Contratto valido ed efficace, ma sconveniente: come quantificare il risarcimento del danno?

30 Maggio 2024

Nel caso in cui le parti addivengano alla sottoscrizione di un contratto valido ed efficace, ma sconveniente, quali sono i criteri per quantificare il risarcimento del danno?

Il caso

Tizio e Caio sono entrambi operatori del settore commerciale, ma con ruoli e funzioni distinte. Il primo, imprenditore del ramo alimentare, tratta grandi partite di merci, destinate ai vari centri di distribuzione al dettaglio; l'altro, piccolo imprenditore, gestisce un punto vendite di beni di consumo dello stesso genere alimentare.

Tra tali soggetti si costituisce un vincolo contrattuale sulla cui base, Tizio, rifornisce dei prodotti Caio e questi provvede a collocarli sul mercato, ai consumatori finali.

Per lo svolgimento della sua attività, Caio riceve un aggio sul prezzo dei beni venduti.

L'accordo concluso tra dette parti contraenti era stato frutto, secondo le asserzioni di Caio, anche di una sollecitazione di Tizio, nel senso che questi aveva prospettato la possibilità di forniture future sempre più assortite, con la conseguente possibilità di ampliare, per Caio, le sue capacità di intercettare la domanda di un numero sempre maggiore di consumatori, ciò che avrebbe comportato ricadute positive sulle sue propensioni reddituali.

L'esecuzione del contratto, tuttavia, registra la doglianza di Caio, il quale asserisce di non aver ricevuto concreto riscontro rispetto alle prospettate maggiori e più ricche varietà di beni oggetto di promesse forniture, da parte di Tizio, nella fase preparatoria del negozio, ossia nella fase delle trattative, che poi condussero alla stipulazione dell'accordo contrattuale tra esse parti, Tizio e Caio.

Motivo, questo, che induce Caio a rivendicare il diritto di essere risarcito del danno cagionatogli dal comportamento di Tizio che, a detta della parte, si sarebbe tradotto in una violazione del principio della buona fede.

La questione

La questione che si pone, sostanzialmente, attiene alla pretesa, che Caio intende far valere, in base alla quale la responsabilità precontrattuale, debba essere affermata non solo in relazione all'ipotesi di rottura ingiustificata delle trattative, ma anche nel caso in cui la conclusione di un valido contratto sia, in realtà, di pregiudizio per gli interessi di una delle parti contraenti, vittima della condotta scorretta dell'altra parte.

In materia di trattative e responsabilità precontrattuale, l'ordinamento annovera la previsione (art. 1337 c.c.), secondo la quale, le parti, nell'ambito dello svolgimento della fase delle trattative ed in quella conseguente della formazione del contratto, sono chiamate a prestare un comportamento improntato a buona fede.

La norma (art. 1338 c.c.), richiama poi la parte che, conoscendo oppure dovendo conoscere l'esistenza di una causa, che decreti l'invalidità del contratto, abbia mancato di fornirne relativa notizia all'altra parte, all'obbligo del risarcimento del connesso danno, in particolare per avere l'altra parte confidato, senza anche averne colpa, nella validità del contratto.

Gli orientamenti maturati negli ultimi anni, muovono nel senso di ampliare il terreno applicativo della figura del culpa in contrahendo ai casi di contratto valido ed efficace, ma sconveniente, in ragione di un'interpretazione evolutiva della figura stessa.

In tali ambiti, in modo particolare, l'attenzione sembra essersi concentrata sulla determinazione del danno, in relazione a comportamenti precontrattuali od esecutivi illegittimi. Ciò nel caso in cui detto danno, appunto, si faccia discendere da un contratto che sia valido ed efficace, ma sconveniente.

In tale caso, si è così sostenuto come il risarcimento dovesse essere rapportato al minor vantaggio oppure al maggior aggravio economico, quale definito a cagione del contegno sleale, mantenuto da una delle parti.

Tuttavia, si fa comunque salva la possibilità di ulteriori danni, i quali risultino collegati a tale comportamento da un rapporto consequenziale e diretto.

Deve poi rilevarsi, a proposito del dolo, come lo stesso costituisca vizio del consenso. Esso opera riferimento, sostanzialmente, agli artifizi ad ai raggiri che il deceptor (contraente in mala fede), pone eventualmente in essere, al fine di indurre il deceptus (ossia il contraente che sia stato raggirato) a stipulare un negozio.

In genere, negli studi, come anche nell'ambito del diritto applicato, si usa ricorrere alla figura del dolo determinato (questo, caratterizzato dalla condizione di avere indotto un dato soggetto-vittima alla conclusione di un certo contratto che, diversamente, avrebbe mancato di stipulare).

In tale ambito, si usa anche inquadrare il complessivo tema, sostenendosi così come il ruolo svolto dal dolo resti limitato al solo contesto del regolamento negoziale, poiché, qualora non fosse caduta in errore, la parte destinataria del raggiro avrebbe stipulato lo stesso atto negoziale, ma a condizioni diverse e, dunque, per la stessa parte, meno onerose.

Per tale ragione, ai sensi della relativa disposizione normativa (art. 1440 c.c.), il contratto conserva la sua validità. Rispetto allo stesso, tuttavia, al deceptus è riconosciuto il risarcimento del danno da questi sofferto, per effetto dello svolgimento dell'attività fraudolenta.

Nel caso di domanda risarcitoria per dolo incidente, concernente la fattispecie rappresentata da un contratto che si presenti valido ed efficace ma sconveniente, si è sostenuto come la sussistenza eventuale dell'inganno nella formazione del consenso, non incida anche sulla stessa possibilità, propria della parte, di far valere i diritti che, dal contratto in questione, siano sorti in capo all'interessato.

Al riguardo si è, infatti, piuttosto ritenuto che, la situazione appena descritta, implichi che il contraente, il quale si sia reso attore della violazione dell'obbligo della buona fede, rappresenti anche centro di responsabilità del danno causato in conseguenza della condotta illecita alla quale quella stessa parte contraente abbia dato luogo.

Tale condotta, si è così concluso debba essere appunto commisurata al minor vantaggio ovvero al maggior aggravio di natura economica che, quella stessa condotta, sia stata capace di attuare.

Al tempo stesso, però, non si manca anche di sottolineare, negli orientamenti emersi sulla materia come, pur mancando la parte contraente, di un diritto all'occultamento dei fatti, la conoscenza dei quali sia indispensabile alla stessa controparte, allo scopo di permettere a questa la formazione corretta della sua volontà contrattuale, l'obbligo informativo si è escluso potesse essere ampliato sino al punto di imporre allo stesso contraente di rendere i motivi, in ragione dei quali si determini alla stipulazione del contratto, consentendo in tal modo alla controparte di beneficiare di un vantaggio non tanto dall'oggetto della trattativa, quanto da quelle motivazioni e da quelle risorse che appartengono all'altra parte.

In conclusione: nel caso di contratto valido ed efficace ma sconveniente, fonte di danno, il correlato risarcimento deve essere rapportato, nella sua misura: al minore vantaggio oppure al maggiore aggravio di ordine economico, definito attraverso il contegno sleale mantenuto da una delle parti.

Al tempo stesso, si ritiene debba escludersi possieda una sua rilevanza, il momento in cui la violazione della buona fede abbia avuto ingresso: se, cioè, questa stessa si sia verificata in momento che abbia preceduto quello di conclusione del contratto, oppure abbia piuttosto avuto luogo in un momento successivo.

In tale quadro, tuttavia, resta salva la possibilità di prestare la prova di ulteriori danni, i quali risultino posti in collegamento con l'anzidetta condotta, mediante un rapporto di diretta derivazione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.