I soci nel concordato in continuità e le possibili novità del correttivo 2024

04 Giugno 2024

L'Autore affronta il tema della posizione che i soci ricoprono nella ristrutturazione e del beneficio che gli stessi possono trarre da essa, anche alla luce delle recenti proposte di modifica introdotte dallo schema di correttivo 2024 al c.c.i.i.

La responsabilità patrimoniale e la posizione di soci e creditori

Come esattamente sottolineato in dottrina (R. Rordorf, I soci di società in crisi, in Soc., 2023, 10, 1138) “la posizione dei soci, titolari del capitale di rischio investito nell'impresa nonché talora (specialmente nelle società di persone) cogestori della stessa, è evidentemente ben diversa da quella di creditori sociali”.

I creditori, sia volontari che involontari (come, per esempio, l'Erario), sono disomogenei e hanno interessi che potrebbero essere divergenti e differenziati proprio dalla prospettiva della continuità nell'ambito di una procedura concorsuale, strumento per la realizzazione della garanzia patrimoniale, nel mentre gli interessi dei soci sono usualmente omogenei e convergenti, in quanto un andamento positivo della società consente un possibile pagamento di dividendi-utili e una rivalutazione della partecipazione (A. Nigro, La disciplina delle crisi patrimoniali delle imprese, in Trattato di diritto privato, Torino, 2012).

I creditori hanno diritto di realizzare le proprie ragioni sul patrimonio del debitore, in base ad un percorso di regolazione della crisi per lo più scelto esclusivamente dallo stesso debitore e sono destinatari ex art. 84 comma 3, c.c.i.i. di un'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile, che può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa.

Nel concordato preventivo liquidatorio, anche nella disciplina introdotta dal c.c.i.i., i criteri applicati sono la regola della A.P.R. (Absolute Priority Rule) e dell'universalità oggettiva. Il debitore risponde dei propri debiti con quanto viene realizzato dalla liquidazione di tutti i suoi beni, con l'unica deroga agli artt. 2740 e 2741 c.c. costituita dalla distribuzione di risorse esterne (vedi art. 84 comma 4, c.c.i.i.; in tema App. Roma 5 marzo 2013; la sentenza, emessa nel vigore della legge fallimentare, afferma che nel concordato liquidatorio non è ammissibile una cessione parziale dei beni, in quanto i creditori devono potersi soddisfare sull'intero patrimonio del debitore ex art. 2740 c.c.).

Parte della dottrina ha assunto una posizione parzialmente dissonante, osservando come nelle procedure a carattere negoziale non sia importante porre in liquidazione tutti i beni, ma “realizzare il punto di incontro tra interesse del debitore a comporre la crisi nel miglior modo possibile ed interessi dei creditori a non subire un trattamento deteriore. Il legislatore, cioè, nelle procedure negoziali, sembra proprio voler preferire, ceteris paribus, la libertà negoziale rispetto alla universalità oggettiva, e il giudice non dovrebbe intromettersi nell'esercizio di detta libertà, ritenendo assolto il principio della garanzia patrimoniale ogni qualvolta il debitore si offra di porre a disposizione del ceto creditorio il controvalore di uno o più beni del proprio patrimonio” (G. Limitone – A. Mancini, Concordato minore e garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., in ilcaso.it, aprile 2024).

Ciò si porrebbe in antitesi nel concordato liquidatorio dove si applica l'A.P.R., pur essendo una procedura concorsuale il cui carattere negoziale appare quasi scontato in dottrina e confermato anche dalla giurisprudenza (Cass. sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521; il carattere negoziale è confermato anche da Cass. sez. un., 28 giugno 2018, n. 17186), anche se le modifiche introdotte dal d.lgs. n. 83/2022 amplificano l'intervento del tribunale, ma con una valorizzazione della posizione proattiva dei creditori nelle varie fasi, conservando quindi tratti non insignificanti di negozialità dal voto all'omologazione (V. Zanichelli, Il concordato come procedimento concorsuale negoziato, in questionegiustizia).

I beni “strategici” per la continuità

Nell'impianto della legge fallimentare, all'esito dell'esecuzione del concordato in continuità diretta, i beni funzionali all'attività rimanevano di proprietà della società debitrice, beneficiandone quindi la stessa dal punto di vista patrimoniale e conseguentemente valorizzando la partecipazione dei soci.

Nel concordato in continuità diretta ante c.c.i.i., dunque, gli asset necessari alla realtà produttiva dell'impresa, utili e strumentali alla programmata continuità, non venivano liquidati e la liquidazione poteva essere limitata “ai beni non funzionali all'esercizio dell'impresa” (art. 186–bis, comma 1, l. fall.).

Nell'impianto introdotto dal codice della crisi, i beni “strategici” alla continuità – pur potendo restare nella disponibilità del debitore – sono comunque da ricomprendere nel valore di liquidazione alla data della domanda, assoggettabile alla A.P.R. (F. Lamanna, Il codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022), nel mentre solo al surplus da continuità si applica la regola della R.P.R. (Relative Priority Rule) e conseguentemente la tutela dei creditori può considerarsi anche  migliorata, sotto tale profilo, rispetto alla legge fallimentare (già nel vigore della legge fallimentare si era levata qualche voce dissonante. In tal senso D. Galletti, I proventi della continuità, come qualsiasi altro surplus concordatario, non sono liberamente distribuibili, in IUS Crisi d'impresa, 16 marzo 2020).

Nella continuità diretta non tutte le risorse generate dall'attività d'impresa come MOL (Margine Operativo Lordo) sono destinate al soddisfacimento dei creditori in base alla proposta e secondo la regola della R.P.R., in quanto una parte di esse, secondo quanto stabilito nel piano, deve essere a servizio della gestione dell'attività corrente, delle manutenzioni e degli investimenti, anche al fine della conservazione dei valori aziendali e quindi della capacità produttiva, per garantire che la società possa avere la marginalità positiva e quindi possa generare l'eccedenza rispetto al valore di liquidazione (su risorse esterne e flussi di cassa futuri v. App. Torino 31 agosto 2018, Fall., 2019, 380, con nota di Terenghi; Trib. Milano 5 dicembre 2018, in Fall., 2019, 1087, con nota di Guiotto; Trib. Monza 22 dicembre 2011, in ilcaso.it.; più recentemente v. Trib. Como 1° dicembre 2021, in ilcaso.it, per il quale “la legge non richiede che l'intero maggior valore creato dalla continuità aziendale (c.d. surplus) sia messo a disposizione dei creditori sociali secondo l'ordine delle cause legittime di prelazione ai sensi degli artt. 2740-2741 c.c. Non si rinviene una norma in tal senso né all'interno dell'art. 186-bis l.fall. né dell'art. 182-ter l.fall., né aliunde nella legge fallimentare”).

Sotto il vigore della passata disciplina, il concordato in continuità diretta avrebbe potuto prevedere il soddisfacimento dei creditori (continuità funzionale al miglior soddisfacimento attestato dall'esperto), con quanto generato solo dai flussi della continuità (cash flow disponibile), cosicché tutti gli attivi, beni mobili ed immobili della società, liberata dai debiti per la quota falcidiata, sarebbero stati lasciati intatti e all'esito dell'adempimento della proposta sarebbe stato evidente il beneficio sulle quote di partecipazione dei soci, che il probabile patrimonio netto negativo alla domanda aveva inevitabilmente azzerato. “Nel vigore della legge fallimentare era considerato ormai pacifico che i concordati con continuità aziendale diretta potessero assicurare, nella normalità dei casi, il mantenimento della proprietà dell'azienda in capo all'imprenditore e quindi, indirettamente, la partecipazione nel capitale sociale in capo ai soci indipendentemente dal loro apporto di risorse nuove. Si trattava, ovviamente, di una soluzione particolarmente gradita ai soci, che nella realtà italiana sono spesso portatori di interessi analoghi o coincidenti con quello degli amministratori. È innegabile, d'altro canto, che nel concordato in continuità diretta il peso del risanamento gravasse principalmente, quando non unicamente, sui creditori sociali limitando il sacrificio dei soci alla sola indisponibilità dei flussi finanziari destinati all'adempimento della proposta concordataria: sacrificio, questo, comunque ben inferiore a quanto sarebbe stato loro richiesto in assenza di soluzioni concorsuali per l'integrale e regolare pagamento dei creditori aziendali” (A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in DC, 13 aprile 2023).

La posizione dei soci ed il c.d. valore di liquidazione

Il codice della crisi, viceversa, pone dei limiti al possibile plusvalore di cui andranno a beneficiare i soci all'esito positivo della procedura concordataria in continuità diretta (già in anticipo rispetto al codice della crisi si era espresso D. Vattermoli, La posizione dei soci nelle ristrutturazioni. Dal principio di neutralità organizzativa alla residual owner doctrine?, in Riv. soc., 2018, 864; D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, Absolute priority rule e new value exceptio, in Riv. Dir. Comm., 2014, 3, 331. Ancor prima si veda, nello stesso senso, ABI Commission to Study the Reform of Chapter 11. Full Report and Final Recommendations, 2014, abiworld.com, 224 e ss., riguardo alla c.d. «New Value Corollary», meglio nota come «New Value Exception»).

Il primo limite è costituito dal valore di liquidazione, che comunque dovrà essere distribuito a favore dei creditori con la regola dell'A.P.R., mentre solo il surplus, inteso come eccedenza rispetto al valore di liquidazione, generato dalla continuità come precisato nel piano, potrà essere distribuito in base alla regola della R.P.R.

Nello schema di correttivo 2024 diffuso nel mese di maggio il valore di liquidazione viene definito nell'art. 87 comma 1, lett. c), c.c.i.i. come “valore realizzabile, in sede di liquidazione giudiziale, dalla liquidazione dei beni e dei diritti, comprensivo dell'eventuale maggior valore economico realizzabile nella medesima sede dalla cessione dell'azienda in esercizio nonché delle ragionevoli prospettive di realizzo delle azioni esperibili, al netto delle spese”. Valore di liquidazione indicato dal debitore e dall'attestatore exartt. 84 comma 5, e 87 comma 3, c.c.i.i.

Il correttivo inverte il principio di fondo giurisprudenziale di considerare, in primis, lo scenario della vendita dell'azienda in esercizio ai fini dell'individuazione del valore di liquidazione, valorizzando ora il principio della vendita atomistica e di quanto ricavabile dalla stessa, mentre lo scenario della vendita dell'azienda in esercizio diventa solo eventuale.

Gli asset strettamente strumentali alla continuità, anche se non vengono liquidati, sono ricompresi quindi nel valore di liquidazione, e conseguentemente la marginalità generata dalla continuità sarà destinata preventivamente a garantire il soddisfacimento dei creditori secondo l'A.P.R., e quindi nel rispetto dell'ordine delle prelazioni con riferimento al valore di liquidazione di detti beni (come già evidenziato da F. Lamanna nell'op. cit.).

Il corrispettivo riferibile ai beni necessari alla continuità, infatti, non realizzati (come indicato nel piano), dovrà essere messo a disposizione per il soddisfacimento dei creditori per un equivalente monetario pari al loro valore di liquidazione (posto che il valore di mercato, per il vero usualmente superiore al valore di liquidazione, scompare nel correttivo, sopravvivendo solo negli artt. 75 comma 2 e 100 comma 2, c.c.i.i.). Detti beni, quindi, non subiranno la vendita forzata e grazie alla loro valorizzazione nel concordato in continuità manterranno la loro funzione produttiva a vantaggio dell'impresa, ma anche degli stessi creditori che non subiranno alcuna lesione della responsabilità patrimoniale, essendo pienamente rispettato il principio della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.

Alcuni asset rimangono quindi nella proprietà del debitore, che li utilizza, ma il free cash flow è destinato a pagarli e il criterio distributivo di detto corrispettivo non potrà che essere l'A.P.R., anche se è probabile che per le risorse relative sia finanche necessaria finanza esterna (e il recente schema di correttivo – con la proposta di modifica dell'art. 84 comma 6, c.c.i.i. – conferma  espressamente che anche nel concordato in continuità – come già opinato da F. Lamanna, “Valore di liquidazione” e “valori eccedenti” nel concordato preventivo: come calcolarli e distribuirli, in IUS Crisi d'impresa, 13 ottobre 2023 - le risorse esterne possono essere distribuite liberamente e quindi in deroga all'A.P.R. e alla R.P.R., confutando così quanto prima ritenuto da D'Attorre, Relative Priority Rule(s), in D. Vattermoli (a cura di) La questione distributiva nel diritto della crisi e dell'insolvenza, Pisa, 2023, e  daTrib. Treviso, in DC, 10 luglio 2023), essendo improbabile che i flussi della continuità possano sostenere anche detto onere.

Conseguentemente, i soci ne trarranno un indubbio vantaggio, in termini di valorizzazione della loro partecipazione, ma solo nel pieno rispetto del principio della garanzia patrimoniale.

A loro volta, e a maggior ragione, i beni “non strumentali” di cui il piano prevede la liquidazione rientrano nel valore di liquidazione e quanto ricavato dalla loro vendita sarà soggetto nella distribuzione alla regola della A.P.R.

Se viene liquidato un bene non strategico alla continuità aziendale ed il ricavato sia superiore rispetto a quanto indicato nel piano, poiché detto bene risulta comunque vincolato dalla A.P.R., l'eccedenza sarà da ricomprendere nel valore di liquidazione e quindi distribuita nel rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione, tenuto conto ovviamente del principio che nessun creditore può ricevere di più dell'importo del proprio credito e nei limiti della proposta.

Analogamente rientra nel valore di liquidazione il surplus realizzato dalla vendita di un bene il cui valore di liquidazione sia stato attestato ex art. 84 comma 5, in misura inferiore anche nel caso di realizzo sulla base di più convenienti offerte migliorative presentate con il piano o successivamente. Per cui il valore di liquidazione si adegua alle offerte migliorative ricevute.

Aspetto più complesso è quello relativo ai flussi di cassa generati dalla continuità: una parte di questi alimenta il surplus concordatario destinato al soddisfacimento dei creditori, mentre altra parte, precisata nel piano, serve a sostenere l'ordinaria gestione (A. Turchi, Il valore di liquidazione alla luce delle prime pronunce di merito, in DC, 11 dicembre 2023), gli oneri e l'attività corrente compresi gli ammortamenti e gli investimenti programmati; una terza parte potrebbe costituire, invece, “eccedenza dei flussi di cassa effettivamente prodotta dal debitore in esecuzione del piano rispetto al valore determinato in sede di predisposizione della proposta e del piano” (M. Binelli, L'omologazione del concordato in continuità non approvato, in DC, 27 dicembre 2022). Di tale plusvalore, non previsto dal piano, dovrebbero beneficiare i creditori in base alla regola della R.P.R., a meno che la proposta limiti il soddisfacimento dei creditori alla percentuale offerta e garantita alle varie classi, accettata dai creditori e comunque omologata, posto che il concordato in continuità è un concordato per garanzia. L'eccedenza potrebbe comunque costituire una sorta di fondo rischi ovvero consentire di anticipare i tempi di soddisfacimento dei creditori (con possibile risparmio degli interessi per i crediti privilegiati). In difetto di ogni previsione nel piano, e comunque all'esito dell'esecuzione del concordato e dell'adempimento della proposta nei limiti della percentuale di pagamento indicata e garantita, il plusvalore in eccedenza e gli investimenti manutentivi correnti, anche in nuove attrezzature, non potranno che avvantaggiare il patrimonio della ricorrente e quindi valorizzare le partecipazioni dei soci.

All'esito della ristrutturazione vi è dunque un valore ulteriore, che può rimanere a vantaggio dei soci, inteso come l'avviamento dell'impresa ristrutturata (asset comunque utilizzabile e produttivo, ma non liquidabile), i marchi o altri beni intangibili (la cui stima non è agevole, specie se da effettuarsi ex ante in sede di predisposizione della domanda concordataria).

I soci, all'esito della ristrutturazione, rimangono dunque proprietari dell'azienda tramite il veicolo societario anche se i creditori sociali non sono stati integralmente soddisfatti.

Mentre i creditori sociali sono stati sacrificati con parziale soddisfacimento (quantitativo e temporale delle loro ragioni) e il loro sacrificio ha consentito il risanamento dell'impresa conservando i valori aziendali – art. 47 comma 1, lett. b), c.c.i.i. -, e il riequilibrio della situazione finanziaria – art. 87 comma 1, lett. e), c.c.i.i.– i soci vedono rivalutata la loro partecipazione, originariamente azzerata dalla crisi/insolvenza.

La posizione dei soci nel riformato c.c.i.i. vede un loro ridimensionamento con affievolimento dei diritti di impugnativa delle operazioni societarie pianificate “ai fini del buon esito della ristrutturazione”. Il tal senso si pone la disciplina prevista dall'art. 120-bis comma 2, c.c.i.i. con cui gli amministratori della società possono prevedere “qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni”, eccetto il caso della trasformazione regressiva, caso non comune nelle ristrutturazioni, dove è richiesto il consenso dei soci che passano da una responsabilità limitata ad una responsabilità illimitata ex art. 2500-sexies c.c.

La posizione e la reazione dei soci nell'ambito delle operazioni societarie di cui all'art. 120-bis comma 2, sopra citato, viene relegata nel concordato preventivo all'interno di una classe.

Nel concordato preventivo in continuità aziendale i soci sono classati sia ex art. 85 comma 3, c.c.i.i. sia quando il piano preveda modificazioni che incidano direttamente sui loro diritti di partecipazione e, in ogni caso, per le società quotate nei mercati regolamentati (art. 120-ter). Quindi i soci partecipano al voto, con applicazione della regola del silenzio-assenso (ovviamente all'interno della classe), ed esprimono il voto nelle forme e nei termini di cui agli artt. 107 e seguenti in modo proporzionale alla quota di capitale sociale posseduta ante domanda di accesso al procedimento unitario.

Peraltro, il piano può prevedere un valore riservato ai soci anteriori alla presentazione della domanda all'esito dell'omologazione nel rispetto dell'art. 120-quater c.c.i.i., fermo quanto previsto dall'art. 112 c.c.i.i.

Il meccanismo perequativo delineato dall'art. 120-quater sembrerebbe superare il limite dell'art. 2740 c.c. (secondo cui il debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutti i suoi beni, presenti e futuri, mentre limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge) e quindi anche del successivo art. 2741 c.c. (che regola il concorso dei creditori alla soddisfazione sul patrimonio del debitore) (P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d'impresa, in DC, 26 gennaio 2024).

Detto meccanismo limita il valore che può essere riservato ai soci, determinato al netto del valore apportato dagli stessi ai fini della ristrutturazione.

Il socio, quindi, può conservare la propria partecipazione ed il valore effettivo della stessa all'esito dell'omologazione della proposta e del piano (art. 120–quater comma 2), come diritto di acquisizione della stessa (D. Vattermoli, Concordato con continuità aziendale, Absolute priority rule e new value exceptio, cit.), deducendo gli apporti e le contribuzioni effettuate (conferimenti o versamenti a fondo perduto) ai fini della ristrutturazione, oppure anche in altra forma come previsto dalla bozza del correttivo per le imprese aventi i requisiti dimensionali di cui all'art. 85 comma 3, terzo periodo, c.c.i.i., cioè le imprese che non hanno superato, nell'ultimo esercizio, almeno due dei seguenti requisiti: un attivo fino a euro cinque milioni, ricavi netti delle vendite e delle prestazioni fino a euro dieci milioni e un numero medio di dipendenti pari a cinquanta.

Il valore effettivo è quello residuale risultante dalla ristrutturazione e corrisponde al valore dell'azienda al momento dell'omologazione del concordato, al netto dell'indebitamento concorsuale e operativo; il concetto di valore risultante dalla ristrutturazione utilizzato dal legislatore nell'ambito dell'art. 120-quater rappresenta un valore assoluto (A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, cit.). “Tale valore non coincide con quello di valore eccedente il valore di liquidazione assoggettabile alla Relative Priority Rule ai sensi dell'art. 84, comma 6, che è invece un valore differenziale calcolato come differenza tra i flussi finanziari netti prodotti dalla gestione nell'arco di piano, a servizio dell'indebitamento concorsuale, e il valore di liquidazione, quest'ultimo pari al valore astrattamente disponibile per i creditori concorsuali in caso di liquidazione giudiziale” (P. Riva, Il complesso ruolo dei soci nella gestione della crisi d'impresa, cit.).

Il socio, conseguentemente, dovrà pagare il valore effettivo residuale della sua quota, quando il piano preveda un valore a lui riservato al netto degli apporti e a beneficio dei creditori, passaggio non disciplinato nella precedente legge fallimentare e quindi con ulteriore tutela dei creditori e valorizzazione di un'obbligazione dei soci a tutela della responsabilità patrimoniale.

Nella realtà, il valore effettivo all'esito della ristrutturazione ricomprende il valore dei beni strumentali che la debitrice ricorrente deve comunque pagare e i valori residuali (eccedenza del surplus e investimenti correnti) potrebbero essere di non facile individuazione quale valore effettivo, visto che anche l'avviamento si riferisce ad una società ristrutturata ed in crisi, mentre eventuali quote di mercato ed intangibles potrebbero rappresentare «potenzialmente» un valore interessante.

La bozza di correttivo 2024 precisa che “il valore effettivo” viene determinato “in conformità ai principi contabili applicabili per la determinazione del valore d'uso, sulla base del valore attuale dei flussi finanziari futuri utilizzando i dati risultanti dal piano di cui all'art. 87 ed estrapolando le proiezioni per gli anni successivi”.

Significa quindi stimare i flussi finanziari attesi di un'impresa risanata all'esito del piano, attualizzando i flussi (eccetto quelli necessari al pagamento dei creditori pregressi) sulla base di un rendimento atteso in investimenti privi di rischio. La stima di detti flussi dovrà essere altresì ridotta, posto che nella continuità aziendale vi è un ulteriore rischio oggettivo per le variabili imponderabili cui l'azienda potrebbe dover far fronte (tassi, materie prime, epidemie, ecc.). Si tratta quindi di valorizzare e stimare, sulla base del piano, l'azienda che rimarrà in esercizio, una volta che sia eseguito il risanamento, azienda che potrà quindi proseguire la sua operatività, valorizzando quindi i futuri flussi di cassa. Detta prospettazione va fatta ai creditori in sede di domanda e quindi eventualmente modificata ante voto ex art. 107 c.c.i.i. (in tal senso anche gli interventi al recente convegno, Le modifiche del codice della crisi: analisi e dibattito, Pietrasanta 10/11 maggio 2024, tra i quali v. pinto - A. Solidoro, Valore di liquidazione, valore per i soci e plusvalore da continuità).

Se si tratta di concordato in continuità con ristrutturazione trasversale ex art. 112 comma 2, c.c.i.i. e quindi (senza unanimità) in presenza di una o più classi dissenzienti, l'art. 120-quater prevede due situazioni:

  • se la classe o le classi dissenzienti non sono quelle di ultimo rango (ora nel correttivo “grado”) e quindi nel caso in cui vi siano una o più classi di rango (ora nel correttivo “grado”) inferiore che abbiano dato il loro assenso alla proposta di concordato, il tribunale deve verificare se, qualora il valore complessivamente riservato ai soci fosse attribuito alle classi favorevoli di creditori di rango (ora nel correttivo “grado”) inferiore, queste non riceverebbero un trattamento migliore rispetto a quello riservato ai creditori della classe o dalle classi dissenzienti di rango superiore (ora nel correttivo “grado”);
  • se la classe dissenziente è quella di creditori di ultimo rango (ora nel correttivo “grado”) si deve confrontare il valore destinato a detta classe e quello riservato complessivamente ai soci e il tribunale potrà omologare solo se ai soci spetti un trattamento deteriore rispetto a quello spettante alla classe dissenziente dei creditori (Trib. Verona 21 luglio 2023, in DC).

Se detti limiti non vengono rispettati, ciò rappresenta un impedimento all'omologazione ex art. 112 comma 2, c.c.i.i.

Si realizza quindi una sorta di ulteriore R.P.R. applicabile nel caso in cui il valore risultante dalla ristrutturazione sia riservato ai soci. Il piano deve indicare quindi l'effetto conseguente all'omologazione che viene riservato ai soci e tale aspetto, alla luce delle osservazioni svolte, rappresenta una valutazione tecnica estremamente complessa che dovrà essere attentamente motivata dalla ricorrente con la presentazione della proposta e del piano. La comparazione non potrà che realizzarsi con “un rapporto tra valori assoluti (monetari), vale a dire tra il quantum (non la percentuale) promesso alla classe dissenziente e il quantum “in portafoglio” ai soci in termini di valore (come desumibile dal piano) della partecipazione in conseguenza del risanamento, tenuto conto del “valore effettivo»” ora definito nella bozza di correttivo” ( G. Lener, Considerazioni intorno al plusvalore da continuità e alla “distribuzione” del patrimonio (tra regole di priorità assoluta e regole di priorità relativa), in DC, 25 febbraio 2022).

I soci non potranno trattenere un valore complessivamente superiore a quello spettante alla classe dissenziente dei creditori, che si potrebbe individuare nella ricchezza che perviene ai soci post omologazione, come patrimonio netto contabile conseguente allo stralcio.

Abbiamo però visto che la tutela dei creditori e della responsabilità patrimoniale si realizza ex ante con la distribuzione del valore secondo la regola della A.P.R. anche in relazione alle stime riferibili agli asset non liquidati e la perequazione di cui all'art. 120-quater, pur essendo prospettica, andrà indicata nel piano onde garantire il consenso informato dei creditori e consentire agli stessi ogni valutazione sia ai fini del voto, sia ai fini della comparazione del tribunale ex art. 120-quater, comma 1.

Rimane da capire per quale motivo il ruolo dei soci sia rimasto invece diversamente valorizzato nel concordato di gruppo, in quanto l'art. 285 comma 5, c.c.i.i., consente ai soci di opporsi all'omologazione onde far valere il pregiudizio arrecato alla reddittività e al valore della partecipazione sociale dalle operazioni previste. Si può supporre che i profili di valutazione nei due casi siano diversi e quindi non incompatibili: da una parte, il rispetto di quanto disposto dall'art. 120-quater, commi 1 e 2, in caso di dissenso di una classe di creditori, mentre, dall'altra, le operazioni straordinarie non dovrebbero pregiudicare il valore della partecipazione dei soci. Il tribunale omologa, comunque, il concordato e respinge le opposizioni dei soci «se esclude la sussistenza del predetto pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole imprese dal piano di gruppo».

La fattispecie di cui all'art. 120-quater comma 3, c.c.i.i., norma per la quale “i soci possono opporsi all'omologazione del concordato al fine di far valere il pregiudizio subito rispetto all'alternativa liquidatoria”, appare residuale, in quanto presuppone che l'alternativa liquidatoria avrebbe soddisfatto integralmente i creditori, residuando all'esito valori monetari o beni non liquidati che avrebbero avvantaggiato i soci. Potrebbe trattarsi del caso delle azioni di responsabilità non valutate correttamente nelle prospettive di realizzo ex art. 87, comma 1, lett. h), o non ricomprese nel valore di liquidazione. Detta ipotesi potrebbe verificarsi quando gli amministratori non coincidono con i soci, e nel piano e nella proposta siano state sottovalutate le azioni di responsabilità sia nel merito che nel quantum, come non esperibili fruttuosamente o non siano state considerate altre azioni recuperatorie, come le azioni revocatorie (forse ai fini del voto favorevole…), di cui invece l'alternativa liquidatoria avrebbe consentito un presumibile realizzo monetario.

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