Indennità da perdita di avviamento: disciplina delle attività commerciali senza rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori
Alberto Celeste
28 Maggio 2024
La l. n. 392/1978, con particolare riguardo alle locazioni di immobili ad uso non abitativo, da un lato, favorisce il conduttore il quale eserciti nell'immobile locato le attività enumerate dall'art. 27, preferendolo qualora tale immobile sia alienato o sia nuovamente concesso in locazione, sì da tutelare l'interesse pubblico al mantenimento delle aziende e consentire la prosecuzione dell'attività di volta in volta esercitata, e, dall'altro, prevede il pagamento, da parte del locatore, di una somma di denaro nell'ipotesi in cui il rapporto si sciolga per effetto della scadenza del termine finale e, conseguentemente, l'avviamento “inscritto nell'immobile” vada perduto. Tuttavia, l'art. 35, rinviando al precedente art. 34, stabilisce che le disposizioni di quest'ultima norma, dettate in tema di indennità per la perdita dell'avviamento, non si applichino, tra l'altro, in caso di cessazione del rapporto di locazione relativo ad immobile utilizzato per lo svolgimento di attività che non comportino “contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori”. La giurisprudenza (di legittimità e di merito) ha avuto modo di perimetrare tale concetto, offrendo preziose soluzioni agli operatori del settore.
Introduzione. Il quadro normativo
La disciplina delle locazioni non abitative reca una complessa e pregnante tutela dell'avviamento commerciale - ossia della capacità dell'impresa di produrre utili - mediante una tutela apprestata, per un verso, con la prelazione da parte del conduttore in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato, o (ipotesi di rilievo assai minore e di scarsa applicazione pratica) di nuova locazione (artt. 38, 39 e 40 l. n. 392/1978), e, per altro verso, con il riconoscimento dell'indennità per la perdita del medesimo avviamento (art. 34 l. n. 392/1978).
Tuttavia, ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, rileva l'abituale esercizio, nei locali condotti in locazione, di un'attività in forma d'impresa con stabile organizzazione aziendale gestita secondo criteri di economicità, non essendo, invece, necessario l'ulteriore requisito dello scopo di lucro dell'attività(v., tra le altre, Cass. 19 settembre 2019, n. 23344).
Orbene, l'art. 35 della l. n. 392/1978, rinviando al precedente art. 34, stabilisce che le disposizioni di quest'ultima norma, dettate in tema di indennità per la perdita dell'avviamento, non si applichino in caso di cessazione di rapporti di locazione relativi ad immobili:
a) utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (oggetto di approfondimento nel presente contributo),
b) destinati all'esercizio di attività professionali,
c) destinati ad attività di carattere transitorio,
d)complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio stradali o autostradali, alberghi e villaggi turistici.
La mancata frequentazione dei locali
Dunque, le locazioni di immobili destinati allo svolgimento di “attività che non comportino rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori” non godono, in primis, della tutela costituita dall'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale; parimenti, ai sensi dell'art. 41 della l. n. 392/1978, esse non godono della prelazione in caso di trasferimento a titolo oneroso dell'immobile locato e del conseguente diritto di riscatto (artt. 38 e 39), né della prelazione in caso di nuova locazione (art. 40).
Tutti i presidii posti a tutela dell'avviamento commerciale, in definitiva, non trovano applicazione qualora l'attività esercitata nell'immobile non comporti rapporti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori: la ragione ispiratrice della previsione sembra evidente, atteso che, se l'immobile non è aperto al pubblico, l'attitudine produttiva dell'azienda in esso costituita non è destinata a soffrire o, quantomeno, non è destinata a soffrire grandemente.
L'esistenza dei detti contatti costituisce, quindi, un punto cardine della disciplina: la tutela di un avviamento oggettivo, non legato alle particolari capacità dell'imprenditore, quanto, piuttosto, all'ubicazione dell'immobile, è subordinata al dato della normale frequentazione dei locali commerciali da parte della clientela; tale frequentazione lascia supporre, infatti, che l'immobile locato abbia, sul territorio, una capacità di attrarre gli utenti dei servizi ed i consumatori dei beni offerti e giustifica, pertanto, l'attribuzione di un compenso per la chiusura o il semplice spostamento dell'esercizio commerciale.
Prendendo in esame le espressioni impiegate dal legislatore, si è avuto modo di precisare, da un lato, che, con il termine “utenti” e “consumatori”, si devono intendere i destinatari finali ed i fruitori diretti dei servizi e delle merci, ossia coloro che ne usufruiscono per sé stessi; e, dall'altro, che i “contatti diretti” sono quelli che si esplicano nei confronti della massa originariamente indifferenziata dei destinatari del prodotto o del servizio.
In particolare, il concetto di “contatto diretto” esprime una particolare modalità di svolgimento dell'attività, diversa da un generico rapporto insito in qualsiasi attività produttiva volto ad operare sul mercato, mentre l'ulteriore specificazione del “contatto con il pubblico” vale ad esplicitare la necessità che l'attività sia volta, appunto, verso una massa originariamente indistinta dei destinatari del prodotto o del servizio.
Il “pubblico degli utenti e dei consumatori” è, d'altra parte, composto da coloro che si procurano il bene o la prestazione d'opera quali fruitori finali, senza farne oggetto di scambio; in altri termini, è necessario che il cliente costituisca l'ultimo anello della catena distributiva.
Si è, dunque, efficacemente chiarito che, se il legislatore non avesse inteso distinguere fra l'utente o consumatore mediato e quello finale, avrebbe omesso del tutto l'espressione “pubblico” perché superflua, mentre è chiaro che la stessa identifica la massa dei fruitori finali del prodotto.
Occorre, tuttavia, osservare, con particolare riguardo alla figura dell'utente, che il servizio potrebbe essere oggetto sia di una fruizione finale, per il soddisfacimento di un'esigenza strettamente personale o familiare, sia di un impiego strumentale all'esercizio di una diversa attività economica o professionale.
Secondo alcuni, la valutazione di tale componente consiste non tanto in un criterio giuridico in senso stretto, poiché qualsiasi attività di tipo imprenditoriale presuppone il contatto con il pubblico, quanto piuttosto in un criterio pratico, nel senso che gli utenti (di servizi) ed i consumatori (di beni) devono accedere direttamente - e non tramite intermediari, agenti o quant'altro - nei locali dove si svolgono le trattative per la stipula di contratti concernenti i servizi o i beni, rispettivamente, offerti o prodotti dall'imprenditore.
In proposito, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 27 settembre 2006, n. 20960) ha affermato che, per “contatto diretto con il pubblico dei consumatori”, deve intendersi lo svolgimento di un'attività che contempli la frequentazione dei locali da parte della generalità dei destinatari finali del prodotto.
La giurisprudenza di legittimità, sul punto, può dirsi ferma (Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2005, n. 14610; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2000, n. 10598; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1999, n. 1435), anche laddove viene precisato che il contatto con i fruitori finali dell'offerta debba avvenire senza intermediazione (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 2006, n. 20829; Cass. civ., sez. III, 23 novembre 1998, n. 11865; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 1998, n. 1632).
Rientrano, di regola, coloro che vendono beni o servizi al minuto direttamente al pubblico, mentre ne sono esclusi i conduttori che, appunto, producono beni o servizi posti in circolazione attraverso terze persone; invece, l'indennità spetta solo al conduttore che, nell'esercizio dell'impresa, abbia utilizzato l'immobile locato come luogo di incontro e di contatto con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Si è egualmente ribadito (Cass. n. 20829/2006, cit.; Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4433; Cass. civ., sez. III, 6 giugno 1994, n. 5471) che l'accesso nell'immobile deve riguardare la generalità originariamente indifferenziata degli utenti e dei consumatori finali, e cioè tutti coloro che siano potenzialmente interessati alla prestazione offerta.
La limitata cerchia di clientela
Secondo la Cassazione (Cass. civ., sez. III, 8 settembre 1987, n. 7229), la specializzazione dell'impresa e la particolare connotazione della clientela, oltre che le modalità dei rapporti commerciali fra l'impresa ed i suoi clienti, possono concorrere ad escludere che l'immobile locato assolva al necessario ruolo “ambientale” di contatti diretti con il pubblico dei fruitori, mentre l'assenza di pericolo di sviamento della clientela per il caso di cambiamento di sede può rivestire solo valore indiziario secondario della mancanza del suddetto requisito ambientale.
In quest'ottica, è stata cassata la pronuncia del giudice del merito che aveva escluso la sussistenza del requisito sopraindicato riguardo ad un'impresa che, vendendo veicoli industriali, si rivolgeva esclusivamente ad una limitata clientela di piccoli e medi trasportatori per le esigenze dei loro traffici (Cass. civ., sez. III, 15 marzo 1989, n. 1304).
Nella stessa prospettiva, si è affermato che, tra le attività che quali comportano contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, vanno considerate non solo le attività rivolte ad una generalità indiscriminata di persone, bensì anche a quelle cui è interessata una cerchia limitata di soggetti individuabili attraverso il comune riferimento a situazioni specifiche (Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 1988, n. 22).
In tal senso, rientrano nel pubblico degli utenti e dei consumatori anche coloro che acquistino il bene per realizzare altri beni a loro volta oggetto di commercio, oppure per utilizzarlo in una loro attività artigianale o industriale diretta a fornire ad altri dei servizi e di escluderne, invece, quanti comperino il bene al solo fine di rivenderlo come tale (Cass. civ., sez. III, 27 aprile 1995, n. 4644).
Si concorda con tale impostazione, osservando che la disciplina in tema di indennità si estende alle ipotesi di fornitura di beni che, attraverso la loro trasformazione e lavorazione, rientrano nel ciclo produttivo di altri beni.
In definitiva, qualora, attraverso la commercializzazione di beni strumentali all'altrui attività economica, si instaura un contatto con una clientela, per quanto limitata, siamo nel campo di applicazione della disciplina dettata in tema di indennità di avviamento (Cass. n. 11865/1998, cit.).
Difatti, è lo stesso art. 35 a prevedere, accanto ai consumatori, gli “utenti”, cioè coloro che utilizzano il bene acquistato: utilizzazione che può avere carattere strettamente personale oppure servire per soddisfare bisogni della propria attività (come nel caso di acquisto di materiale cartaceo consistente in fatture, bolle, carta intestata, ecc.), o per motivi promozionali o pubblicitari ad essa collegati (come nel caso di acquisto di manifesti, calendari pubblicitari, ecc.).
Tuttavia, va evidenziato che il principio non risulti essere del tutto pacifico, o comunque conseguentemente applicato: infatti, la Suprema Corte (Cass. n. 8847/1995, cit.) ha negato il diritto all'indennità all'odontotecnico sulla base del rilievo per cui tale soggetto può avere contatti solo con i sanitari abilitati all'esercizio dell'odontoiatria e non con il pubblico degli utenti finali.
La giurisprudenza di merito, in passato, era orientata ad escludere la sussistenza del diritto all'indennità nei casi in cui il destinatario dell'offerta fosse un operatore economico.
Nel campo dei servizi, i magistrati meneghini hanno così escluso che l'indennità di avviamento commerciale spetti in caso di locazione di immobile nel quale svolga la propria attività uno spedizioniere, qualora nei locali accedano corrieri e corrispondenti principalmente ai fini dell'esercizio della propria attività professionale (Trib. Milano 16 gennaio 1997), o nell'ipotesi di esercizio di agenzia pubblicitaria la cui clientela sia costituita in massima parte da operatori economici (Trib. Milano 15 maggio 1986), o, ancora, nel caso di gestione di uno studio fotografico, che svolga prevalentemente la propria attività in favore di agenzie pubblicitarie che si rivolgono al titolare dello studio per utilizzare i servizi fotografici da questo realizzati (Trib. Milano 9 maggio 1985).
Un altro giudice di merito (Pret. Firenze 19 gennaio 1989) ha riconosciuto il diritto all'indennità a chi svolga attività di noleggio di pellicole cinematografiche in favore dei titolari di sale cinematografiche, ritenendo che il pubblico degli utenti e consumatori, nel caso di attività di prestazione di servizi, può non essere costituito dagli utenti finali del servizio.
Alle medesime conclusioni, è pervenuta un'altra pronuncia (Pret. Brescia 4 febbraio 1993), con riferimento all'attività di riparazione di compressori d'aria per ditte artigiane o industriali, i cui titolari si recavano nel laboratorio per l'esecuzione degli interventi e, poi, per riprodurli riparati.
Di contro, si è affermata l'inesistenza dei contatti diretti con il pubblico contemplati dall'art. 35 della l. n. 392/1978 in capo:
a)a chi commercializzi prodotti chimici per l'industria (Pret. Salerno 29 maggio 1989);
b) a chi operi la vendita, oltre che la posa in opera e la manutenzione, di impianti di posta pneumatica (Pret. Roma 7 aprile 1989);
c) a chi commercializzi macchine utensili per produzioni meccaniche (Pret. Milano 10 marzo 1990);
d) alla concessionaria di veicoli industriali, con clientela costituita da piccoli e medi trasportatori che utilizzino i mezzi per la loro attività lavorativa (Trib. Milano 25 marzo 1985);
e) alla società che operi la vendita degli ascensori ad imprese edili (Trib. Milano 16 gennaio 1989);
f) all'attività di commercio all'ingrosso di ricambi auto (Pret. Milano 23 febbraio 1990).
Dall'esistenza di una limitata cerchia di clienti, va tenuto distinto il dato della frequentazione saltuaria dell'immobile da parte dei soggetti interessati ai beni e ai servizi offerti: in quest'ottica, gli ermellini hanno negato il diritto all'indennità ad un'impresa di spedizioni sul rilievo che, nell'immobile locato, sussistevano non contatti diretti con la generalità degli utenti, ma “sporadici accessi da parte di determinati clienti” (così Cass. civ., sez. III, 27 aprile 1990, n. 3551; particolare, invece, si presenta la fattispecie analizzata da Pret. Firenze 18 ottobre 1990).
Posto che, ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità di avviamento commerciale, rileva solo che i locali locati siano effettivamente destinati ad attività che comporti il contatto con il pubblico e che, quindi, gli stessi siano aperti alla frequentazione diretta ed indifferenziata dei clienti che abbiano necessità ed interesse ad entrare in contatto con l'impresa, si è, di recente, chiarito (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2017, n. 7039) che tale requisito si atteggia in modo identico anche nell'ipotesi di attività commerciali c.d. monomarca, poichè nessun rilievo può avere la circostanza che la generalità degli utenti e consumatori che accedono liberamente al negozio e che sono fidelizzati al luogo di svolgimento dell'attività sia indirizzata all'acquisto di un bene o di un servizio di una sola marca.
La vendita al dettaglio e all'ingrosso
Non sussiste contatto diretto con gli utenti e consumatori qualora, nell'immobile locato, si svolga attività di commercio all'ingrosso.
Invero, stante che la legge richiede una relazione diretta con gli utenti ed i consumatori finali, senza l'interposizione di altri operatori economici che concorrano nella circolazione del medesimo prodotto, il grossista - e cioè colui che acquista un bene per rivenderlo ad altri soggetti che ne esercitano professionalmente il commercio - è chiaramente escluso dall'àmbito di applicazione della norma de qua (Cass. civ., sez. III, 10 maggio 1996, n. 4433; Cass. civ., sez. III, 20 febbraio 1991, n. 1796; Cass. civ., sez. III, 8 novembre 1989, n. 4664).
Si è, però, avuto modo di precisare (da parte di Cass. civ., sez. III, 16 luglio 2010, n. 16627) che lo svolgimento nell'immobile locato dell'attività di vendita in favore dei c.d. fruitori professionali, cioè di altri imprenditori che acquistano il bene per destinarlo all'esercizio della propria impresa, rientra pienamente tra quelle che legittimano il conduttore a domandare, nel caso di mancato rinnovo del contratto, l'indennità per la perdita dell'avviamento di cui all'art. 34 della l. n. 392/1978: i fruitori professionali, infatti, rientrano nella categoria del “pubblico degli utenti e dei consumatori” di cui al successivo art. 35, dalla quale, pertanto, resta esclusa soltanto l'attività di vendita in favore di soggetti (c.d. grossisti) che, a loro volta, rivendano i beni all'utilizzatore finale.
Qualora l'immobile sia destinato al contestuale svolgimento della vendita al dettaglio e all'ingrosso, la questione relativa alla spettanza dell'indennità de qua va risolta alla stregua del criterio della prevalenza: pertanto, poiché nelle ipotesi in cui l'immobile locato sia adibito ad usi diversi la disciplina applicabile è quella relativa all'uso prevalente, l'indennità di avviamento compete al conduttore dell'immobile soltanto quando l'attività di vendita al minuto, con modalità che comportino contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, sia esclusiva o prevalente rispetto ad altre attività esercitate nello stesso locale (Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1997, n. 1700; Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 1997, n. 1232).
In passato, la Suprema Corte aveva ritenuto che l'indennità non potesse essere negata per il solo fatto che le vendite fossero concluse in locali vicini a quello oggetto del rapporto, qualora risultasse accertato che l'immobile locato fosse obiettivamente inserito nell'organizzazione aziendale e rispondeva alle esigenze tipiche dell'impresa, essendo funzionale alla produttività aziendale ed influendo sul volume degli affari (Cass. n. 5471/1994, cit.; Cass. civ., sez. III, 30 marzo 1992, n. 3862; Cass. civ., sez. III, 28 gennaio 1987, n. 810).
L'orientamento della giurisprudenza di vertice si è, però, nel corso del tempo modificato, sicché il dato costituito dall'accessorietà del locale rispetto ad altro immobile aziendale, in cui abbiano luogo contatti diretti con il pubblico, è attualmente considerato privo di decisiva rilevanza.
Affermano, infatti, gli ermellini (Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2008, n. 13083; Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2005, n. 14610; Cass. civ., sez. III, 1° aprile 2004, n. 6397; Cass. n. 1435/1999) che l'immobile utilizzato a locale di esposizione, in tanto può determinare l'esistenza del diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento, in quanto il conduttore istante provi che possa essere considerato come luogo aperto alla frequentazione diretta della generalità dei consumatori e, dunque, da sé solo in grado di esercitare un richiamo su tale generalità, così divenendo un collettore di clientela ed un fattore locale di avviamento, senza che possa darsi rilievo al modo dell'organizzazione dell'attività del conduttore ed alla circostanza che questi abbia creato un vincolo di accessorietà funzionale tra l'immobile adibito a deposito ed esposizione e l'immobile destinato alla vendita (nella giurisprudenza di merito, v., però, Pret. Pisa 20 ottobre 1993).
Diviene, dunque, decisiva la circostanza del libero accesso del pubblico nei locali per ivi contrattare con il conduttore: il diritto all'indennità per l'avviamento commerciale non spetta, quindi, nel caso di cessazione della locazione di immobile utilizzato per lo svolgimento di attività che non comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti o dei consumatori, sicché la tutela privilegiata della locazione imprenditoriale o di lavoro autonomo, sotto tale profilo, trova ingresso solo allorché l'immobile locato costituisca il luogo in cui il pubblico medesimo liberamente accede per concludere rapporti negoziali con il conduttore.
L'esigenza che i contatti diretti si instaurino nell'immobile locato, del resto, esprime la ratio essenziale dell'istituto, che riconduce la causa genetica dell'avviamento alla funzione che in concreto svolge l'immobile quale fattore di clientela (Cass. civ., sez. III, 26 settembre 1996, n. 20829).
Con specifico riguardo alla fattispecie del locale adibito ad esposizione ed a deposito di merce, la Suprema Corte (Cass. n. 14610/2005, cit.; Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2001, n. 505) ha ribadito che, per la sussistenza del diritto all'indennità, è necessario che l'immobile locato sia idoneo, di per sé, a favorire l'accrescimento ed il mantenimento della clientela, sì da determinare in concreto quell'avviamento commerciale, alla cui tutela è volta la norma di cui all'art. 35 della l. n. 392/1978, e non può dirsi che un locale, adibito esclusivamente a deposito e ad esibizione di mobili, sia idoneo da solo, senza la sussistenza di ulteriori elementi, quale l'ausilio di intermediari, alla frequentazione diretta e della generalità dei destinatari finali dell'offerta dei beni e servizi.
È, dunque, escluso che l'indennità spetti ove il pubblico possa fare ingresso nel locale adibito ad esposizione solo se accompagnato (Cass. n. 20960/2006, cit.; Cass. n. 10598/2000, cit.; Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 1997, n. 9869; Cass. civ., sez. III, 21 ottobre 1993, n. 10460).
Secondo altre pronunce (v., ad esempio, Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 1983, n. 1457; nella giurisprudenza di merito, v., però, Pret. Genova 10 dicembre 1991) - risalenti, però, al più remoto degli indirizzi giurisprudenziali sopra delineato - l'indennità spetterebbe anche nel caso di merce esposta in un locale visibile dall'esterno, cui gli interessati non abbiano ingresso: è questo il caso del locale privo di pubblico accesso, con prodotti esibiti in vetrina, in cui si è osservato che una mostra con vetrina senza possibilità di accesso, che guarda la pubblica via, certamente non permette ai consumatori di entrare nell'ambiente, ma non impedisce neanche di esaminare la merce esposta, valutare i suoi pregi e difetti, compiere scelte, considerare l'opportunità di fare acquisti; il che non differisce molto dal fatto che il consumatore possa entrare, perché è il rapporto visivo che rende possibili i suddetti comportamenti; se, poi, sul fronte della mostra, viene apposto un cartello che indica il vicino negozio, occorre riconoscere che la vetrina, oltre a non impedire quel contatto personale con il venditore che costituisce la vera ragione dell'indennità, contribuisce al successo delle vendite; anche in ipotesi del genere, quindi, una mostra-vetrina costituisce strumento essenziale e diretto per l'attività di vendita al pari di ogni altro locale aperto al pubblico, e può dare perfino il vantaggio di permettere un esame prolungato e ripetuto della merce, circostanze non sempre possibili in locali in cui il pubblico affluisca di continuo.
Analoghe osservazioni sono state costantemente formulate riguardo ai locali adibiti ad uso esclusivo di deposito o magazzino (Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1997, n. 12250; Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1997, n. 6269; Cass. civ., sez. III, 25 giugno 1997, n. 5676; Cass. civ., sez. III, 2 giugno 1995, n. 6198; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 13 aprile 1989).
L'irrilevanza del collegamento funzionale tra l'immobile locato e l'altro, in cui abbiano effettivamente luogo i contatti diretti con il pubblico, porta pure ad escludere che possa considerarsi protetta l'attività posta in essere all'interno di un laboratorio per la preparazione della merce, quantunque vi sia un passaggio che metta in comunicazione i due immobili (Cass. n. 6397/2004, cit.).
Il mutamento unilaterale d'uso e l'accordo simulatorio
Può accadere che l'immobile sia in concreto destinato all'esercizio di un'attività esercitata a contatto diretto con il pubblico, ma che ciò abbia luogo in difformità dalla previsione contrattuale: siffatta eventualità può ricorrere sia nell'ipotesiin cui le parti abbiano effettivamente pattuito la locazione dell'immobile per i fini dell'esercizio di un'attività che non comporti rapporti con il pubblico - ad esempio, un'attività di vendita all'ingrosso - ed il conduttore abbia adibito, poi,la cosa locata ad un'attività svolta a contatto con gli utenti ed i consumatori, sia nell'ipotesi in cui le parti abbiano simulatamente concluso il contratto per l'esercizio di un'attività non a contatto con il pubblico.
Nella prima ipotesi, trova applicazione l'art. 80 della l. n. 392/1978 che prevede l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo nel caso in cui il locatore, entro tre mesi dall'acquisita conoscenza del mutamento di destinazione, non agisca per la risoluzione del contratto (Cass. civ., sez. III, 9 agosto 2007, n. 17494).
Per contro, non è accordabile la tutela prevista dall'art. 34 della l. n. 392/1978 al conduttore che abbia unilateralmente operato un mutamento d'uso dell'immobile, tale da rendere applicabile un regime giuridico diverso, senza che il locatore ne abbia avuto conoscenza, in quanto ciò esporrebbe quest'ultimo a subire una situazione che egli non ha in alcun modo contribuito a creare, neppure con la sua inerzia consapevole (Cass. civ., sez. III, 11 agosto 2000, n. 10723).
Quanto all'onere probatorio, ove sia contrattualmente stabilita una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, al conduttore che invochi il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non è sufficiente dimostrare che, nonostante il tenore delle clausole contrattuali nell'immobile, è stata svolta un'attività comportante il suddetto contatto, essendo anche necessario che egli provi che sia decorso il termine di tre mesi dalla data in cui il locatore ha avuto conoscenza dell'uso pattuito (Cass. civ., sez. III, 2 ottobre 1998, n. 9789).
In altri termini, per il riconoscimento del diritto all'indennità, il conduttore non può ottenere l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile se non sono decorsi tre mesi da quando il locatore ha avuto conoscenza del mutamento da attività di vendita all'ingrosso in quella a diretto contatto con il pubblico dei consumatori finali del prodotto (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1996, n. 9881).
La pattuizione di una destinazione dell'immobile locato ad attività che non comporti il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori può essere superata anche con l'accertamento della simulazione circa la detta destinazione, sicché, in definitiva, l'assenza di corrispondenza tra la realtà effettiva ed il contenuto del contratto può assumere rilevanza non solo nell'ipotesi - sopra delineata - in cui il conduttore richieda l'applicazione del regime giuridico corrispondente all'uso effettivo dell'immobile provando la sussistenza dei presupposti previsti dall'art. 80 della l. n. 392/1978, ma, a fortiori, qualora lo stesso conduttore faccia valere la simulazione relativa, prospettando essere fittizia la volontà delle parti di stabilire la destinazione dell'immobile locato ad attività che non comportino il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori e dissimulata la volontà contraria (Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21995; Cass. civ., sez. III, 20 settembre 2006, n. 20331; sul versante della giurisprudenza di merito, v. Trib. Milano 7 ottobre 1993).
In quest'ultimo caso, l'onere di dimostrare l'accordo simulatorio grava sul conduttore, il quale, peraltro, può avvalersi della prova per testimoni e di quella per presunzioni, essendo l'attività istruttoria finalizzata a far valere l'illiceità ex art. 79 della l. n. 392/1978 della clausola volta ad escludere il diritto all'indennità pur in presenza di una destinazione, in realtà voluta, con volontà dissimulata da entrambe le parti, che invece ne comporta l'esistenza (Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2000, n. 15080).
In conclusione
Per completezza, sul versante processuale, si sottolinea che al conduttore che agisca in giudizioper il riconoscimento dell'indennità compete l'onere di provare di aver svolto una delle attività protette di cui sopra, ma egli deve, altresì, normalmente dimostrare di aver fatto ciò a contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori.
Infatti, la norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennità di avviamento in favore del conduttore, nel senso che, su quest'ultimo, nella veste di attore, grava l'onere di provare non solo di avere esercitato, nell'immobile, una delle attività per le quali l'indennità è prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori (giurisprudenza costante: v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2005, n. 12125; Cass. civ., sez. III, 11 aprile 2003, n. 5757; Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 1995, n. 10397).
L'onere della prova circa il contatto diretto con il pubblico è, però, ribaltato quando detto contatto sia naturalmente connaturato alla destinazione contrattuale dell'immobile, sicché, qualora l'utilizzazione dell'immobile per un'attività comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile (nella specie, ristorante e locanda), il conduttore che agisce per la liquidazione dell'indennità non ha l'onere di provare la suddetta circostanza, incombendo viceversa al locatore, che eccepisca una diversa destinazione effettiva dell'immobile, l'onere di provare tale fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1992, n. 11405).
In altri termini, in quest'ultima ipotesi, si verifica un'inversione dell'onere della prova conseguente all'applicazione della presunzione semplice concernente l'esistenza del contatto diretto con il pubblico in presenza dello svolgimento di attività alle quali il contatto con il pubblico è connaturato; il requisito del contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori può risultare implicitamente, in virtù del notorio, dalla destinazione dell'immobile ad un'attività implicante necessariamente siffatta frequentazione (Cass. n. 20829/2006, cit.; cui adde Cass. civ., sez. III, 19 maggio 2010, n. 12278).
Pertanto, il conduttore che, in seguito alla cessazione del rapporto, chieda il pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale non ha l'onere di provare che l'immobile era utilizzato per il contatto diretto con il pubblico degli utenti e dei consumatori, se questa circostanza derivi dalla stessa destinazione contrattuale dell'immobile, gravando sul locatore, che eccepisce la diversa destinazione effettiva, l'onere di provare tale fatto impeditivo della pretesa del conduttore, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c.; qualora, invece, la destinazione individuata dalle parti in contratto non implichi il contatto diretto con il pubblico ma, nel quadro dell'attività della parte conduttrice o anche della stessa destinazione prevista dalle parti, possa in concreto implicare o non implicare quel contatto, compete al conduttore provare che, com'era lecito nell'economia del regolamento contrattuale, l'immobile è stato effettivamente adibito ad attività comportante il contatto in questione (così lucidamente Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2010, n. 10615).
L'onere probatorio va, altresì, a gravare sul locatore qualora sia egli ad agire in giudizio, in vista dell'accertamento negativo della spettanza di tale indennità al conduttore, a nulla rilevando che, trattandosi di prova negativa, l'adempimento di tale onere può rivelarsi, in concreto, particolarmente gravoso assolverlo (Cass. civ., sez. III, 19 luglio 2000, n. 9491).
Nell'ipotesi di azione di accertamento negativo proposta dal locatore e di correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno ritenersi gravate dall'onere di provare le rispettive, contrapposte pretese, con conseguente soccombenza della parte incapace di assolverlo.
Riassumendo, può dirsi che la distribuzione dell'onere della prova nelle controversie in tema di indennità di avviamento è così regolata: la norma di cui all'art. 2697 c.c., relativa alla generale disciplina dell'onere della prova in giudizio, trova applicazione, in sede di controversie insorte in tema di corresponsione dell'indennità di avviamento in favore del conduttore, nel senso che a quest'ultimo (che rivesta la qualità di attore) spetta il compito di provare non solo di aver esercitato, nell'immobile, una delle attività per le quali l'indennità è prevista, ma anche che la medesima comportava contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, nessun obbligo di accertamento d'ufficio gravando, in tal senso, sul giudice procedente; se, al contrario, la qualità di attore sia rivestita dal locatore, onde ottenere l'accertamento negativo della spettanza di tale indennità al conduttore, sarà esclusivo onere del primo provare l'insussistenza dei presupposti del relativo diritto, mentre, nell'ipotesi di azione di accertamento negativo proposta dal locatore e correlativo dispiegamento di domanda riconvenzionale da parte del convenuto, ambedue le parti dovranno ritenersi gravate dall'onere di provare esaustivamente le rispettive, contrapposte pretese (così Cass. civ., sez. III, 6 agosto 1997, n. 7282).
È opportuno evidenziare, da ultimo, che la prova dei contatti diretti con il pubblico non implica la necessità di dare riscontro dell'esistenza di insegne o di altri mezzi di richiamo per la clientela (come precisato da Cass. civ., sez. III, 29 febbraio 2008, n. 5510).
Riferimenti
Di Marzio, Commento all'art. 35 della l. n. 392/1978, in Codice delle locazioni diretto da Celeste, Milano, 2020, 635;
Nardi, Indennità per la perdita di avviamento e prova del contatto con il pubblico, in Ilquotidianogiuridico.it, 2010;
Carrato, Il contatto diretto con il pubblico: un requisito necessario per l'indennità, in Immob. & diritto, 2009, fasc. 2, 58;
Bellardini, Note in tema di indennità per perdita di avviamento e contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in Giur. it., 1999, 2260;
Guida, L'avviamento commerciale per una società di intermediazione immobiliare: l'onere di provare i contatti diretti con il pubblico, in Rass. loc. e cond., 1998, 212;
De Tilla, Sull'indennità di avviamento ed i contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, in Arch. loc. e cond., 1996, 392;
Rezzonico, Avviamento commerciale e contatti diretti con il pubblico, in Arch. loc. e cond., 1989, 722;
Cappabianca, “Attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori” ai fini dell'avviamento e della prelazione: due contrastanti pronunzie della Cassazione, in Foro it., 1988, I, 2636;
Benini, Sull'indennità di avviamento alla fine del regime transitorio, in particolare sul concetto di “pubblico degli utenti”, in Giur. merito, 1987, 387;
Giove, A proposito di “compenso” per l'avviamento e della nozione di “pubblico di utenti e consumatori”, in Giur. it., 1987, I, 2, 281.
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