Le modalità di deduzione della prova testimoniale

Vito Amendolagine
29 Maggio 2024

Il d.lgs. n. 149/2022,  meglio noto come riforma Cartabia, ha modificato il codice di diritto processuale civile, intervenendo anche sulla tempistica riguardante l'indicazione dei mezzi di prova, tra i quali rientra quella testimoniale. 

Introduzione

L'entrata in vigore del d.lgs. n. 149/2022 meglio nota come riforma Cartabia, ha modificato il codice di diritto processuale civile, intervenendo anche sulla tempistica riguardante l'indicazione dei mezzi di prova, tra i quali rientra quella testimoniale, la cui allegazione deve essere contenuta nel primo atto difensivo utile sia per l'attore che per il convenuto.

In ordine a tale aspetto, va altresì considerata la scansione temporale riguardante il deposito degli atti che è differente in ragione della tipologia del rito processuale adottato, se a cognizione ordinaria oppure a cognizione semplificata.

Ciò premesso, le norme chiave di cui deve tenersi debitamente conto quanto alle modalità di deduzione della prova testimoniale sono gli artt. 244, 250 e 257-bis c.p.c. che disciplinano rispettivamente la modalità di deduzione della prova orale, l'intimazione ai testi da escutere che può essere effettuata non solo dall'ufficiale giudiziario ma anche dal difensore che si avvalga della notifica dell'atto a mezzo del servizio postale, e la cd. testimonianza scritta.

L'art. 246 c.p.c. attiene invece all'incapacità della persona chiamata a testimoniare ed è una norma rilevante per quanto attiene ai limiti alla richiesta di prova testimoniale ed alla stessa delimitazione delle relative eccezioni al suddetto principio.    

L'ammissibilità della richiesta di prova testimoniale

La parte che chiede l'ammissione di una prova testimoniale ha l'onere di capitolarla, ovvero di dedurla enunciando in modo chiaro e specifico le singole circostanze sulle quali ciascun teste è chiamato a deporre.

Inoltre, deve esistere una chiara correlazione specifica tra la persona del teste – che deve essere correttamente identificato – e la relativa circostanza sulla quale è chiamato a deporre, atteso che va specificato su quali fatti oggetto di causa il singolo teste deve esprimersi.

Una pronuncia della Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 18 novembre 2021, n. 35146), ha contribuito a chiarire – mettendo ordine – i requisiti che la richiesta di ammissione di una prova testimoniale deve necessariamente rispettare, soffermandosi in particolare sulla formulazione negativa, la valutatività, l'irrilevanza e la genericità della relativa formulazione.

Quanto alla formulazione negativa dei relativi capitoli di prova testimoniale, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità, nessuna norma di legge e nessun principio desumibile in via interpretativa impedisce di provare per testimoni che un fatto non sia accaduto o non esista (Cass. civ., sez. V, 17 luglio 2019, n. 19171; Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2013, n. 14854; Cass. civ., sez. III, 11 gennaio 2007, n. 384; Cass. civ., sez. II, 15 aprile 2002, n. 5427).

L'inaccettabile opinione che il capitolo di prova testimoniale debba essere formulato in modo positivo, oltre che erronea in diritto è anche manifestamente insostenibile sul piano della logica, sol che col vaglio della logica la si volesse esaminare.

Chiedere, infatti, a taluno di negare che un fatto sia vero equivale, sul piano della logica, a chiedergli di affermare che quel fatto non sia vero.

Sicché l'opinione che non ammette la possibilità di formulare capitoli di prova testimoniale in modo negativo perviene al paradosso di ammettere o negare la prova non già in base al suo contenuto oggettivo, ma in base al tipo di risposta che si sollecita dal testimone. 

In ordine all'ulteriore requisito inerente la valutatività, quest'ultima, è l'istanza istruttoria intesa a sollecitare dal testimone un giudizio, ragione per cui riferire se una situazione reale esista o non esista non è un giudizio, ma una percezione sensoriale. In tale ottica, la giurisprudenza di legittimità ha quindi affermato che i testi possono essere ammessi a deporre su circostanze cadenti sotto la comune percezione sensoria, essendo loro precluso solo di esprimere giudizi di natura tecnica (Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1974, n. 4120; Cass. civ., sez. I, 15 gennaio 1969, n. 58; Cass. civ., sez. III, 21 marzo 1962, n. 575).

Il testimone, pertanto, se non può essere chiamato a fornire una interpretazione dei fatti, una loro qualificazione od un apprezzamento tecnico o giuridico, ciò non significa che non possa esprimere anche il convincimento che del fatto, e delle sue modalità, sia derivato al teste per sua stessa percezione (Cass. civ., sez. III, 19 settembre 1980, n. 5322; Cass. civ., sez. II, 21 luglio 1971, n. 2393).

Il testimone quindi può in determinati casi anche esprimere giudizi, quando si tratti di apprezzamenti di assoluta immediatezza, praticamente inscindibili dalla percezione dello stesso fatto storico. 

Naturalmente resterà sempre ferma la possibilità per il giudice, all'esito della prova, di reputarne irrilevante il contenuto, quando la deposizione testimoniale non abbia saputo indicare i dati obiettivi e modalità specifiche della situazione concreta, che possano far uscire la percezione sensoria da un ambito puramente soggettivo e trasformarla in un convincimento scaturente obiettivamente dal fatto (Cass. civ., sez. II, 5 febbraio 1994, n. 1173; Cass. civ., sez. III, 22 agosto 1983, n. 5460).

Questo, però, ex post, dopo avere raccolto la deposizione, e non già ex ante, in sede di valutazione dell'ammissibilità della prova.

Infine generico, è il capitolo di prova testimoniale privo di riferimenti spazio-temporali precisi.

I limiti alla prova testimoniale

Gli artt. 2721 e ss. c.c. danno luogo a regole epistemiche di esclusione della prova, volte ad evitare essenzialmente che di un contratto siano offerte contemporaneamente al giudice prove documentali e prove testimoniali, reputandosi queste ultime meno affidabili delle prime.

Gli artt. 2721 c.c. e ss. sono dunque accomunati dal prevedere i divieti della prova testimoniale dei contratti e le rispettive eccezioni, tutti stabiliti nell'esclusivo interesse delle parti private, e non nell'interesse pubblico al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, ragione per cui il regime di rilevabilità dell'eventuale deviazione dal modello legale non è officioso, ma viene lasciato alla disponibilità dei contendenti.

Pertanto, l'inammissibilità della prova testimoniale di un contratto che deve essere provato per iscritto, ai sensi dell'art. 2725, comma 1, c.c., attenendo alla tutela processuale di interessi privati, non può essere rilevata d'ufficio, ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima dell'ammissione del mezzo istruttorio, mentre qualora, nonostante l'eccezione d'inammissibilità, la prova sia stata egualmente assunta, è onere della parte interessata opporne la nullità secondo le modalità dettate dall'art. 157, comma 2, c.p.c., rimanendo altrimenti la stessa ritualmente acquisita, senza che detta nullità possa più essere fatta valere in sede di impugnazione (Cass. civ., sez. un., 5 agosto 2020, n. 16723).

Ciò premesso, ai sensi dell'art. 2721 c.c. la prova per testimoni dei contratti non è ammessa quando il valore dell'oggetto eccede euro 2,58, ma l'autorità giudiziaria può consentire la prova oltre il suddetto limite tenuto conto della qualità delle parti, della natura del contratto e di ogni altra circostanza.

Inoltre, in base all'art. 2722 c.c. la prova per testi non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento per i quali si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea.

La disposizione in esame sancisce dunque la prevalenza della prova documentale su quella testimoniale. Conseguentemente, ex art. 2723 c.c. qualora si alleghi che dopo la formazione di un documento, è stato stipulato un patto aggiunto o contrario al contenuto dello stesso, l'autorità giudiziaria può consentire la prova per testimoni soltanto se, avuto riguardo alla qualità delle parti, alla natura del contratto e ad ogni altra circostanza, appare verosimile che siano state fatte aggiunte o modificazioni verbali.

L'art. 2723 c.c. stabilisce che la prova documentale supera il mezzo di prova testimoniale, ma, in ordine alla circostanza concernente un accordo successivo alla formazione del documento, spetterà al giudice valutare se tale prova ulteriore sia accettabile o meno.

Inoltre in base all'art. 2725 c.c. quando secondo la legge o la volontà delle parti, un contratto debba provato per iscritto, la prova testimoniale è ammissibile soltanto nell'ipotesi prevista dal n. 3 dell'art. 2724 c.c. e la stessa regola trova applicazione nei casi in cui la forma scritta è richiesta a pena di nullità.

Il divieto della prova testimoniale sancito dall'art. 2725 c.c. è quindi volto ad indurre le parti a precostituire un documento in cui l'atto risulti consacrato, risultando ammissibile la prova testimoniale soltanto qualora il contraente abbia, senza sua colpa, perduto l'atto costituente la prova.

Le eccezioni ai limiti della prova testimoniale

L'art. 2724 c.c. prevede le ipotesi – tassative – in cui per il giudice ricorre l'obbligo di ammettere la prova testimoniale.

Infatti a mente della norma anzidetta la prova testimoniale è ammessa in ogni caso quando vi è un principio di prova per iscritto, per tale dovendo intendersi qualsiasi scritto proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante che faccia apparire come verosimile il fatto allegato, oppure quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta, ovvero quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.

In particolare, in tema di prova testimoniale, i limiti di valore, sanciti dall'art. 2721 c.c., non attengono all'ordine pubblico, ma sono dettati nell'esclusivo interesse delle parti private, con la conseguenza che qualora, in primo grado, la prova venga ammessa oltre i limiti predetti, essa deve ritenersi ritualmente acquisita, ove la parte interessata non ne abbia tempestivamente eccepito l'inammissibilità in sede di assunzione o nella prima difesa successiva (Cass. civ., sez. II, 19 novembre 2020, n. 26348).

Per quanto attiene l'ulteriore divieto di provare per testi patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, previsto dall'art. 2722 c.c., tale norma si riferisce al documento contrattuale, formato con l'intervento di entrambe le parti e racchiudente una convenzione ragione per cui non può quindi operare riguardo alla fattura, che è un'atto contenente una dichiarazione unilaterale (Cass. civ., sez. II, 19 settembre 2019, n. 23414).

Infatti i limiti legali di ammissibilità della prova orale non operano quando la stessa sia diretta non già a contestare il contenuto di un documento, ma a renderne esplicito il significato, ragione per cui il divieto dell'ammissione della prova testimoniale stabilito dall'art. 2722 c.c., in ordine ai patti aggiunti o contrari al contenuto negoziale di un documento, riguarda solo gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto del negozio, non investendo anche la prova diretta ad individuarne la reale portata, attraverso l'accertamento degli elementi di fatto che determinarono il consenso dei contraenti (Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2020, n. 9952).

L'indicazione specifica dei testi e la redazione delle posizioni sulle quali sono chiamati a deporre

In materia di prova testimoniale, con particolare riferimento alla corretta indicazione dei testi, devono essere bilanciate le contrapposte esigenze processuali della parte che deduce la prova e di quella che vi si oppone o che vi si potrebbe opporre.

La prima non sempre è in grado di conoscere il nominativo esatto e completo del teste, mentre la seconda ha diritto di individuare preventivamente la persona chiamata a deporre per valutarne la capacità, e, comunque, per predisporre al meglio un eventuale controesame.

La necessità di considerare anche l'esigenza della parte che deduce il mezzo di prova fino a che ciò non pregiudichi il contrapposto interesse della parte avversa, trova eco nella giurisprudenza di legittimità lì dove è stata ritenuta ammissibile l'individuazione indiretta del testimone tramite la funzione espletata nell'ufficio o nell'ente di cui questi faccia parte, a condizione che tale modalità di designazione consenta di identificare con sicurezza la persona, onde consentire all'altra parte, nel rispetto delle regole del contraddittorio, di individuare il teste di cui l'istante intende avvalersi (Cass., n. 9159/2003).

Nelle controversie soggette al rito lavoristico il problema si è presentato sotto un altro aspetto, essendosi più volte affermato che qualora la parte abbia, con l'atto introduttivo del giudizio, proposto capitoli di prova testimoniale, specificamente indicando di volersi avvalere del relativo mezzo in ordine alle circostanze di fatto ivi allegate, ma omettendo l'enunciazione delle generalità delle persone da interrogare, tale omissione non determina decadenza dalla relativa istanza istruttoria, ma concreta una mera irregolarità, che abilita il giudice all'esercizio del potere-dovere di cui all'art. 421, comma 1, c.p.c. (Cfr. Cass., n. 17649/2010).

L'art. 244 c.p.c. stabilisce che la prova per testimoni deve essere dedotta mediante l'indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti, formulati in articoli separati, sui quali ciascuna deve essere interrogata.

L'introduzione di tale mezzo istruttorio è soggetta ad una formalità unitaria, composta dall'indicazione di persone e di circostanze di fatto, le une e le altre destinate a chiarirsi ed integrarsi fra loro.

Tale formalità di deduzione della prova testimoniale, non essendo altrimenti predefinita dal legislatore, deve essere funzionale allo scopo dell'atto, secondo il principio della nullità a rilevanza variabile che si enuclea dall'art. 156, comma 2, c.p.c., in base alla quale, la nullità può essere pronunciata quando l'atto manchi dei requisiti di forma-contenuto indispensabili al raggiungimento dello scopo.

Nello specifico, pertanto, lo scopo dell'atto è dato dall'assunzione come teste della persona a tale fine indicata, una volta superato il vaglio di capacità a deporre in relazione al quale l'altra parte può sollevare le proprie eccezioni. Ne deriva che è inidonea allo scopo solo l'indicazione del teste che, per insufficienza o per altra causa, non consenta all'altra parte tale esercizio del diritto di difesa.

Coordinando, dunque, le due regole anzidette, quella dell'art. 244 c.p.c. e quella dell'art. 156, comma 2, c.p.c., si ottiene che il teste deve essere indicato in maniera sufficientemente determinata o comunque determinabile, e che un'imperfetta od incompleta designazione degli elementi identificativi delle cd. generalità personali – nome, cognome, data di nascita, residenza ecc. – è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa ed al contraddittorio solo se provochi in concreto la citazione e l'assunzione come teste di un soggetto realmente diverso da quello previamente indicato, così da spiazzare l'aspettativa della controparte ad esercitare il proprio diritto a contraddire (Cass. civ., sez. II, 20 novembre 2013, n. 26058).

La specifica indicazione dei fatti non attiene al piano della validità della prova, ma a quello preliminare del giudizio di rilevanza.

Una testimonianza articolata non in fatti specifici, ma in valutazioni, è irrilevante dal punto di vista della sua efficacia probatoria.

Alla base dell'apprezzamento della rilevanza della prova vi è l'esigenza di economia processuale di evitare un'attività che, in quanto relativa a mezzo di prova irrilevante, contrasta con esigenze di economia e di ragionevole durata del processo.

La ratio dell'art. 244 c.p.c. va dunque individuata, oltre che nell'esigenza di mettere la controparte in condizione di eccepire l'irrilevanza o l'inammissibilità della prova e di dedurre la prova contraria, nella necessità di consentire al giudice la formulazione del giudizio preliminare di rilevanza.

A tale fine è richiesta la specificità nell'indicazione dei fatti, per tale dovendo intendersi quella che consente al giudice di stabilire, in relazione al particolare thema probandum della lite, se i fatti indicati ad oggetto della prova sono rilevanti ai fini della decisione, mentre di contro, non è specifica l'indicazione che non consenta al giudice di formulare questa particolare valutazione.

È appena il caso di rilevare che l'indicazione che soddisfa le esigenze valutative del giudice soddisfa anche quelle della controparte, poiché in capo ad essa nascono l'interesse ed il potere di controdedurre acchè la prova sia dedotta in modo che se ne possa apprezzare la rilevanza.

La sanzione alla mancanza dell'indicazione specifica dei fatti è l'inammissibilità della prova testimoniale, ragione per cui, più esattamente, il giudice non l'ammette se, non potendone valutare la rilevanza, non può fare altro che dichiararla irrilevante.

Trattasi pertanto non dell'inammissibilità conseguente ad una decadenza o ad una regola di validità dell'atto processuale come quella della capacità a testimoniare, ma dell'inammissibilità relativa al preliminare giudizio, rispetto a quello di nullità, di rilevanza stessa del mezzo di prova della cui ammissione si discorre.

La rilevabilità d'ufficio del difetto di una specifica indicazione dei fatti discende dal fatto che tale requisito è imposto anzitutto per consentire al giudice la valutazione sulla rilevanza della prova. Pertanto, solo quando il giudice non ne abbia rilevato la mancanza, ed abbia ammesso la prova, diventa decisivo il comportamento della controparte, che può limitarsi a dedurre la prova contraria oppure eccepire la violazione di regole di validità, quale quella della capacità a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c., atteso che la violazione di una regola di validità quale quella dell'art. 246 c.p.c. a tutela dell'interesse delle parti, ha carattere relativo ed è rilevabile solo su eccezione di parte (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2009, n. 23054; Recentemente, Cass. civ., sez. un., 6 aprile 2023, n. 9456), ha affermato che l'incapacità a testimoniare disciplinata dall'art. 246 c.p.c. non è rilevabile d'ufficio, sicché, ove la parte non formuli l'eccezione di incapacità a testimoniare prima dell'ammissione del mezzo, detta eccezione rimane definitivamente preclusa, senza che possa poi proporsi, ove il mezzo sia ammesso ed assunto, eccezione di nullità della prova. Inoltre, ove la parte abbia formulato l'eccezione di incapacità a testimoniare, e ciò nondimeno il giudice abbia ammesso il mezzo ed abbia dato corso alla sua assunzione, la testimonianza così assunta è affetta da nullità, che, ai sensi dell'art. 157 c.p.c., l'interessato ha l'onere di eccepire subito dopo l'escussione del teste ovvero, in caso di assenza del difensore della parte alla relativa udienza, nella prima udienza successiva, determinandosi altrimenti la sanatoria dell'anzidetta nullità. La parte che ha tempestivamente formulato l'eccezione di nullità della testimonianza resa da un teste che si assume essere incapace a testimoniare, deve poi dolersene in modo preciso e puntuale anche in sede di precisazione delle conclusioni, dovendosi altrimenti ritenere l'eccezione rinunciata, così da non potere essere riproposta in sede d'impugnazione), mentre l'apprezzamento in ordine alla specifica indicazione dei fatti da provare si colloca su un piano preliminare, in quanto relativo alla rilevanza della prova, e dunque l'eventuale mancanza della specifica indicazione resta rilevabile d'ufficio (Cass. civ., sez. VI-3, 19 gennaio 2018, n. 1294).

Ciò nell'ambito di quel più generale potere in tema di prova, per il quale, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova (Cass. civ., sez. lav., 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. civ., sez. lav., 15 luglio 2009, n. 16499).

Nel caso in cui sia richiesta al giudice la riformulazione dei capitoli di prova o di disporre d'ufficio la prova testimoniale ex art. 281 ter c.p.c., ove detta richiesta sia rigettata, il rigetto non costituisce una denunzia di violazione dell'art.281 ter c.p.c. perché il potere officioso del giudice non può supplire alle carenze delle parti nell'esporre l'attività istruttoria (Cass. civ., sez. VI, 9 maggio 2019, n. 12280).

La testimonianza scritta

La testimonianza scritta è stata introdotta con l'art. 257-bis c.p.c. dalla l. n. 69/2009, ai sensi del quale, il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi di cui all'art. 203 c.p.c., di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui quali deve essere interrogato.

La differenza con l'assunzione della prova testimoniale nella modalità orale risiede dunque nella sua forma che, è invece quella scritta redatta sulla scorta del modello conforme a quello – sottoscritto in ogni suo foglio dalla parte che ne ha curato la compilazione – approvato con decreto del ministero della Giustizia in cui sono individuate anche le istruzioni per la sua compilazione, da notificare unitamente al suddetto modello ai sensi dell'art. 103-bis, disp. att. c.p.c.

Tale modello deve contenere, oltre all'indicazione del procedimento e dell'ordinanza di ammissione da parte del giudice procedente, idonei spazi per l'inserimento delle complete generalità del testimone, dell'indicazione della sua residenza, del suo domicilio e, ove possibile, di un suo recapito telefonico.

Il suddetto modello deve altresì contenere l'ammonimento del testimone ai sensi dell'art. 251 c.p.c. e la formula di rito di cui al medesimo articolo, oltre all'avviso in ordine alla facoltà di astenersi ai sensi degli artt. 200,201 e 202 c.p.p., con lo spazio per la sottoscrizione obbligatoria del testimone, nonchè le richieste di cui all'art. 252, comma 1, c.p.c., ivi compresa l'indicazione di eventuali rapporti personali con le parti, e la trascrizione dei quesiti ammessi, con l'avvertenza che il testimone deve rendere risposte specifiche e pertinenti a ciascuna domanda e deve altresì precisare se ha avuto conoscenza dei fatti oggetto della testimonianza in modo diretto o indiretto.

Al termine di ogni risposta è apposta, di seguito e senza lasciare spazi vuoti, la sottoscrizione da parte del testimone.

Le sottoscrizioni devono essere autenticate da un segretario comunale o dal cancelliere di un ufficio giudiziario. L'autentica delle sottoscrizioni è in ogni caso gratuita nonchè esente dall'imposta di bollo e da ogni diritto.

Pertanto, il giudice, con il provvedimento di cui al comma 1 dell'art 257 bis c.p.c, dispone che la parte che ha richiesto l'assunzione predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al testimone.

Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con risposta separata a ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli cui non è in grado di rispondere, indicandone la ragione.

Il testimone sottoscrive la deposizione apponendo la propria firma autenticata su ciascuna delle facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla cancelleria del giudice (Trib. Milano, 11 dicembre 2013, in www.ilcaso.it, in cui si precisa altresì che grava sulla parte l'onere di predisporre il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi adottando la formula approvata con D.M. Giustizia e notificarlo al testimone).

Quando il testimone si avvale della facoltà d'astensione di cui all'art. 249 c.p.c., ha l'obbligo di compilare il modello di testimonianza, indicando le complete generalità ed i motivi di astensione. Quando il testimone non spedisce o non consegna le risposte scritte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo alla pena pecuniaria di cui all'art. 255, comma 1, c.p.c.

Quando la testimonianza ha ad oggetto documenti di spesa già depositati dalle parti, essa può essere resa mediante dichiarazione sottoscritta dal testimone e trasmessa al difensore della parte nel cui interesse la prova è stata ammessa, senza il ricorso al modello di cui al secondo comma.

Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato ad assumere la prova testimoniale.

Conclusioni

Le modalità di deduzione della prova testimoniale – in forma orale o scritta – è un parametro utile per garantire l'effettività del diritto di difesa sia della parte che la deduce sia di quella che la subisce, in tale ottica dovendo intendersi il senso della ratio legis sottostante alla richiamata disciplina processualistica e degli insegnamenti nomofilattici elaborati dalla giurisprudenza nel corso degli anni. In buona sostanza, in materia di prova testimoniale, con riferimento alla corretta modalità di indicazione dei testi, devono essere bilanciate le contrapposte esigenze processuali della parte che deduce la prova e di quella che vi si oppone.

La necessità di considerare anche l'esigenza della parte che deduce il mezzo di prova fino a che ciò non pregiudichi il contrapposto interesse della parte avversa, ha quindi trovato il conforto della giurisprudenza di legittimità, nel ritenere ammissibile l'individuazione indiretta del testimone attraverso la funzione espletata dal medesimo nell'ufficio o nell'ente di appartenenza, laddove tale peculiare modalità di designazione consenta di identificare con certezza la persona, in modo da consentire alla controparte, nel rispetto del contraddittorio, di individuare anch'essa il testimone chiamato a deporre.

Infatti se da un lato il teste da escutere deve essere indicato con una modalità tale da identificarlo senza possibilità di equivoco, dall'altro, un'incompleta designazione dei suoi elementi identificativi è idonea ad arrecare un vulnus alla difesa ed al contraddittorio soltanto se concretamente idonea ad indurre in errore la sua citazione, così da disorientare l'aspettativa della controparte.

Ciò si coglie con particolare riferimento alla modalità concernente la stessa richiesta della prova testimoniale che deve essere fatta attraverso l'indicazione specifica dei testimoni che si intende escutere dinanzi al giudice, nonché dei fatti formulati in capitoli numerati e separati sui quali ciascuno dei testi indicati dovrà essere chiamato a deporre (Trib. Foggia, 24 giugno 2013, in Pluris).

Infatti la preventiva articolazione dei capitoli di prova ha la funzione precipua di consentire una valutazione sull'ammissibilità e rilevanza – nonché sull'influenza e la pertinenza, anche al fine di consentire alla controparte di formulare un'adeguata prova contraria - della prova testimoniale che il giudice è chiamato ad ammettere su istanza della parte interessata.

Per tale ragione, si è ritenuta inammissibile la prova testimoniale dedotta con riferimento alle circostanze della pregressa narrativa in fatto dell'atto espunto qualunque tipo di elemento valutativo, laddove non articolata su fatti storici precisi e ben determinati, in modo tale da richiedere al giudice un'indebita attività di ripulitura dei fatti e di rimodulazione delle circostanze oggetto di testimonianza (Trib. Pavia, 25 maggio 2018, in www.diritto.it).

La deduzione della prova testimoniale sostituendo i capitoli di prova con un semplice rinvio alla narrativa in fatto dell'atto processuale, utilizzata in funzione di mero contenitore dei capitoli di prova oggetto di deduzione, risolvendosi in una prassi irrituale – contraria rispetto alle prescrizioni imposte dall'art. 244 c.p.c. – può dunque comportare la dichiarazione di inammissibilità della relativa richiesta.

Conseguentemente, il controllo del giudice sui requisiti di specificità e rilevanza dei capitoli di prova testimoniale formulati dalla parte istante deve investire non solo la loro formulazione letterale, ma anche l'adeguatezza fattuale e temporale delle stesse circostanze articolate, ragione per cui la facoltà del giudice di chiedere chiarimenti e precisazioni ex art. 253 c.p.c. non può tradursi in una sorta di sanatoria della genericità e delle deficienze dell'articolazione probatoria gravante sulla parte interessata (Cass. civ., sez. II, 5 giugno 2018, n. 14364). 

In buona sostanza, il “nucleo centrale” dei requisiti riguardanti la corretta capitolazione della prova testimoniale si fonda sulla specificità ex art. 244 c.p.c. la cui sussistenza concreta, è data dall'indicazione compiuta degli elementi essenziali di tempo, di luogo e di svolgimento delle circostanze di fatto, senza connotazioni formalistiche, al fine di porre il teste in condizioni tali da limitarsi a descrivere i fatti storici in modo obiettivo, costituenti l'oggetto della richiesta ammissione della prova testimoniale.

Non è quindi ammissibile il generico riferimento alle circostanze esposte in narrativa dell'atto processuale, ove i fatti sono narrati in maniera fluente, senza articolazione per punti, unitamente alle valutazioni giuridiche, ai giudizi ed alle conclusioni, senza alcuna possibilità di essere da essi estrapolate per capitoli (App. Torino, 14 settembre 1992, in Giur. It., 1994, I, 2, 370), non potendo il giudice sopperire a tale mancanza (Cfr. Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2011, n. 12292, in cui si è affermato che al loro carattere indeterminato non è idonea a supplire una lettura estrapolativa da parte del giudice, poichè ciò contrasterebbe con il principio della disponibilità della prova, che impedisce al medesimo giudice di sostituirsi alla parte nell'individuazione dei fatti da allegare). 

Riferimenti

G. Spallone, Fatto e testimonianza: la prova negativa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2022, 1243 e ss.;

A. Alfieri, Riflessioni sulla (in)ammissibilità del capitolo di prova testimoniale formulato negativamente, in Il giusto processo civile, 2022, 557 e ss.;

A. Ronco, Sulla rilevabilità dei limiti oggettivi (e soggettivi) della prova testimoniale, in Giur. It., 2021, 864 e ss.;

C. Gamba, Modalità irrituali di deduzione della prova testimoniale. L'assenza di capitolazione autonoma e il rinvio alla narrativa contenuta nell'atto processuale, 2018, in www.diritto.it;

R. Giordano, Questioni in tema di prova testimoniale, in Giur. di Merito, 2013, 475 e ss.;

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