Appalto non genuino: il licenziamento dell’appaltatore non fa decorrere i termini decadenziali per l'accertamento dell’interposizione fittizia
31 Maggio 2024
MASSIMA Nell'ipotesi di appalto non genuino, il licenziamento intimato dall'appaltatore non produce effetti in relazione alla domanda di accertamento del rapporto di lavoro in capo al committente ritenuto datore di lavoro sostanziale. Ne consegue che tale richiesta non soggiace ai termini decadenziali stabiliti dall'art. 32, comma 4, lett. d) della l. n. 183/2010 (collegato lavoro). Si applica, infatti, anche in questo caso l'art. 80-bis del d.l. n. 34/2020, conv., con l. n. 77/2020 che costituisce norma d'interpretazione autentica dell'art. 38 comma 3 del d.lgs. n. 81/2015. Di conseguenza il licenziamento è escluso tra gli atti gestori del rapporto di lavoro effettuati dall'appaltatore ed imputabili anche al committente. L'estensione per analogia dell'art. 80-bis del d.l. n. 34/2020 cit. all'ipotesi di appalto non genuina trova giustificazione nella medesima esigenza di tutela del lavoratore dinnanzi a fenomeni interpositori illeciti. Il CASO Un lavoratore ricorre in Cassazione dopo che entrambi i giudizi di merito avevano accolto l'eccezione di decadenza in base all'art. 32, comma 4, lett. d) del collegato lavoro, sollevata dalla società resistente. Il lavoratore ricorrente era stato licenziato dalla società appaltatrice. Tuttavia, eccepiva che il rapporto di lavoro fosse imputabile alla società committente. Tale deduzione si basava sull'assunto che durante l'espletamento delle sue mansioni fosse sempre stata quest'ultima ad esercitare il potere disciplinare e direttivo nei suoi confronti. Come già precisato, la Corte d'appello di Ancona aveva confermato la sentenza di primo grado che aveva accolto l'eccezione della committente in merito all'intervenuta decadenza ex art. 32 comma 4 del collegato lavoro. Il lavoratore, infatti, dopo aver impugnato stragiudizialmente il licenziamento entro 60 giorni nei confronti dell'appaltatore – quindi il soggetto che riteneva solamente datore di lavoro formale – aveva atteso quattro anni per presentare un ricorso nei confronti della committente volto a far accertare l'interposizione fittizia di manodopera. La sentenza della Corte d'Appello aderiva all'orientamento instaurato con la sentenza del 13 settembre 2016, n. 17969 della Suprema Corte in base al quale gli atti di gestione del rapporto posti in essere dal somministratore producono nei confronti dell'utilizzatore tutti gli effetti negoziali anche modificativi del rapporto di lavoro, loro propri, ivi incluso il licenziamento, con conseguente onere del lavoratore di impugnare il licenziamento nei confronti di quest'ultimo ai sensi dell'art. 6 della legge n. 604/1966. In altri termini, se un contratto di appalto viene riqualificato come somministrazione irregolare di manodopera, gli atti di gestione compiuti dall'appaltatore illecito devono intendersi riferiti al soggetto che in concreto ha utilizzato la prestazione lavorativa. Ne deriva che in caso di licenziamento intimato dall'appaltatore formale, l'impugnazione stragiudiziale dell'atto di recesso ed il successivo ricorso deve essere proposta tempestivamente nei confronti del committente che agisce di fatto come datore di lavoro, e non verso il somministratore (sul punto si veda anche Cass., sez. lav., ord. 7 marzo 2019, n. 350). Nel caso di specie i termini decadenziali non erano stati rispettati poiché, come già evidenziato, vi era stata la sola impugnazione stragiudiziale del licenziamento nei confronti del datore di lavoro formale. Il lavoratore ricorre in Cassazione evidenziando come nel caso di specie non trovasse applicazione l'art. 32, comma 4 lett. d) del collegato lavoro. Infatti, il licenziamento intimato da datore di lavoro formale deve essere considerato privo di effetti rispetto ad una domanda volta a far costituire il rapporto con il soggetto che viene indicato come datore di lavoro effettivo. LE QUESTIONI In presenza di un licenziamento intimato dal soggetto ritenuto essere datore di lavoro formale, la domanda volta a far costituire ex tunc il rapporto nei confronti dell'effettivo datore di lavoro è sottoposta ai termini decadenziali di cui all'art. 6 della l. n. 604/1966? In caso di risposta positiva al primo quesito i termini decorrono dal licenziamento intimato dal datore di lavoro fittizio? LE SOLUZIONI GIURIDICHE La Suprema Corte accoglie il ricorso del lavoratore e rinvia alla Corte d'Appello in altra composizione. Rifacendosi al suo più recente orientamento (cfr. Cass., sez. lav., 20 aprile 2023, n. 10694; Cass., sez. lav., 7 novembre 2023, n. 32412) la Suprema Corte conferma il principio in base al quale nell'appalto non genuino il licenziamento intimato dal datore di lavoro formale non produce effetti in merito alla domanda di costituzione del rapporto di lavoro in capo al committente. Anche questa ipotesi è sottoposta all'art. 80-bis del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, cit. Tale disposizione costituisce una norma d'interpretazione autentica dell'art. 38 comma 3 del d.lgs. n. 81/2015, escludendo esplicitamente il licenziamento tra gli atti gestori del somministratore imputabili anche all'utilizzatore. Dalla lettura delle motivazioni dell'ordinanza si evince come il già citato art. 80-bis sia applicabile in via analogica, stante la medesima finalità di tutela del lavoratore dinnanzi a fenomeni interpositori illeciti, anche nell'ipotesi di appalto non genuino. Ad ulteriore riprova nell'ordinanza viene rimarcata la sovrapponibilità dei testi normativi di cui all'art. 27 comma 2 del d.lgs. n. 276/2023 (cui l'art. 29 comma 3-bis del medesimo decreto anch'esso abrogato rinviava) e dell'attuale art. 38 comma 3 del d.lgs. n. 81/2015. Dunque, non essendo imputabile anche al committente il licenziamento intimato dall'appaltatore, ne consegue l'inapplicabilità dei termini di decadenza stabiliti dall'art. 32 comma 4 lettera d) del collegato lavoro. Manca in questo caso un atto formale recettizio attribuibile al soggetto reputato effettivo datore di lavoro dal quale far decorrere i termini decadenziali. Sul punto i Giudici di legittimità si richiamano ad un proprio precedente. Nello specifico la sentenza del 17 dicembre 2021, n. 40652 nella quale viene affermato che quanto stabilito dall'art. 32 comma 4 lettera d) della legge 183/2010 non sia applicabile in relazione alla domanda di costituzione del rapporto nei confronti di un soggetto diverso dal titolare del contratto . I termini di cui al comma 4 lett d) dell'art 32 cit. possono, infatti, decorrere solamente dal momento in cui il lavoratore riceve un provvedimento in forma scritta o un altro atto equipollente che neghi la titolarità del rapporto da parte del soggetto indicato come effettivo datore di lavoro (in senso conforme si veda anche Cass., sez. lav., 28 ottobre 2021, n. 30490). OSSERVAZIONI L'ordinanza qui brevemente annotata rafforza gli orientamenti più recenti sviluppatisi all'interno della Suprema Corte su due specifiche questioni. La prima riguarda la qualificazione dell'art. 80-bis del d.l. n. 34/2020 (conv., con modif., in l. n. 77/2020) come norma d'interpretazione autentica che stabilisce una regola applicabile in tutti i casi di fenomeni interpositori illeciti anche al di fuori dell'istituto della somministrazione. Strettamente collegato alla prima questione, in quanto anch'essa finalizzata alla tutela del lavoratore di fronte a fenomeni di esternalizzazione non genuini, vi è l'inapplicabilità dell'art. 32 del collegato lavoro al di fuori dai casi dallo stesso espressamente previsti. Sul punto l'ordinanza in commento si richiama espressamente a quanto stabilito dalla già citata sentenza n. 30490/2021, proprio in un caso di appalto non genuino. Nell'ipotesi di licenziamento intimato dall'appaltatore la domanda del lavoratore, finalizzata a dimostrare la non genuinità dell'appalto e, di conseguenza, ad accertare che il datore di lavoro sostanziale sia il committente, esula dal campo di applicazione dell'art. 32 comma 4 lettera d). Affinché i noti termini decadenziali per l'impugnazione trovino applicazione il lavoratore deve avere ricevuto un atto formale del committente che neghi la propria titolarità del rapporto. Il ragionamento sviluppato dai Giudici di Piazza Cavour parte dall'interpretazione letterale del medesimo art. 32. Il Legislatore nelle lettere a) e b) del comma 4, nel regolare la decadenza dall'azione nell'ipotesi di contratto a termine, ha escluso la necessità di un atto formale individuando, invece, uno specifico dies a quo consistente nella scadenza del termine. L'assenza di una specifica indicazione di un dies a quo nella lett. d) comporta la necessaria presenza di un provvedimento formale da impugnare dal quale far decorrere i noti termini decadenziali. Diversamente opinando si estenderebbe l'applicazione ad un fatto (l'interruzione del rapporto di lavoro con il committente) quando la struttura dell'art. 32 prevede come regola la necessità d'impugnare un atto scritto recettizio. In secondo luogo, si applicherebbe in via analogica una norma che stabilisce un termine di decadenza, ipotesi illegittima stante il carattere di eccezionalità di tale istituto. Non in ultimo, l'orientamento prevalente della Suprema Corte è che il sistema di decadenza stabilito per l'impugnazione dei licenziamenti ed altri ipotesi preveda necessariamente un atto scritto. Si pensi, ad esempio, all'inapplicabilità dei termini decadenziali di cui all'art. 6 legge 604/1966 ed art. 32 del collegato lavoro nell'ipotesi di licenziamento orale (Cass., sez. lav., ord. 11 gennaio 2019, n. 523). Infine, la decorrenza della decadenza ricondotta ad un fatto non espressamente previsto dal Legislatore potrebbe essere considerato in contrasto con l'art. 24 Cost. Non sarebbe possibile per il lavoratore individuare con certezza il termine entro il quale impugnare per non incorrere nella decadenza. |