Autoriciclaggio del giocatore che impiega proventi illeciti: ambito di responsabilità degli esercenti

Giancarlo Marzo
30 Maggio 2024

Il contributo chiarisce se l'utilizzo, nelle scommesse e attività delle sale giochi, di denaro proveniente da un reato presupposto, come ad esempio una truffa, possa costituire il reato di riciclaggio o autoriciclaggio. In subordine, si interroga sulla possibile configurabilità di una responsabilità penale a carico degli esercenti delle sale giochi.

Normativa di riferimento

Il reato di riciclaggio è previsto all'art. 648-bis c.p., secondo cui «Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da 5.000 euro a 25.000 euro. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'art. 648».

Integra il reato, dunque, ogni condotta volta a dissimulare o mascherare l'origine delittuosa dei proventi illeciti. Nello specifico, si punisce la condotta di sostituzione, trasferimento, o di «altre operazioni» riferite a denaro, beni o altre utilità provenienti da delitti non colposi. Tali condotte, tuttavia, sono punibili a titolo di riciclaggio, a condizione necessaria che il soggetto agente non abbia concorso in modo alcuno alla commissione del delitto non colposo “a monte”, ossia del delitto presupposto.

Per tale ragione, prima dell'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 186 del 2014, che ha introdotto nel corpo del Codice Rocco del 1930 l'art. 648-ter.1, ossia del reato di autoriciclaggio, chiunque avesse commesso il reato presupposto e si fosse successivamente prodigato per l'occultamento dei proventi derivanti dai crimini propri, avrebbe goduto del c.d. “privilegio dell'autoriciclaggio”. Ciò vuol dire che, per il principio di irretroattività sfavorevole, non sono punibili le condotte di autoriciclaggio antecedenti all'entrata in vigore della novella citata.

Il reato di autoriciclaggio, dunque, è delineato e punito dall'art. 648-ter.1 c.p., a norme del quale: «si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da 5.000 euro a 25.000 euro a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa».  

Responsabilità per l'impiego di proventi illeciti in attività di gioco

In primo luogo, occorre determinare se il reinvestimento in attività di gioco di proventi illeciti integri una fattispecie di reato e, in caso affermativo, se la condotta rientri nel reato di riciclaggio o di autoriciclaggio.

Sul punto, la Cassazione con sentenza 31 maggio 2023, n. 28272, in un obiter dictum, riprende quanto già affermato dalla sentenza 13 dicembre 2018, n. 9751, secondo cui «Nel novero delle attività speculative contemplate dalla norma di cui all'art. 648-ter.1 c.p., si devono ritenere rientrare anche, secondo il prevalente orientamento della Corte di cassazione — che il Collegio, condividendolo, intende ribadire — ­­­­il gioco d'azzardo e le scommesse, in cui i proventi illeciti vengano reinvestiti, così da mascherarne la provenienza delittuosa, atteso che l'alea che è tipica di tali giochi è assimilabile a quella delle "attività speculative" giacché implica l'accettazione di un rischio calcolabile correlato all'impiego delle risorse» (Cass. sez. II, 18 gennaio 2023, n. 11325, Sambrotta; Cass. sez. II, 7 marzo 2019, n. 13795, Sanna. In senso contrario: Cass. sez. II, 13 dicembre 2018, n. 9751, dep. 2019, Bresciani) (cfr. Cass. 31 maggio 2023, n. 28272). Ebbene, la sentenza appena citata, in linea con la sentenza “Sanna” 7 marzo 2019 n. 13795, accoglie l'interpretazione per cui, nel novero delle «attività speculative» punite a titolo di autoriciclaggio, possano rientrarvi, invero, anche le puntate effettuate per il gioco d'azzardo e le scommesse.

Ad opposte conclusioni è invece pervenuto altro orientamento giurisprudenziale di legittimità, suggellato con la sentenza 13 dicembre 2019, n. 9751, secondo il quale, in virtù dei principi di tassatività, determinatezza e, soprattutto, di divieto di analogia in malam partem, il gioco d'azzardo e le scommesse non potrebbero rientrare all'interno del sintagma «attività speculative».

Il discrimen tra i due orientamenti contrapposti risiede, dunque, nella interpretazione della locuzione «attività speculative». In conclusione, esclusa l'integrazione del reato di riciclaggio, secondo il primo e prevalente orientamento, il giocatore d'azzardo sarebbe imputabile per il reato di autoriciclaggio. Sempreché, chiaramente, il fatto sia stato commesso in un momento all'entrata in vigore dell'art. 3 l. n. 186 del 2014. Laddove si aderisse all'orientamento minoritario, invece, il giocatore non potrebbe essere punibile a titolo di autoriciclaggio, stante il divieto di analogia in malam partem già citato.

Responsabilità degli esercenti di sale da gioco e centri scommesse

Preso atto del contrasto, occorre analizzare quali siano le eventuali responsabilità penali degli esercenti, nel caso in cui il giocatore d'azzardo sia, come la giurisprudenza prevalente ritiene, punibile a titolo di autoriciclaggio per le puntate d'azzardo effettuate con proventi illeciti.

Qualora il giocatore sia imputabile per autoriciclaggio, occorre verificare l'eventuale responsabilità concorsuale della sala giochi, la quale, quest'ultima, in quanto persona giuridica, seguirebbe le logiche della responsabilità degli enti di cui al d.lgs. n. 231/2001. Per attivare la responsabilità amministrativa da reato dell'ente, intesa come un tertium genus, secondo le coordinate delle note Sezioni Unite Thyssen 24 aprile 2014, n. 38343, occorre che, il reato contestato, non solo sia inserito nella lista prevista dal decreto, proprio come nel caso di specie, ma che lo stesso sia commesso, ai sensi dell'art. 5 del d.lgs. n. 231/2001, da determinati soggetti, e sempre che tali reati siano commessi nell'interesse o a vantaggio dell'ente. Nello specifico, l'art. 5 d.lgs. n. 231/2001 asserisce che «L'ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell'ente  o  di  una  sua  unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone  che  esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b)  da  persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2.  L'ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell'interesse esclusivo proprio o di terzi».

Laddove i soggetti indicati nella normativa, quindi, agevolino il giocatore d'azzardo nella commissione del reato di autoriciclaggio, l'intero ente potrebbe rispondere del reato di riciclaggio, e non di autoriciclaggio. Ciò in quanto, come statuito dalla Corte di cassazione, con la nota sentenza “Tucci” n. 17235 del 2018, chiunque agevoli la commissione di un autoriciclaggio “altrui”, risponde del diverso reato di riciclaggio.   

Tale soluzione, tuttavia è da considerare sempre che, a monte, la condotta del giocatore d'azzardo sia effettivamente sussumibile al modello legale tipico di cui all'art. 648-ter.1 c.p., relativamente alla «attività di speculazione». Come detto, sul punto, sussistono orientamenti contrastanti.

A ciò si aggiunga un ultimo dato. Il comma 4 dell'art. 648-ter.1, prevede che «fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione al godimento personale». Tale comma descrive una causa di non punibilità, e la giurisprudenza, pronunciatasi sul perimetro applicativo del quarto comma, asserisce che «l'agente può andare esente da responsabilità penale solo e soltanto se utilizzi o goda dei beni provento del delitto presupposto in modo diretto e senza che compia su di essi alcuna operazione atta a ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa» (cfr. Cass. 5 luglio 2018, n. 30399).

Ebbene, la scommessa, con fine ludico, nonché il gioco d'azzardo, potrebbe essere riconducibile ad un godimento diretto e personale, al pari del gioco con le slot machine, a prescindere dall'eventuale vincita di denaro.

Del pari, la sentenza 18 gennaio 2023, n. 11325, similmente alla già citata sentenza “Sanna”, a giustificazione del fatto che l'utilizzo dei proventi illeciti in giochi d'azzardo sia suscettibile di integrare una «attività speculativa», asserisce che «l'idea di fondo che giustifica l'incriminazione dell'autoriciclaggio, riposa (...) sulla considerazione di congelare il profitto in mano al soggetto che ha commesso il reato presupposto, in modo da impedirne la sua utilizzazione maggiormente offensiva (e cioè la reimmissione nel mercato), quella che espone a pericolo o addirittura lede l'ordine economico, valorizzando, così, la grave ed autonoma lesività delle ulteriori condotte dell'agente, rispetto a quella insita nel reato presupposto. Alla luce delle suddette intenzioni punitive, non può logicamente negarsi che, mediante l'impiego di denaro nel gioco d'azzardo o nelle scommesse, si raggiunga proprio il risultato che la norma incriminatrice vuole sanzionare: l'autore dell'illecito presupposto, anziché tenere per sé il denaro o destinarlo al mero utilizzo o godimento personale, lo impiega, con l'intento di ricavarne un profitto (che talvolta può anche essere molto ingente) accettando, per contro, pure il rischio di una perdita. Ne consegue che, in caso di vincita, il denaro di provenienza illecita (generalmente in contanti e privo di tracciabilità) è pronto per essere immesso nel circuito economico con la "nuova veste" di una legittima provenienza; e, in caso di perdita (parziale o totale), comunque si è avuta una reimmissione di denaro di provenienza delittuosa nel mercato economico. Del resto, il nostro ordinamento riconosce nel gioco e nelle scommesse una fonte lecita di arricchimento (si veda art. 1933 e ss. c.c.), sebbene non meritevole di tutela mediante apposite azioni giudiziarie») (cfr. Cass. 18 gennaio 2023, n. 11325).

Tale indirizzo, quindi, al contrario, conferma che la non punibilità è ancorata al mero utilizzo o godimento personale del provento illecito. La sentenza appena citata, infatti, chiarisce che l'attività del gioco non possa essere identificabile con “un mero utilizzo o godimento personale” del provento illecito. Tuttavia, a livello sociologico, occorre prendere atto del dato fattuale per cui, il gioco, ed in particolar modo quello d'azzardo, è more solito animato proprio da quel godimento personale, di carattere ludico, rispetto al quale l'eventuale vincita assume un aspetto paritetico o, delle volte, del tutto secondario. La questione, quindi, risulta tutt'altro che definita, non sussistendo ancora, un orientamento giurisprudenziale che possa definirsi granitico, alla luce anche, per vero, della sentenza 13 dicembre 2018, n. 9751, secondo, cui, lo si ribadisce ancora, la c.d. «attività speculativa» menzionata dall'art. 648-ter.1 c.p. non può includere anche l'attività del gioco.

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