto della disciplina in questione con l'art. 3 Cost., avendo cura di precisare che «il rapporto coniugale si configura come un vincolo diverso da quello che ha fonte nell'unione civile, e non può essere ad esso assimilato perché se ne possa dedurre l'impellenza costituzionale di una parità di trattamento». Precisa infatti come la disciplina delle unioni civili, per quanto abbia attinto a quella del matrimonio, sia connotata da significative differenze, sia nella costituzione, sia nello scioglimento del vincolo, analiticamente individuate, conseguenti alla diversa copertura costituzionale del modello familiare: l'art. 29 per il matrimonio e l'art. 2 per le unioni civili (per quanto anche il matrimonio non possa non ritenersi ricompreso fra quelle formazioni sociali, cui si riferisce l'art. 2 Cost.). Viene così giustificata la disparità di disciplina tra matrimonio ed unione civile, in caso di mutamento di sesso di una delle parti del vincolo, che, ad avviso condivisibile del Giudice a quo, appariva invece rilevante già in relazione agli artt. 3 e 117 Cost., quest'ultimo con riferimento agli artt. 8 e 14 CEDU.

Non si è pertanto in presenza di un (auspicato) passo avanti, in vista del matrimonio egualitario, che oramai è stato introdotto in molti ordinamenti, non solo dell'Unione europea. Il matrimonio in Italia rimane rigorosamente accessibile solo ad un uomo e una donna, come la pronuncia indirettamente conferma.

La Consulta, come anticipato, ritiene sussistente la (più agevole) violazione dell'art. 2 Cost. (norma richiamata espressamente nell'art. 1 comma 1 della l. 76/2016), dopo aver caldeggiato «nuove letture dei più tradizionali istituti del diritto civile», quali l'adozione nelle sue varie declinazioni, per adattarsi a nuove funzionalità. Ciò nel ben noto presupposto per cui «l'unione civile costituisce una formazione sociale in cui i singoli individui svolgono la propria personalità, connotata da una natura solidaristica non dissimile da quella propria del matrimonio, in quanto comunione spirituale e materiale di vita, ed esplicazione di un diritto fondamentale della persona, quello di vivere liberamente una condizione di coppia, con i connessi diritti e doveri». L'esercizio di detto diritto subirebbe peraltro un vuoto di tutela nel tempo necessario per ricostituire, nelle forme del matrimonio, un vincolo, sorto come unione civile e poi sciolto all'esito del percorso di transizione sessuale di uno dei componenti della coppia, ove sia manifestata la volontà comune di conservare il rapporto giuridico instaurato.

Osserva all'uopo la Consulta che detto vuoto di tutela «nel passaggio da una relazione giuridicamente riconosciuta, qual è quella dell'unione civile, ad altra, qual è il legame matrimoniale, entra irrimediabilmente in frizione con il diritto inviolabile della persona alla propria identità, di cui pure il percorso di sessualità costituisce certa espressione, e comporta un sacrificio integrale del pregresso vissuto». L'osservazione è molto pregnante, ben oltre quello che potrebbe apparire: il diritto inviolabile all'identità personale si struttura anche come diritto all'identità sessuale, per armonizzare nella persona affetta, come nella specie, da disforia di genere, soma e psiche.

Nel contempo, la Corte evidenzia come, nel tempo necessario alla ricostituzione della coppia secondo nuove forme legali, i componenti della disciolta unione civile potrebbero risentire di eventi destinati a precludere in modo irrimediabile la costituzione del nuovo vincolo, con compromissione del diritto inviolabile alla titolarità di uno status familiae corrispondente ai desiderata.

Dopo la “demolizione” di una disciplina costituzionalmente viziata, la Corte si sostituisce al legislatore per ricercare, de jure condito, il regime da applicare, in presenza del vuoto normativo creatosi. Sarebbe allora quantomai auspicabile che una tale capacità di intervento venisse utilizzata anche in altri delicati settori afferenti diritti inviolabili della persona nelle relazioni familiari, come quelli relativi al riconoscimento della bigenitorialità per i figli delle coppie same sex; i pressanti inviti rivolti al legislatore, ancora con le sentenze Corte cost. n. 32 e 33/2021, sono rimasti infatti lettera morta.

La sentenza in esame ritiene doversi richiamare la disciplina dell'art. 99 c.c., per cui il matrimonio deve essere celebrato entro 180 giorni dalla pubblicazione (termine la cui inosservanza non incide sulla validità del matrimonio, ma determina solo l'applicazione della sanzione di cui all' art. 138 c.c.). Nel caso di specie, il passaggio in giudicato della sentenza di autorizzazione alla rettificazione del sesso anagrafico si porrebbe come dies a quo, per la decorrenza del suddetto termine entro il quale la coppia che, nel procedimento di rettificazione, abbia ritualmente dichiarato di volersi sposare, lo potrà fare. Fino a quella data, pur in presenza di un giudicato di rettificazione di sesso, permane in essere il vincolo di unione civile (oramai peraltro intercorrente fra persone di sesso diverso); esso potrà convertirsi, senza interruzione di continuità, in matrimonio, se questo verrà celebrato tempestivamente: le parti manterranno così in essere il vincolo con effetti ex tunc ed il regime patrimoniale di comunione legale continuerà ad essere operativo. Viceversa, ove le parti dell'unione civile non abbiano dichiarato di volersi sposare o, pur avendolo dichiarato, non abbiano rispettato il termine dei 180 giorni, ben potranno contrarre comunque le nozze, ove lo vorranno, ma con efficacia solo ex nunc, dovendosi ritenere sciolto il vincolo pregresso.

In conclusione, la sentenza merita certamente una valutazione positiva, anche se la strada verso il matrimonio egualitario, e dunque la soppressione di ogni disparità di trattamento nell'accesso all'istituto, in ragione dell'orientamento sessuale delle parti, pare ancora molto lunga.

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