Incidente stradale tra veicolo e animale selvatico: quali presunzioni di responsabilità o colpa si applicano e quale prevale?

Michele Liguori
04 Giugno 2024

La risposta al quesito non è semplice in quanto la giurisprudenza di legittimità, negli ultimi anni, ha cambiato radicalmente i suoi pregressi orientamenti consolidati e ha affermato dei nuovi principi con cui l'operatore, oggi, deve confrontarsi e di cui, nell'ambito della sua attività, deve tenere conto.

Occorre, pertanto, per ben comprendere le ragioni del mutamento e rispondere al quesito in maniera non oracolare, ripercorrere seppur sinteticamente tali passaggi.

I danni causati dagli animali selvatici, in passato, erano considerati sostanzialmente non indennizzabili in quanto tutta la fauna selvatica era ritenuta res nullius.

Con la legge n. 968/1977, la fauna selvatica (appartenente a determinate specie protette) è stata dichiarata patrimonio indisponibile dello Stato, tutelata nell'interesse della comunità nazionale e le relative funzioni normative e amministrative sono state assegnate alle Regioni, anche in virtù dell'art. 117 Cost.

Successivamente, la legge n. 157/1992 (recante “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”):

- ha ribadito che la fauna selvatica rientra nel patrimonio indisponibile dello Stato (art. 1, comma 1);

- ha precisato che le Regioni a statuto ordinario hanno il potere di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3);

- ha precisato che fanno parte della fauna selvatica oggetto della tutela della legge le specie di mammiferi e di uccelli dei quali esistono popolazioni viventi stabilmente o temporaneamente in stato di naturale libertà nel territorio nazionale” (art. 2, comma 1);

- ha precisato che le Regioni a statuto ordinario esercitano le funzioni amministrative di programmazione e di coordinamento ai fini della pianificazione faunistico-venatoria (art. 9, comma 1, prima parte).

- ha precisato che le Province, a loro volta, hanno le funzioni amministrative in materia di caccia e di protezione della fauna (art. 9, comma 1, seconda parte).

Il danno cagionato da fauna selvatica, a partire da tali leggi e per decenni:

- è stato ritenuto non risarcibile in base alla presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. - in quanto inapplicabile per la natura stessa degli animali selvatici il cui stato di libertà è incompatibile con un qualsiasi obbligo di custodia da parte della P.A. - ma soltanto alla stregua dei principi generali sanciti dall'art. 2043 c.c., con conseguente applicazione dei relativi principi anche in tema di onere della prova e la conseguente necessaria individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico (Cass. civ. 27 febbraio 2019, n. 5722; Cass. civ. 24 aprile 2014, n. 9276; Cass. civ. 24 ottobre 2013, n. 24121; Cass. civ. 13 febbraio 2013, n. 7260; Cass. civ. 6 ottobre 2010, n. 20758; Cass. civ. 20 novembre 2009, n. 24547; Cass. civ. 13 gennaio 2009, n. 467; Cass. civ. 21 novembre 2008, n. 27673; Cass. civ. 25 marzo 2006, n. 7080); tale orientamento granitico ha anche superato il vaglio della Corte Costituzionale la quale ha ritenuto non sussistere un'irragionevole disparità di trattamento tra il privato proprietario di un animale domestico o in cattività, che risponde dei danni da questo arrecati secondo il criterio di imputazione di cui all'art. 2052 c.c., e la pubblica amministrazione, nel cui patrimonio sono ricompresi gli animali selvatici (ciò sull'assunto per cui, poiché questi ultimi soddisfano il godimento della intera collettività, i danni prodotti dagli stessi costituiscono un evento naturale di cui la comunità intera deve farsi carico secondo il regime ordinario di imputazione della responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c.) (Corte Cost. 4 gennaio 2001, n. 4);

- è stato conseguentemente imputato, sul piano sostanziale, alla Regione, quale ente titolare della competenza a disciplinare, sul piano normativo e amministrativo, la tutela della fauna e la gestione sociale del territorio; e ciò anche laddove la Regione avesse delegato i suoi compiti alle Province, poiché la delega non fa venir meno la titolarità di tali poteri e deve essere esercitata nell'ambito delle direttive dell'ente delegante (Cass. civ. 21 febbraio 2011, n. 4202; Cass. civ. 16 novembre 2010, n. 23095; Cass. civ. 13 gennaio 2009, n. 467; Cass. civ. 7 aprile 2008, n. 8953; Cass. civ. 25 novembre 2005, n. 24895; Cass. civ. 24 ottobre 2003, n. 16008; Cass. civ. 24 settembre 2002, n. 13907; Cass. civ. 23 luglio 2002, n. 10737; Cass. civ. 13 dicembre 1999, n. 13956; Cass. civ. 12 agosto 1991, n. 8788; Cass. civ. 1 agosto 1991, n. 8470).

A fronte di tale orientamento, successivamente, sul presupposto che il fondamento della responsabilità era da ricercare nella clausola generale di cui all'art. 2043 c.c. e che ciò richiedeva in ogni caso l'individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile all'ente pubblico, sono state operate una serie di specificazioni che hanno alterato in qualche modo l'esposto criterio di imputazione soggettiva della responsabilità in capo alla Regione.

Così è stato ritenuto che la responsabilità per i danni causati dagli animali selvatici:

- non è sempre imputabile alla Regione ma deve in realtà essere imputata all'ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati nel singolo caso, anche in attuazione della legge n. 157/1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente (Cass. civ. 17 settembre 2019, n. 23151; Cass. civ. 31 luglio 2017, n. 18952; Cass. civ. 21 giugno 2016, n. 12727; Cass. civ. 10 ottobre 2014, n. 21395; Cass. civ. 8 gennaio 2010, n. 80);

- è imputabile all'ente delegato o concessionario a condizione che gli fosse stata conferita, in quanto gestore, autonomia decisionale e operativa sufficiente a consentirgli di svolgere attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi, inerenti all'esercizio dell'attività stessa e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass. civ. 23 giugno 2015, n. 12944; Cass. civ. 10 ottobre 2014, n. 21395; Cass. civ. 21 febbraio 2011, n. 4202);

- è imputabile alla Regione anche in caso di delega di funzioni a terzi (Province o ad altri Enti, Parchi, Federazioni, Associazioni, ecc.) e il risarcimento non fosse previsto da specifiche norme, a meno che la delega non avesse attribuito a terzi un'autonomia decisionale e operativa tale da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass. 20/2/2015 n. 3384);

- è imputabile alla Provincia o all'Ente cui appartiene la strada ove si è verificato il sinistro, in quanto ente cui sono stati concretamente affidati poteri di amministrazione e funzioni di cura e protezione degli animali selvatici nell'ambito di un determinato territorio, e non già alla Regione, cui invece spetta, ai sensi della legge n. 157/1992, salve eventuali disposizioni regionali di segno opposto, solo il potere normativo per la gestione e tutela di tutte le specie di fauna selvatica (Cass. civ. 12 maggio 2017, n. 11785; Cass. civ. 19 giugno 2015, n. 12808).

Da pochi anni le cose sono radicalmente cambiate.

La S.C. chiamata a decidere - in un caso di incidente stradale avvenuto su una strada pubblica tra un cinghiale e un veicolo - su chi fosse l'ente passivamente legittimato, sul piano sostanziale, a rispondere dei danni riportati dal veicolo dell'attore ha osservato che:

- “Il ricorso pone la discussa questione della individuazione del soggetto, pubblico o privato, tenuto a rispondere dei danni causati dagli animali selvatici (in particolare, ma non solo, alla circolazione su strade pubbliche)”;

- “tale questione sia necessariamente legata al fondamento giuridico della responsabilità stessa per i danni causati da animali appartenenti a specie protette di proprietà pubblica e richieda un esame analitico della relativa problematica” e, cioè, dell'applicabilità alla fattispecie dell'art. 2052 c.c., sino ad allora categoricamente esclusa dalla propria consolidata giurisprudenza.

La S.C., quindi, rimeditando ad imis la relativa questione, ha ritenuto di non poter più condividere il suo precedente orientamento sulla scorta di una pluralità di argomenti interpretativi così riassumibili:

- “Il criterio di imputazione della responsabilità per i danni cagionati dagli animali espresso nell'art. 2052 c.c. non risulta, in primo luogo, espressamente limitato agli animali domestici, ma fa riferimento esclusivamente a quelli suscettibili di proprietà o di utilizzazione da parte dell'uomo”;

- esso “prescinde dalla sussistenza di una situazione di effettiva custodia dell'animale da parte dell'uomo” atteso che “prevede espressamente che la responsabilità del proprietario o dell'utilizzatore sussiste sia che l'animale fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito”;

- “Si tratta dunque di un criterio di imputazione della responsabilità fondato (non sulla "custodia", ma) sulla stessa proprietà dell'animale e/o comunque sulla sua utilizzazione da parte dell'uomo per trarne utilità (anche non patrimoniali), cioè sul criterio oggettivo di allocazione della responsabilità per cui dei danni causati dall'animale deve rispondere il soggetto che dall'animale trae un beneficio (essendone il proprietario o colui che se ne serve per sua utilità: "ubi commoda ibi et incommoda"; la responsabilità rappresenta, in altri termini, la contropartita dell'utilità tratta dall'animale), con l'unica salvezza del caso fortuito”;

- “avendo l'ordinamento stabilito (con legge dello Stato) che il diritto di proprietà in relazione ad alcune specie di animali selvatici (precisamente quelle oggetto della tutela di cui alla L. n. 157 del 1992) è effettivamente configurabile, in capo allo stesso Stato (quale suo patrimonio indisponibile) e, soprattutto, essendo tale regime di proprietà espressamente disposto in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema, con l'attribuzione esclusiva a soggetti pubblici del diritto/dovere di cura e gestione del patrimonio faunistico tutelato onde perseguire i suddetti fini collettivi, la immediata conseguenza della scelta legislativa è l'applicabilità anche alle indicate specie protette del regime oggettivo di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c.”;

- “poiché la proprietà pubblica delle specie protette è in sostanza disposta in funzione della tutela dell'ambiente e dell'ecosistema, che avviene anche attraverso la tutela e la gestione di dette specie, mediante l'attribuzione alle Regioni di specifiche competenze normative e amministrative, nonché di indirizzo, coordinamento e controllo (non escluso il potere di sostituzione) sugli enti minori titolari di più circoscritte funzioni amministrative, proprie o delegate, si determina una situazione che è equiparabile (nell'ambito del diritto pubblico) a quella della "utilizzazione" degli animali da parte di un soggetto diverso dal loro proprietario, ai fini dell'art. 2052 c.c.: la funzione di tutela, gestione e controllo del patrimonio faunistico appartenente alle specie protette operata dalle Regioni costituisce nella sostanza una "utilizzazione", in senso pubblicistico, di tale patrimonio, di cui è formalmente titolare lo Stato, al fine di trarne una utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema”;

- “Ciò, nell'ottica della stessa previsione legislativa di una proprietà pubblica, evidentemente funzionalizzata ad interessi e utilità collettive, comporta, ad avviso della Corte, l'applicabilità della disposizione di cui all'art. 2052 c.c., nella parte in cui attribuisce la responsabilità per i danni causati dagli animali al soggetto (in tal caso pubblico) che "se ne serve", salvo che questi provi il caso fortuito”;

- “Tale soggetto, in base alle disposizioni dell'ordinamento in precedenza richiamate, va individuato certamente, ed esclusivamente, nelle Regioni, dal momento che sono le Regioni gli enti territoriali cui spetta, in materia, non solo la funzione normativa, ma anche le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte (per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari) da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi, per i casi di eventuali omissioni”.

La S.C., pertanto, ha affermato i seguenti principi di diritto: “ai fini del risarcimento dei danni cagionati dagli animali selvatici appartenenti alle specie protette e che rientrano, ai sensi della L. n. 157 del 1992, nel patrimonio indisponibile dello Stato, va applicato il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. e il soggetto pubblico responsabile va individuato nella Regione, in quanto ente al quale spetta in materia la funzione normativa, nonché le funzioni amministrative di programmazione, coordinamento, controllo delle attività eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti, ivi inclusi i poteri sostitutivi per i casi di eventuali omissioni (e che dunque rappresenta l'ente che "si serve", in senso pubblicistico, del patrimonio faunistico protetto), al fine di perseguire l'utilità collettiva di tutela dell'ambiente e dell'ecosistema; la Regione potrà eventualmente rivalersi (anche chiamandoli in causa nel giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli altri enti ai quali sarebbe spettato di porre in essere in concreto le misure che avrebbero dovuto impedire il danno, in quanto a tanto delegati, ovvero trattandosi di competenze di loro diretta titolarità” (Cass. 20/4/2020 n. 7969, che costituisce il leading case).

Da tale momento costituisce ius receptum che:

- i danni cagionati dalla fauna selvatica sono risarcibili dalla P.A. a norma dell'art. 2052 c.c., giacché, da un lato, il criterio di imputazione della responsabilità previsto da tale disposizione si fonda non sul dovere di custodia, ma sulla proprietà o, comunque, sull'utilizzazione dell'animale e, dall'altro, le specie selvatiche protette ai sensi della L. n. 157 del 1992 rientrano nel patrimonio indisponibile dello Stato e sono affidate alla cura e alla gestione di soggetti pubblici in funzione della tutela generale dell'ambiente e dell'ecosistema;

- nell'azione di risarcimento del danno cagionato da animali selvatici a norma dell'art. 2052 c.c. la legittimazione passiva spetta in via esclusiva alla Regione, in quanto titolare della competenza normativa in materia di patrimonio faunistico, nonché delle funzioni amministrative di programmazione, di coordinamento e di controllo delle attività di tutela e gestione della fauna selvatica, anche se eventualmente svolte - per delega o in base a poteri di cui sono direttamente titolari - da altri enti; la Regione può rivalersi (anche mediante chiamata in causa nello stesso giudizio promosso dal danneggiato) nei confronti degli enti ai quali sarebbe in concreto spettata, nell'esercizio di funzioni proprie o delegate, l'adozione delle misure che avrebbero dovuto impedire il danno;

- in materia di danni da fauna selvatica in applicazione del criterio oggettivo di cui all'art. 2052 c.c., il danneggiato deve allegare e dimostrare che il danno è stato causato dall'animale selvatico (e, quindi, dimostrare la dinamica del sinistro nonché il nesso causale tra la condotta dell'animale e l'evento dannoso subito, oltre che l'appartenenza dell'animale stesso ad una delle specie oggetto della tutela di cui alla legge n. 157 del 1992 e/o comunque che si tratti di animale selvatico rientrante nel patrimonio indisponibile dello Stato) mentre spetta alla Regione fornire la prova liberatoria del caso fortuito, dimostrando che la condotta dell'animale si è posta del tutto al di fuori della propria sfera di controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile o, comunque, non evitabile neanche mediante l'adozione delle più adeguate e diligenti misure - concretamente esigibili in relazione alla situazione di fatto e compatibili con la funzione di protezione dell'ambiente e dell'ecosistema - di gestione e controllo del patrimonio faunistico e di cautela per i terzi (Cass. civ. 24 maggio 2024, n. 14555; Cass. civ. 9 maggio 2024, n. 12714; Cass. civ. 12 marzo 2024, n. 6539; Cass. civ. 21 febbraio 2024, n. 4671; Cass. civ. 30 dicembre 2023, n. 36571; Cass. civ. 23 maggio 2022, n. 16550; Cass. civ. 9 febbraio 2021, n. 3023; Cass. civ. 12 novembre 2020, n. 25466; Cass. civ. 11 dicembre 2020, n. 25280; Cass. civ. 2 ottobre 2020, n. 20997; Cass. civ. 15 settembre 2020, n. 19101; Cass. civ. 31 agosto 2020, n. 18087; Cass. civ. 31 agosto 2020, n. 18085; Cass. civ. 6 luglio 2020, n. 13848; Cass. civ. 22 giugno 2020, n. 12113; Cass. 29/4/2020 n. 8385; Cass. 29/4/2020 n. 8384).

Il principio innanzi indicato relativo alla legittimazione passiva che spetta in via esclusiva alla Regione, costantemente affermato in tema di danni cagionati dalla fauna selvatica, però, è stato di recente messo di nuovo in dubbio dalla S.C. che dopo aver riconosciuto che “la più recente giurisprudenza di questa Corte ha identificato nelle Regioni gli enti responsabili, in quanto soggetti utilizzatori, nei sinistri causati da animali selvatici, la cui utilizzazione si sostanzia nella tutela, gestione e controllo della fauna selvatica, al fine di trame un'utilità collettiva pubblica per l'ambiente e l'ecosistema” è però giunta a conclusioni diverse e ha affermato che “Tuttavia, ciò non significa che gli enti utilizzatori non possano essere più d'uno, in regime di solidarietà tra loro: invero, l'art. 2052 c.c. individua la responsabilità non solo in capo al proprietario dell'animale, ma, in via alternativa, anche in capo a "chi se ne serve per il tempo determinato in cui lo ha in uso", quindi, in capo all'utente o utilizzatore; d'altra parte, in ipotesi di pluralità di proprietari o utilizzatori il criterio è quello della soggezione solidale alla responsabilità da parte di tutti i soggetti” (Cass. civ. 2 febbraio 2024, n. 3158).

Il principio della concorrenza della presunzione di responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. e della presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c. a carico del conducente del veicolo per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo, è stato costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità sul presupposto che l'art. 2054 c.c. esprime principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti che subiscano danni dalla circolazione (Cass. civ. 7 marzo 2016, n. 4373; Cass. civ. 6 agosto 2002, n. 11780; Cass. civ. 9 gennaio 2002, n. 200; Cass. civ. 22 aprile 1999, n. 3991; Cass. civ. 27 giugno 1997, n. 5783; Cass. civ. 9 dicembre 1992, n. 13016; Cass. civ. 19 aprile 1983, n. 2717; Cass. civ. 5 febbraio 1979, n. 778; Cass. civ. 9 dicembre 1970, n. 2615).

La conclusione che generalmente se ne è tratta dall'affermazione della concorrenza delle due presunzioni è che se nessuno supera la presunzione posta dalla legge a suo carico dimostrando, quanto al conducente, di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno e, quanto al proprietario dell'animale, il caso fortuito, il risarcimento va corrispondentemente diminuito:

- secondo alcune decisioni in ragione di un concorso causale, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c.;

- secondo altre, non occorrendo accertare in concreto il concorso causale del danneggiato, in virtù di una “presunzione di pari responsabilità” derivante dagli artt. 2052 e 2054 c.c.

La S.C., nel leading case innanzi richiamato (Cass. civ. 20 aprile 2020, n. 7969), ha preso posizione anche su tale specifica questione, ha dubitato delle conclusioni cui è pervenuta la giurisprudenza di legittimità e ha affermato, seppur trattasi solo di un obiter dictum in quanto la questione esulava dal thema decidendum del giudizio, che la presunzione di responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. e la presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c. non sono concorrenti in quanto è prevalente la seconda.

La S.C., allo specifico riguardo, ha affermato che grava “in primo luogo sul conducente del veicolo la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, come in tutti i casi in cui il sinistro derivante dalla circolazione non abbia comportato uno scontro tra veicoli, in quanto la cd. "presunzione" di cui all'art. 2052 c.c. - che in realtà è un criterio di imputazione della responsabilità - non è equiparabile a quella di cui all'art. 2054 c.c., comma 1, poiché essa - diversamente da quest'ultima - non riguarda la efficienza causale della condotta dell'animale a cagionare il danno, che si presuppone già dimostrata dal danneggiato, ma esclusivamente l'imputazione al proprietario o all'utilizzatore dell'animale della responsabilità per i danni da tale condotta cagionati; il criterio di imputazione della responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. in realtà opera in un momento logico successivo rispetto a quello dell'accertamento della concreta responsabilità dell'incidente stradale, per la quale opera invece certamente la presunzione di cui all'art. 2054 c.c., comma 1”.

La giurisprudenza di legittimità successiva, però, sì è dissociata da tali ultimi principi e ha costantemente e condivisibilmente affermato che in caso di danni derivanti da incidenti stradali tra veicoli e animali, anche selvatici, il criterio di imputazione della responsabilità a carico del proprietario di animali di cui all'art. 2052 c.c. non impedisce l'operatività della presunzione prevista dall'art. 2054, comma 1, c.c., a carico del conducente di veicolo senza guida di rotaie per danni prodotti a persone o cose, compresi anche gli animali, dalla circolazione del veicolo.

La Suprema Corte, in particolare, ha ritenuto che “Nell'ipotesi di scontro tra un veicolo ed un animale il concorso tra le presunzioni stabilite a carico del conducente del veicolo e del proprietario dell'animale, rispettivamente dagli artt. 2054 e 2052 c.c., comporta la pari efficacia di entrambe tali presunzioni e la conseguente necessità di valutare, caso per caso e, senza alcuna reciproca elisione, il loro superamento da parte di chi ne risulta gravato. Pertanto, quando non sia possibile accertare l'effettiva dinamica del sinistro, se solo uno dei soggetti interessati superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull'altro soggetto, mentre in ipotesi di superamento da parte di tutti, ciascuno andrà esente da responsabilità, la quale graverà invece su entrambi se nessuno raggiunga la prova liberatoria Cass. civ. 23 maggio 2022, n. 16550; conf. Cass. civ. 27 giugno 1997, n. 5783 che costituisce il leading case; conf., per quanto riguardo lo scontro tra veicolo e animale selvatico, Cass. civ. 21 febbraio 2024, n. 4671; Cass. civ. 12 dicembre 2023 n. 34654; Cass. civ. 12 dicembre 2023 n. 34675; Cass. civ. 10 novembre 2023, n. 31342; Cass. civ. 10 novembre 2023, n. 31339; Cass. civ. 10 novembre 2023, n. 31335).

Tale conclusione, del resto, è perfettamente in linea:

- con la lettera del Codice civile atteso che non assegna alcuna prevalenza a una presunzione rispetto all'altra;

- con la giurisprudenza di legittimità anche al di fuori della materia dei sinistri stradali in quanto ha ammesso il concorso, nel caso di responsabilità per danni da rovina di edificio, tra la presunzione a carico del proprietario ex art. 2053 c.c. e quella a carico del conduttore ex art. 1218 c.c. (Cass. civ. 12 luglio 1962, n. 1860).

Deve ritenersi, pertanto, per tutto quanto fin qui esposto che, nel caso di sinistro stradale tra un veicolo e un animale selvatico - ma i principi sono applicabili anche al caso di scontro tra un veicolo e un animale d'affezione e non anche al caso di scontro tra un veicolo e un animale randagio in quanto in quest'ultimo caso “non trovano applicazione le regole di cui all'art. 2052 c.c. in considerazione della natura stessa di detti animali e dell'impossibilità di ritenere sussistente un rapporto di proprietà o di uso in relazione a essi, da parte dei soggetti della pubblica amministrazione preposti alla gestione del fenomeno del randagismo” (Cass. civ. 28 febbraio 2024, n. 5339; conf. Cass. civ. 11 dicembre 2018, n. 31957; Cass. civ. 28 giugno 2018, n. 17060; Cass. civ. 31 luglio 2017, n. 18954) - la presunzione di colpa a carico del conducente ex art. 2054, comma 1, c.c. concorre con la (ma non prevale sulla) presunzione di responsabilità a carico del proprietario dell'animale ex art. 2052 c.c. e pertanto:

- da un lato, il danneggiato per liberarsi dalla presunzione di colpa di cui all'art. 2054, comma 1, c.c. deve allegare e provare di avere adottato ogni opportuna cautela nella propria condotta di guida e che la condotta dell'animale selvatico ha avuto effettivamente e in concreto un carattere di tale imprevedibilità e irrazionalità per cui non può che ritenersi causa esclusiva del danno, in quanto, nonostante ogni sua cautela, non gli sarebbe stato comunque possibile evitare l'impatto;

- dall'altro lato, la Regione (o eventualmente l'ente corresponsabile) per liberarsi dalla presunzione di responsabilità di cui all'art. 2052 c.c. deve allegare e provare che la condotta dell'animale selvatico si è posta del tutto al di fuori della sua sfera di possibile controllo, come causa autonoma, eccezionale, imprevedibile e inevitabile del danno e, come tale, è stata dotata di efficacia causale esclusiva nella produzione dell'evento lesivo.

Corollari di tali principi principio sono che:

- se solo uno dei soggetti interessati superi la presunzione posta a suo carico, la responsabilità graverà sull'altro soggetto;

- se tutti e due vincono le rispettive presunzioni, ciascuno andrà esente da responsabilità;

- se nessuno dei due raggiunga la prova liberatoria, la responsabilità graverà su entrambi in pari misura.

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