Diffamazione, esimente e cancellazione delle espressioni diffamatorie disposta dal giudice civile

La Redazione
28 Maggio 2024

La Corte di cassazione penale, nella sentenza del 23 maggio 2024, n. 20520 (ud. 5 aprile 2024), ha affermato che, ai fini dell'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 598 c.p., non rileva la cancellazione delle espressioni diffamatorie disposta dal giudice civile ai sensi dell'art. 89, comma 2, c.p.c.

La quinta sezione penale, in tema di diffamazione, ha affermato che, ai fini dell'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 598 c.p., non rileva la cancellazione delle espressioni diffamatorie disposta dal giudice civile ai sensi dell'art. 89, comma 2, c.p.c., essendo distinti sia i canoni valutativi cui devono conformarsi quest'ultimo e il giudice penale nell'applicazione delle diverse disposizioni, sia la portata delle stesse, atteso che per offese non riguardanti l'oggetto della causa, di cui all'art. 89 c.p.c., devono intendersi quelle «non necessarie alla difesa», pur se ad essa non estranee, mentre per «offese che concernono l'oggetto della causa», di cui all'art. 598 c.p., devono intendersi quelle che, benché non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa.

Con riferimento alla diversità dei «canoni valutativi» i giudici hanno osservato che tale diversità si radica, a monte, nel bene tutelato della norma – l'art. 595 c.p. – rispetto alla quale la disposizione di rilievo in questa sede, vale a dire l'art. 598 c.p. , si pone quale causa di giustificazione (ciò che esclude l'illiceità del fatto; in ogni caso, tale qualificazione non è indiscussa in dottrina, configurando la disposizione, secondo alcuni, una causa di non punibilità in senso stretto, che non esclude l'illiceità del fatto. Sul punto v. Cass. n. 6701/2006, Massetti).

Inoltre, dal punto di vista dell'interpretazione sistematica, è significativa la collocazione degli artt. 595 e 598 c.p. nel titolo XII, dedicato ai delitti conto la persona, e nel capo II, che contempla i delitti contro l'onore; laddove, l'art. 89 è collocato nel capo III, titolo II, dedicato ai doveri delle parti e dei difensori. Ora le espressioni «sconvenienti od offensive» di cui all'art. 89 c.p.c. delle quali il giudice può ordinare la cancellazione, non necessariamente coincidono con le espressioni «lesive dell'altrui reputazione» di cui all'art. 595 c.p., che ha un oggetto ben più specifico. E, infatti, la reputazione tutelata dalla legge penale, è da intendersi non già come la mera considerazione che ciascuno ha di sé, o come il semplice amor proprio (che possono essere certo scalfiti da un'espressione «sconveniente» o «offensiva») posto che il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all'art. 595 c.p. è eminentemente relazionale, tutelando il senso della dignità personale in relazione al gruppo sociale; tant'è vero che la tutela penale in tanto si giustifica in quanto l'aggressione sia dotata di potenzialità diffusiva («chiunque, comunicando con più persone»: così l'art. 595 c.p.). Potenzialità diffusiva non richiesta, almeno non espressamente dall'art. 89 c.p.c.

A conferma del diverso impatto (sui diritti della difesa, oltre che sul soggetto offeso) dell'art. 89 c.p.c., da un lato, e dell'art. 598 c.p. dall'altro, può inoltre ricordarsi che, mentre la violazione dell'art. 598 c.p. può ben essere dedotta con ricorso per cassazione, non vale il reciproco: costituisce, infatti, orientamento consolidato nella giurisprudenza della Cassazione civile quello secondo cui l'omesso esame dell'istanza di cancellazione di frasi o parole ingiuriose, contenute negli scritti difensivi, non può formare oggetto di ricorso per cassazione (Cass. civ. n. 38730/2021 «l'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute nelle difese  delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 c.p.c., integrano esercizio di potere discrezionale non censurabile in sede di legittimità»).

Infine – e tale è il profilo che più rileva – la diversa portata dell'art. 89 c.p.c. e dell'art. 598 c.p., è stata descritta dalla giurisprudenza della Corte nei termini seguenti: il riferimento alle offese che non riguardano l'oggetto della causa, contenuto nell'art. 89 c.p.c., va inteso come riferibile alle offese «non necessarie alle difesa», sebbene a essa non estranee; invece, il riferimento alle «offese che concernono l'oggetto della causa» contenuto nell'art. 598 c.p. va inteso come riferibile a quelle offese che, pur non necessarie, siano comunque strumentali alla difesa. Sicchè il nesso, pur non necessario con l'oggetto della causa, esclude comunque la punibilità del fatto (Cass., sez. V, n. 6701/2006, Massetti).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.