La conciliazione giudiziale non è impugnabile e può avere ad oggetto anche diritti indisponibili

16 Maggio 2024

La conciliazione giudiziale garantisce la «qualità» e la «sicurezza» dell'assetto degli interessi che promana dall'atto di conciliazione in quanto la posizione di debolezza contrattuale del lavoratore è garantita dalla presenza del giudice e dal suo difensore.

Massima

La posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione garantista dell'autorità giudiziaria in quanto, per la sua terzietà, vi è il superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, in quanto la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro.

Il caso

La conciliazione giudiziale non può essere successivamente «rimessa in discussione »  in quanto con la stessa si chiude la lite giudiziaria e la posizione del lavoratore viene adeguatamente tutelata.

La Cassazione, con l'ordinanza in commento, ha rigettato il ricorso del lavoratore che sia in primo che in secondo grado era risultato soccombente. In particolare il lavoratore adiva il giudice di primo grado per ottenere l'accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze di una determinata, previa declaratoria di illecita interposizione di manodopera, nonché l'accertamento dello svolgimento di mansioni superiori. Il Tribunale di Milano rigettava le domande rilevando che il lavoratore aveva sottoscritto due verbali di conciliazione, uno in sede sindacale ed uno dinanzi ad un giudice nell'ambito di un diverso giudizio, rinunciando sia alla domanda di costituzione del rapporto di lavoro con la società citata in primo grado che alle pretese economiche relative alle mansioni superiori anelate. Quindi, sostanzialmente, per il tribunale meneghino, era cessata la materia del contendere. Il ricorrente lamentava l'erroneità della decisione e ricorreva in appello. La Corte d'Appello di Milano confermava la decisione di primo grado rilevando che nel verbale di conciliazione giudiziale le parti avevano espressamente dichiarato di aver definito ogni loro rapporto con riferimento al petitum e alla causa petendi e che il lavoratore, con la rinuncia alla domanda di costituzione del rapporto di lavoro con la società interposta, aveva anche ricevuto un corrispettivo. La conciliazione giudiziale non era nulla in quanto ben poteva avere ad oggetto diritti indisponibili. Il lavoratore ricorre, quindi, per Cassazione deducendo, in definitiva, che il verbale di conciliazione giudiziale è nullo perché aveva riguardato diritti indisponibili. La Cassazione ha rigettato il ricorso.  

La questione

La conciliazione giudiziale può avere ad oggetto diritti indisponibili.

La questione in esame è la seguente: la conciliazione giudiziale ha dei «limiti»? il lavoratore è garantito dalla terzietà dell'autorità giudiziaria?

Le soluzioni giuridiche

Il verbale di conciliazione sottoscritto in sede giudiziale può avere ad oggetto anche diritti indisponibili del lavoratore e, pertanto, il negozio processuale è valido ed efficace.

La decisione che si annota è pervenuta alla conclusione di ritenere valido ed efficace il verbale di conciliazione giudiziale che il ricorrente aveva sottoscritto in un diverso giudizio dove, in particolare, aveva rinunziato alla domanda di costituzione del rapporto di lavoro presso la società (presunta) interposta, citata in primo grado nel procedimento giudiziario da cui è poi scaturita l'ordinanza in commento. La Cassazione, in particolare, ha «validato» il ragionamento logico giuridico dei giudici di merito ritenendo che il verbale di conciliazione giudiziale non è nullo in quanto ben può definire un assetto d'interessi comprendente anche diritti indisponibili del lavoratore. E ciò perché la conciliazione avviene dinanzi al giudice e, quindi, dinnanzi ad un giudice terzo ed imparziale e che, quindi, garantisce la libertà di consenso e di autodeterminazione del lavoratore, parte debole del rapporto di lavoro, nei confronti del datore di lavoro. La Cassazione, a sostegno delle proprie argomentazioni, ha richiamato un proprio precedente giurisprudenziale nel quale si afferma che «La conciliazione giudiziale prevista dagli artt. 185 e 420 c.p.c. è una convenzione non assimilabile ad un negozio di diritto privato puro e semplice, caratterizzandosi, strutturalmente, per il necessario intervento del giudice e per le formalità previste dall'art. 88 disp. att. c.p.c. e, funzionalmente, da un lato per l'effetto processuale di chiusura del giudizio nel quale interviene, dall'altro per gli effetti sostanziali derivanti dal negozio giuridico contestualmente stipulato dalle parti, che può avere anche ad oggetto diritti indisponibili del lavoratore; la transazione, invece, negozio anch'esso idoneo alla risoluzione delle controversie di lavoro qualora abbiano ad oggetto diritti disponibili, non richiede formalità ad substantiam » (Cass. civ., sez. lav., 26 ottobre 2017, n. 25472).  

Osservazioni

La conciliazione giudiziale è un negozio processuale complesso che può certamente avere ad oggetto diritti indisponibili.

La conciliazione giudiziale è un negozio processuale complesso che vede come protagonisti l'autorità giudiziaria, le parti e i loro difensori. Si tratta di un negozio a formazione progressiva in quanto la conciliazione sorge da una proposta conciliativa del magistrato procedente (art. 420 c.p.c.) ovvero da una richiesta congiunta delle parti (art.185 c.p.c.). Dopodiché vi sono delle «trattative» con le parti in ordine all'assetto d'interessi che possa essere per loro satisfattivo. Una volta raggiunto l'accordo le parti procedono alla sua sottoscrizione e gli effetti del negozio processuale saranno duplici: a) chiusura definitiva del giudizio con la sua estinzione; b)effetti sostanziali derivanti dall'assetto d'interessi stabilito dalle parti, con i loro difensori, e con l'intervento del giudice. Ed è proprio l'intervento di un organo pubblico, quale l'autorità giudiziaria, che giustifica l'ammissibilità di qualunque oggetto della conciliazione giudiziale. Del resto l'art. 2113, comma 1, c.c. prevede che l'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 cod. proc. civ., la cui disposizione è conforme al principio generale sancito dall'art. 1966, comma 2, c.c. in tema di nullità delle transazioni correlate a diritti sottratti alla disponibilità delle parti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, trova il suo limite di applicazione nella previsione di cui all'ultimo comma del citato art. 2113 cod. civ., che fa salve proprio le conciliazioni intervenute ai sensi degli artt. 185, 410 e 411 c.p.c., ossia quelle conciliazioni nelle quali la posizione del lavoratore viene ad essere adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro per effetto dell'intervento in funzione garantista del terzo (autorità giudiziaria, amministrativa o sindacale) diretto al superamento della presunzione di condizionamento della libertà di espressione del consenso da parte del lavoratore, essendo la posizione di quest'ultimo adeguatamente protetta nei confronti del datore di lavoro. Una volta sottoscritta la conciliazione dinanzi al giudice il lavoratore non può successivamente dolersi della validità del negozio processuale prospettando una nullità che in realtà è insussistente. Tra l'altro non risultano dedotti vizi dell'atto relativi, ad esempio, alla non terzietà del giudice o relativi al processo di formazione del consenso del lavoratore (violenza, minaccia, induzione in errore) che potevano, invece, portare eventualmente all'invalidità dell'atto di conciliazione e, quindi, alla «ammissibilità» della domanda di costituzione del rapporto di lavoro con la società interposta, così come articolata nel giudizio da cui è scaturita l'ordinanza in commento.

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