L’accesso della società in liquidazione al concordato semplificato

La Redazione
04 Giugno 2024

Il Tribunale di Roma nega, con una eccezione, l’accesso alla procedura di concordato semplificato (e prima ancora alla composizione negoziata) da parte di una società in liquidazione, attesa l’assenza stessa di un’attività d’impresa da risanare.

La società in liquidazione non può, in linea di principio, accedere alla composizione negoziata (e, dunque, a maggior ragione non può successivamente introdurre un concordato semplificato) per il fatto che, per definizione, non è predicabile, in relazione ad essa, che possa essere “ragionevolmente perseguibile il risanamento della impresa” (come invece prescritto dall'art. 12 comma 1, c.c.i.i..) atteso che, semplicemente, una attività di impresa da risanare non è più in essere. Può fare eccezione il solo caso della società in liquidazione che prospetti la ripresa dell'attività.

Così ha ritenuto il Tribunale di Roma (sez. XIV) nel dichiarare inammissibile il ricorso per l'apertura di un concordato semplificato per la liquidazione del patrimonio, avanzato da una società in liquidazione che aveva esperito infruttuosamente la composizione negoziata.

I giudici romani hanno altresì chiarito il contenuto dei requisiti dettati dal legislatore per l'accesso al concordato semplificato ex art. 25-sexies c.c.i.i.:

  • Il requisito della conduzione delle trattative secondo correttezza e buona fede esige che vi sia stata  una effettiva interlocuzione con i creditori interessati dal tentativo di risanamento (quindi non necessariamente con tutti i creditori dell'impresa, ma – almeno – quelli le cui posizioni sono coinvolte dalla ristrutturazione del debito) e che a tali creditori sia stato sottoposto un ragionevole (nel senso di non implausibile sul piano economico e non irrealizzabile su quello giuridico) piano di risanamento, illustrato anche nei suoi profili di eventuale vantaggiosità rispetto all'alternativa liquidatoria;
  • Il piano di risanamento deve aver avuto esito negativo senza colpa del debitore ma per una libera scelta di uno o più creditori che, pur se posti nella condizione di poter aderire, abbiano deciso di non farlo;
  • Il piano di risanamento dovrà inserirsi non in un qualunque schema di risoluzione della crisi dell'impresa, bensì in una delle soluzioni previste dall'art. 23 commi 1 e 2, lett. b), c.c.i.i.

Visti, dunque, (i) lo stato di liquidazione della ricorrente (non finalizzato alla ripresa dell'attività imprenditoriale), (ii) la mancanza di buona fede e correttezza nelle trattative (tra l'altro, era stato proposto all'Agenzia delle entrate lo stralcio del debito fiscale, irrealizzabile sul piano giuridico per mancato richiamo della disciplina sulla transazione fiscale nella composizione negoziata) e (iii) la mancata presentazione ai creditori di una delle soluzioni exart. 23 commi 1 e 2, lett. b), c.c.i.i. il Tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Si veda l'orientamento conforme di Trib. Bergamo, 15 febbraio 2022, Est. De Simone, espresso a proposito di una impresa in liquidazione da dieci anni:  “L'art. 2 del d.l. n. 118/2021 è chiaro nel riservare il procedimento di composizione negoziata alle ipotesi in cui risulta ragionevolmente perseguibile il risanamento dell'impresa, per cui si palesa un ossimoro l'accesso al procedimento da parte da una società in liquidazione, peraltro da ormai dieci anni, senza che neppure sia dedotta (oltre che documentata) la sussistenza dei presupposti per la revoca della causa di scioglimento e dello stato di liquidazione”.

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