Responsabilità per i danni cagionati da fauna selvatica

La Redazione
27 Maggio 2024

La Suprema Corte, con la sentenza n. 14555 del 24 maggio 2024, ha definito i criteri di responsabilità per i danni causati dalla fauna selvatica e per l'applicazione delle norme di tutela ambientale.

Il caso riguardava un giudizio instaurato da una donna contro la Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e la Provincia di Trieste, volto ad ottenere la condanna di queste ultime al risarcimento ex art. 2043 c.c. dei danni, patrimoniali e non, conseguenti al ferimento della gamba sinistra ad opera di un cinghiale, che l'aveva aggredita mentre si trovava nel giardino di una privata abitazione. Il giudice di primo grado dichiarava la responsabilità della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, con pronuncia confermata dalla Corte d'appello. La Regione proponeva quindi ricorso per cassazione, lamentando violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c., omessa e/o insufficiente motivazione, violazione dell'art. 2697 c.c. in materia di onere della prova. Secondo la ricorrente la Corte territoriale aveva ad essa attribuito la responsabilità «in totale spregio e in aperta violazione dei presupposti per invocare una responsabilità ex art. 2043 c.c. …, non avendo fatto alcun cenno: né alla pericolosità concreta dello specifico luogo del sinistro; né all'allegazione e prova di alcuno dei richiamati elementi costitutivi della paventata responsabilità», ma essendosi limitata a ritenerla responsabile «per il solo fatto della asserita verificazione del danno e della mera allegazione della presenza in Regione di un numero eccessivo di esemplari di cinghiali».  

I giudici di legittimità hanno in proposito richiamato l'orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. civ. n. 31342/2023; Cass. civ. n. 16550/2022, Cass. civ. n. 3023/2021, Cass. civ. n. 20997/2020Cass. civ. . 13848/2020) secondo cui qualora si invochi il risarcimento dei danni cagionati dalla fauna selvatica, trova applicazione la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., norma applicabile, come ribadito dalla Suprema Corte «non soltanto nel caso di animali domestici, ma anche di specie selvatiche protette ai sensi della legge n. 157/1992 che rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla Regione, quale ente competente a gestire la fauna selvatica in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema (art. 1, comma 3, legge n. 157/1992)». Da tale orientamento consegue che, in via generale, quanto agli oneri probatori, in applicazione del criterio oggettivo ex art. 2052 c.c. «il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico (e, quindi, dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157/1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato)».

Tuttavia, fermo restando quanto sopra, è indubbia la facoltà del danneggiato di agire in giudizio ex art. 2043 c.c., facendosi carico del maggior onere probatorio previsto da tale norma e questo è quanto accaduto nel caso specifico, in cui la danneggiata, ferita dal cinghiale, ha introdotto il giudizio di merito chiedendo l'accertamento della responsabilità della Regione “esclusivamente” ai sensi dell'art. 2043 c.c.

In applicazione dei citati principi, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Regione, confermando la sentenza della Corte d'Appello. Invero, i giudici di secondo grado, dopo aver fatto rientrare il caso nell'ambito dell'art. 2043 c.c. hanno ritenuto provata «la responsabilità della Regione per aver omesso di adottare misure idonee ad arginare il progressivo e ingravescente pericolo, più volte segnalato negli articoli di cronaca locale, dell'avvicinarsi dei cinghiali alle abitazioni poste in prossimità delle zone boschive, in tal modo sottovalutando, nell'ambito della propria attività di indirizzo e pianificazione, il problema della proliferazione della specie e del conseguente crescente bisogno di procurarsi il cibo». Il suddetto giudizio di responsabilità è insindacabile in sede di legittimità «in quanto scevro da vizi giuridici e da quei soli gravissimi vizi logici rilevanti dopo la novella del 2012 del n. 5 dell'art. 360 c.p.c.». Al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa ma solo quello di controllare sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione del giudice di merito.

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