Il caso
Tizia chiamava in causa Sempronio, erede di Caio e l'impresa designata dal Fondo di garanzia delle vittime della strada (FGVS), per ottenere il risarcimento del danno patito in conseguenza del sinistro stradale in cui era rimasta coinvolta come passeggera di un'auto (guidata da Caio) poi risultata rubata. Nell'ambito del procedimento penale per ricettazione, l'attrice veniva assolta per non aver commesso il fatto, il conducente decedeva. Instaurato il procedimento civile, si costituiva in giudizio l'impresa designata dal FGVS, che rilevava che il risarcimento ex art. 283 d.lgs. n. 209/2005 «sarebbe dovuto soltanto in favore di terzi trasportati inconsapevoli della circolazione illegale dell'autovettura a bordo della quale si trovavano al momento del sinistro». Richiamava a riguardo la sentenza n. 12231/2019 della Cassazione per cui «spetterebbe all'attore danneggiato la prova di aver ignorato senza colpa l'illegale circolazione del mezzo». Il Tribunale assegnava termine alle parti per il deposito di una memoria scritta sulle seguenti questioni:
- l'esistenza (o meno) di un contrasto tra il diritto interno (art. 283 Cod. ass. priv., come interpretato dalla Suprema Corte) e sovranazionale (art. 13, direttiva 2009/103/CE);
- la sussistenza (o meno) di presupposti per un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia ex art. 267 TFUE.
La normativa nazionale e la giurisprudenza di legittimità in materia
L’art. 283, comma 1, d.lgs. n. 209/2005 (Codice delle assicurazioni private) prevede: «1. Il Fondo di garanzia per le vittime della strada […] risarcisce i danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, nei casi in cui: […] d) il veicolo sia posto in circolazione contro la volontà del proprietario, dell'usufruttuario, dell'acquirente con patto di riservato dominio o del locatario in caso di locazione finanziaria». L’art. 283, comma 2, d.lgs. n. 209/2005, recita: «nel caso di cui al comma 1, lettera d), il risarcimento è dovuto, limitatamente ai terzi non trasportati e a coloro che sono trasportati contro la propria volontà ovvero che sono inconsapevoli della circolazione illegale».
La Cassazione con la sentenza n. 12231 del 9 maggio 2019 ha chiarito che la prova della consapevolezza della provenienza illegale del mezzo graverebbe sul danneggiato-attore, in quanto fatto costitutivo della propria domanda risarcitoria. Inoltre, non può sostenersi che «l'interpretazione del giudice ordinario sia contraria al diritto comunitario in quanto, come desumibile da casi citati dallo stesso ricorrente, anche per il diritto comunitario vi è deroga al diritto al risarcimento del danno nel caso in cui i terzi trasportati fossero a conoscenza dell'illegale provenienza del veicolo››.
La normativa sovranazionale di riferimento
Il parametro normativo di riferimento nel diritto derivato dell'Unione europea, è costituito dalla direttiva 2009/103/CE del 16 settembre 2009 con riferimento specifico all'art. 13 sulla cui interpretazione il Tribunale del caso di specie afferma che: «nella giurisprudenza della Corte di giustizia, pur maturata con riferimento alla precedente disciplina in materia, è ricorrente l'affermazione per cui le disposizioni legislative o le clausole contrattuali che abbiano per effetto quello di escludere l'operatività di una polizza assicurativa possono essere opposte alle vittime di un incidente soltanto ove “l'assicuratore sia in grado di dimostrare che le persone che avevano preso posto in piena consapevolezza nel veicolo che ha causato il danno erano a conoscenza del fatto che fosse stato rubato”» (Corte giust., 30 giugno 2005, C-537/03, Candolin, punto 23; cfr. anche Corte giust., 1 dicembre 2011, C‑442/10, Churchill, punto 35).
L'importanza del riparto dell'onere probatorio
La difesa di Tizia in memoria ha sostenuto che l'art. 13, direttiva 2009/103/CE sarebbe già sufficientemente chiaro nel senso di imporre l'obbligo della prova in capo al FGVS. Inoltre, ha sollecitato la disapplicazione della disposizione interna in caso di ritenuto contrasto tra il diritto dell'Unione europea e quello nazionale.
La difesa dell'impresa designata dal Fondo di garanzia delle vittime della strada (FGVS), ha fatto pervenire una memoria in cui ha richiamato la giurisprudenza nazionale, di merito e di legittimità, secondo cui l'onere della prova della provenienza furtiva della vettura insisterebbe sull'attore/danneggiato.
I quesiti del giudice del rinvio
Il tribunale ritiene quindi opportuno sollecitare l'intervento interpretativo da parte della Corte di Giustizia per chiarire se, «nel caso in cui il legislatore nazionale (come accaduto in Italia) abbia deciso di prevedere l'intervento dell'organismo di cui all'art. 10, par. 1, direttiva 2009/103/CE, si possa poi affermare – senza che sorga contrasto con il diritto dell'Unione europea – un regime probatorio che addossi al danneggiato l'onere di provare l'ignoranza della furtività del veicolo o se, invece, dal complessivo tenore della direttiva 2009/103/CE debba desumersi il contrario». E ancora: «dalla distribuzione dell'onere della prova in ordine alla consapevolezza (o meno) della provenienza delittuosa del bene discendono conseguenze determinanti in ordine alla possibilità (o meno) di accoglimento della domanda e della conseguente liquidazione del ristoro richiesto».
Sottolinea il tribunale che nella pronuncia n. 12231/2019, la Corte di Cassazione assume per presupposto un conflitto tra il dato normativo sovranazionale e quello interno, per poi, però, ritenere che la discrasia sia riconducibile al margine di discrezionalità del legislatore in sede di trasposizione della direttiva. A riguardo: «o si afferma che vi è un contrasto tra la disciplina di fonte europea e quella nazionale e si perviene alla soluzione dell'antinomia con i criteri a tal fine preposti (primo fra tutti, l'interpretazione conforme al diritto sovranazionale, con necessità di rivolgersi alla Corte di giustizia ove ricorra un dubbio esegetico), oppure si sostiene che il legislatore nazionale non era vincolato quanto alle modalità di trasposizione. In questo secondo caso, tuttavia, non è neppure corretto ravvisare un conflitto tra le norme: se si afferma che la direttiva non vincola il legislatore (e il giudice) quanto al riparto dell'onus probandi, allora lo Stato membro conserverebbe intatta la propria sfera di autonomia nel disciplinare i presupposti delle domande risarcitorie e i relativi oneri probatori, senza che neppure si profili un contrasto».