Le statuizioni civili nel processo penale

31 Maggio 2024

Ci si è chiesti quale sia il limite del sindacato del Giudice penale e la regola di giudizio applicabile nelle ipotesi in cui, dichiarata la prescrizione del reato, l'Autorità Giudiziaria penale debba procedere a valutare la questione civile, nell'ipotesi in cui l'imputato non rinunzi alla prescrizione.

Inquadramento

L'art. 578, comma 1, c.p.p. prevede che, quando nei confronti dell'imputato è stata pronunciata condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati dal reato, a favore della parte civile, il Giudice d'Appello (o la Corte di Cassazione), nel dichiarare il reato estinto per intervenuta prescrizione, decide sull'impugnazione agli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

Tuttavia, ci si è chiesti quale sia il limite del sindacato del Giudice penale e la regola di giudizio applicabile nelle ipotesi in cui, dichiarata la prescrizione del reato, l'Autorità Giudiziaria penale debba procedere a valutare la questione civile, nell'ipotesi in cui l'imputato non rinunzi alla prescrizione.

L'orientamento delle Sezioni Unite della Corte di cassazione

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione (cfr. Cass. pen., sez. un., n. 35490/2009, Tettamanti) – hanno precisato che, nei casi in cui debba essere dichiarato il reato estinto per intervenuta prescrizione, il perimetro cognitivo del Giudice di appello muta a seconda della presenza – o dell'assenza – della parte civile.

Infatti, nel caso in cui nel processo penale non siano state svolte domande risarcitorie e restitutorie, il Giudice penale, applicando l'art. 129, comma 1, c.p.p., dovrà dichiarare il reato estinto in quanto prescritto, senza poter pronunziare un proscioglimento nel merito. Tale regola subisce un'eccezione: laddove emerga – ictu oculi e senza necessità di alcun ulteriore approfondimento istruttorio – con evidenza la non colpevolezza dell'imputato, il proscioglimento nel merito, ai sensi e per gli effetti di quanto dispone l'art. 129, comma 2, c.p.c., prevarrà sull'immediata dichiarazione della causa di non punibilità.

Il rapporto tra proscioglimento nel merito e immediata declaratoria di non punibilità muta nel caso in cui nel processo penale si sia costituita la parte civile.

Infatti, in tal caso, il Giudice penale d'Appello, ex art. 578 c.p.p., accertata la prescrizione, dovrà valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili e, se dall'analisi degli atti processuali emerge che non può ritenersi provata oltre ogni ragionevole dubbio la colpevolezza dell'imputato, l'Autorità Giudiziaria penale dovrà pronunziare un proscioglimento nel merito. Pertanto, in tali casi l'immediata declaratoria di non punibilità risulta non prevalente rispetto al provvedimento di merito: le ragioni di economia processuale sottese all'art. 129, comma 1, c.p.p. – e che sanciscono la prevalenza della declaratoria di non punibilità sul provvedimento di merito – devono considerarsi recessive nel caso in cui la parte civile si sia costituita nel processo poiché il Giudice dell'impugnazione è tenuto, pur in presenza di un reato prescritto, a procedere nel giudizio ai fini civilisti e, di conseguenza, non potrà confermare la condanna al risarcimento del danno laddove emerga che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato.

In altre parole, «il giudice del gravame dovrà esaminare tutto quanto rilevi ai fini della responsabilità civile, e se da detto esame emerge la prova dell'innocenza, egli dovrà ricorrere alla corrispondente formula assolutoria non potendo l'accertamento effettuato (sia pure per esigenza di decisione non penale) essere posto nel nulla attraverso la mera declaratoria di estinzione del reato» (Beltrani, 4111): la valutazione delle risultanze istruttori ai fini civili che porta ad escludere la penale responsabilità dell'imputato non può non riverberarsi anche sulla decisione penale, imponendo la prevalenza del proscioglimento nel merito.

L'esegesi proposta dalle Sezioni Unite Tettamanti si è andata consolidando nella giurisprudenza di legittimità, la quale ha chiaramente affermato che all'esito del giudizio, il proscioglimento nel merito non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, salvo il caso in cui il Giudice, in sede di appello, sopravvenuta una causa estintiva del reato, sia chiamato a valutare, ai sensi dell'art. 578 c.p.p., il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili (cfr. Cass. pen., sez. VI, n. 4855/2010; Cass. pen., sez. VI, n. 16155/2013; Cass. pen., sez. IV, n. 11193/2015; Cass. pen., sez. IV, n. 20568/2018; Cass. pen., sez. IV, n. 53354/2018; Cass. pen., sez. IV, n. 55519/2018 e Cass. pen., sez. IV, n. 5901/2019): l'emersione ex post di un compendio probatorio che non sia in grado di dimostrare la colpevolezza dell'imputato oltre ogni ragionevole dubbio impone al Giudice penale di pronunziare un proscioglimento nel merito.

L'esegesi della Corte costituzionale

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 182/2021, ha, invece, prospettato un'interpretazione alternativa rispetto a quella sostenuta dalla giurisprudenza di legittimità, proponendo una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 578 c.p.p.

In particolare, la Consulta ha chiarito che l'art. 578 c.p.p. «mira a soddisfare un'esigenza di tutela della parte civile; quella che, quando il processo penale ha superato il primo grado ed è nella fase dell'impugnazione, una risposta di giustizia sia assicurata, in quella stessa sede, alle pretese risarcitorie o restitutorie della parte civile anche quando non possa più esserci un accertamento della responsabilità penale dell'imputato ove questa risulti riconosciuta in una sentenza di condanna, impugnata e destinata ad essere riformata o annullata per essere, nelle more, estinto il reato per prescrizione».

Pertanto, il Giudice penale «non è affatto chiamato a formulare, sia pure incidenter tantum, un giudizio di colpevolezza penale quale presupposto della decisione, di conferma o di riforma, sui capi della sentenza impugnata che concernono gli interessi civili»

Infatti, «il giudice dell'impugnazione penale, nel decidere sulla domanda risarcitoria, non è chiamato a verificare se si sia integrata la fattispecie penale tipica contemplata dalla norma incriminatrice, in cui si iscrive il fatto di reato di volta in volta contestato; egli deve invece accertare se sia integrata la fattispecie civilistica dell'illecito aquiliano (art. 2043 c.c.). Con riguardo al fatto – come storicamente considerato nell'imputazione penale – il giudice dell'impugnazione è chiamato a valutarne gli effetti giuridici, chiedendosi, non già se esso presenti gli elementi costitutivi della condotta criminosa tipica (commissiva od omissiva) contestata all'imputato come reato, contestualmente dichiarato estinto per prescrizione, ma piuttosto se quella condotta sia stata idonea a provocare un danno ingiusto secondo l'art. 2043 c.c., e cioè se, nei suoi effetti sfavorevoli al danneggiato, essa si sia tradotta nella lesione di una situazione giuridica soggettiva civilmente sanzionabile con il risarcimento del danno».

Da ciò deriva che il Giudice penale, nell'esegesi della Consulta, è chiamato ad un autonomo accertamento di natura civilistica da compiere alla luce del criterio del “più probabile che non” o della “probabilità prevalente” e decide come se fosse un Giudice civile seppure nella sede del processo penale. Tuttavia, «giusta l'art. 573 c.p.p., continuerebbero invece ad applicarsi le regole probatorie processual-penalistiche, con riguardo sia ai messi di prova – restando utilizzabile, ad esempio, la testimonianza dell'offeso/parte civile, preclusa in sede civile dall'art. 246 c.p.c. –, sia alle relative modalità acquisite, sotto il profilo tanto del metodo di assunzione delle prove costituende […], quanto della rinnovazione istruttoria nel giudizio d'appello» (LAVARINI, 2021, 1590).

Pertanto, aderendo all'insegnamento della Corte Costituzionale, la prospettiva delle Sezioni Unite Tettamanti viene completamente rovesciata.

Infatti, il Giudice penale d'Appello, ex art. 578 c.p.p., accertata la prescrizione, dovrà valutare il compendio probatorio ai fini delle domande risarcitorie e restitutorie, senza che tale accertamento possa in alcun modo comportare una ulteriore valutazione della responsabilità penale dell'imputato: il Giudice penale, applicando l'art. 129, comma 1, c.p.p., dovrà dichiarare il reato estinto in quanto prescritto, senza poter pronunziare un proscioglimento nel merito e, successivamente, dovrà procedere nel giudizio ai fini civilistici. Tra l'accertamento penale e la valutazione delle domande civilistiche la Corte Costituzionale pone un divieto di comunicabilità, impedendo che elementi probatori e valutativi emersi durante l'analisi delle questioni civilistiche possano modificare, anche in melius, il giudizio sulla questione penale.

L'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite

Il contrasto tra l'esegesi giurisprudenziale prevalente, fondata sulle Sezioni Unite Tettamanti, e l'orientamento interpretativo espresso dalla Corte Costituzionale ha dato origine ad una ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite (cfr. Cass. pen., sez. IV, n. 30386/2023).

In particolare, il giudice rimettente ha evidenziato anche la significativa ricaduta pratica del contrasto interpretativo in esame.

Infatti, «il giudice di appello, trovatosi di fronte ad un reato prescritto, adottando la lezione della Corte costituzionale avrebbe dovuto:

1. ai fini penali, valutata l'insussistenza della evidenza della prova dell'innocenza dell'imputato, concludere per l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.

2. ai fini civilisti, valutata la responsabilità [dell'imputato] in rapporto alla fattispecie dell'illecito aquiliano, applicata la regola di giudizio del più probabile che non, pronunciarsi unicamente sul diritto delle parti civili al risarcimento del danno».

Diversamente, facendo applicazione del principio espresso dalle Sezioni Unite Tettamanti, il risultato sarebbe opposto, nella misura in cui l'esito processuale sarebbe quello del proscioglimento nel merito dell'imputato – e non della pronunzia di intervenuta prescrizione – laddove, nell'ambito dell'accertamento dell'illecito aquiliano, non emerga, oltre ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale dell'imputato.

Alla luce di tale contrasto interpretativo, la Corte di Cassazione rimette, ai sensi e per gli effetti di quanto dispone l'art. 618, comma 1-bis, c.p.p., la questione alle Sezioni Unite.

In conclusione

In attesa dell'intervento delle Sezioni Unite che dovrebbe dipanare il contrasto interpretativo sorto in relazione sindacato riconosciuto al Giudice penale ex art. 578, comma 1, c.p.p. ed all'individuazione della regola di giudizio applicabile, è possibile formulare alcune osservazioni.

Ad una prima analisi, la lettura interpretativa proposta dalla Corte Costituzionale appare preferibile nella misura in cui la questione civile – pur essendo decisa nell'ambito di un procedimento penale – non può che essere giudicata alla luce dei parametri proprio del processo civile, anche considerando che un innalzamento della regola di giudizio – ovvero l'applicazione del criterio dell' “oltre ogni ragionevole dubbio” in luogo del principio del “più probabile che non” – scardinerebbe l'art. 2043 c.c. e la logica civilista solo in considerazione della sedes materiae in cui la domanda risarcitoria o restitutoria è stata proposta.

Inoltre, «la circostanza che il giudice penale, per decidere sull'azione civile, debba accertare la sussistenza del fatto previsto dalla legge come reato non compromette in alcun modo la presunzione di innocenza: non solo perché “accertare” e “presumere” sono termini antitetici, ma perché ciò che si accerta non è il reato, ormai estinto, ma il “fatto” che costituisce anche illecito civile; accertamento che, avendo come oggetto un fatto e non un reato, si svolge a pieno titolo in via principale, senza alcuna interferenza con la dichiarazione di estinzione del reato. Come noto, la colpevolezza implica un fatto e una qualifica giuridica penale; mancando qui del tutto la seconda componente, resta parimenti escluso ogni giudizio sulla colpevolezza e nessuna lesione può esservi della presunzione di innocenza» (Ferrua, 3443).

Tuttavia, l'adesione alla lettura offerta dalla Corte Costituzionale pone criticità di non poco momento.

In primo luogo, occorre ricordare che il Giudice penale è investito, a mente di quanto dispone l'art. 74 c.p.c., «della sola azione civile “di cui all'art. 185 c.p.”, cioè dell'azione risarcitoria che trova titolo nel reato, non nel generico illecito aquiliano: la cognizione ex art. 2043 c.c., che il Giudice delle leggi demanda al giudice penale dell'impugnazione a seguito del proscioglimento dell'imputato, non è quindi sorretta da alcun dato normativo» (in questi termini si esprime Lavarini, 2021,1590, la quale prosegue affermando che, «mutando il fondamento sostanziale dell'azione de damno dall'art. 185 c.p. all'art. 2043 c.c., quest'ultima risulterà di fatto esperita d'ufficio dal giudice del gravame che dichiari la prescrizione del reato, e sarà peraltro decisa, in contrasto con l'artt. 111 comma 2 Cost., senza che le parti abbiano potuto esercitare il contraddittorio sulla nuova fattispecie»).

In secondo luogo, le Sezioni Unite dovranno confrontarsi anche con quell'orientamento dottrinale secondo cui «per la configurabilità del danno da reato non è necessario che il “fatto” integri gli estremi di un illecito civile, né che si dimostri la lesione di un interesse rilevante secondo la regola dell'art. 2043 c.c., essendo la rilevanza dell'interesse già valutata dalla norma penale violata. Salvo, naturalmente, il riscontro di un danno risarcibile, come elemento ulteriore rispetto al fatto di reato […]. In sostanza, il danno da reato presuppone sempre l'accertamento di un (fatto di) reato, e non un illecito civile, come assume» la Corte Costituzionale (così Cricenti, D'Alessandro, 1781-1782).

Infine, le Sezioni Unite dovranno attentamente considerare che imporre al Giudice penale di decidere le questioni civili adottando lo standard cognitivo civilistico, determina «la sovrapposizione dei compiti e delle tipologie di decisione rimesse al giudice penale [che] può indurre facilmente questi ad una pericolosa forma di “schizofrenia” dovendo egli adottare diverse regole di giudizio a seconda della questione che si trova ad affrontare» (Santoriello, 6): «nel momento in cui il processo penale non può più proseguire nell'accertamento della responsabilità penale del singolo, ovvero non ha più la funzione che gli è propria e coessenziale, il giudice penale deve adeguare le sua capacità epistemologiche ed adeguare il proprio metro di giudizio a regiudicande di varia e differenziata natura: il processo penale diventa così un sistema “multicolore”, una sorta di arlecchino servo di più padroni che, come la maschera goldoniana (che non a casa si denominava Truffaldino a richiamare la sua natura indistinta ed incerta), deve inventare trucchi ed inganni, cangiando la propria natura ed i propri compiti, per assolvere ai troppi diversi comandi dei suoi padroni» (Santoriello, 7-8).

Riferimenti

Barbieri, Il (difficile) rapporto tra reato prescritto e accertamento degli interessi civili nel giudizio di impugnazione: lo stato dell'arte sull'art. 578 c.p.p., tra questioni di legittimità costituzionale e interventi legislativi, in Sist. pen., 2022, f. 4, 31 ss.;

Beltrani, Estinzione del reato e assoluzione nel giudizio di impugnazione, in Cass. pen., 2010, 4106 ss.;

Cricenti, D'Alessandro, Il danno da reato e la fraintesa dialettica tra fatto di reato e danno risarcibile: osservazioni critiche alla sentenza n. 182 del 2021 della Corte Costituzionale, in Giur. cost., 2021, 1775 ss.;

Ferrua, La corte costituzionale detta le regole per l'azione civile in caso di sopravvenuta estinzione del reato: la probabile illegittimità costituzionale dell'art. 578, comma 1-bis, c.p.p. introdotto dalla riforma “Cartabia”, in Cass. pen., 2021, 3443 ss.;

Giangreco, L'accertamento della responsabilità civile ex art. 578 c.p.p. tra giudizio penale e regola decisoria del “più probabile che non”, in Dir. pen. e proc., 2024, 247 ss.;

Lavarini, La Corte Costituzionale ridisegna l'art. 578 c.p.p. in adeguamento alla presunzione di innocenza “europea”, in Riv. it. dir. e proc. pen., 2021, 1587 ss.;

Macchia, L'esercizio dell'azione civile nel processo penale (profili generali, l'attuale assetto processuale, i rapporti tra azione civile ed il processo penale), in Cass. pen, 2022, 2890 ss.;

Santoriello, Un processo penale servo. La Consulta attenua lo standard probatorio agli effetti civili, in Arch. pen, 2021, f. 3 web, 1 ss.

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