Il regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo: commento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 7, 22 e 44 del 2024

05 Giugno 2024

Un focus sul tema del regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo alla luce delle sentenze della Corte costituzionale nn. 7, 22 e 44 del 2024, seguendo l'evoluzione del diritto del lavoro dopo lo  Statuto dei lavoratori, evoluzione dettata dai mutamenti del contesto economico politico anche internazionale. L'Autore invoca la necessità di un costante riferimento alle  norme della Costituzione come fondamento della risoluzione delle eventuali questioni interpretative nella materia giuslavorista.

L'evoluzione del diritto del lavoro dagli anni ‘70: lo Statuto dei lavoratori e il nuovo ruolo del giudice del lavoro

Circa alla metà degli anni Settanta del secolo scorso il professore Umberto Romagnoli pubblicava un breve saggio sulle trasformazioni giuridiche e dell'organizzazione economica causate dallo Statuto dei lavoratori nonché dall'art. 5l. 5 maggio 1975 n. 164, regolante procedure di consultazione sindacale per l'integrazione salariale.

Il Professore osservava come «praticamente tutte le decisioni aziendali, pur coinvolgendo ancora e sempre le responsabilità dell'imprenditore», non lasciassero più estranei i lavoratori: «l'apparato legale aveva modificato lo scenario in cui si collocava l'art. 2086 c.c. [sulla gestione dell'impresa] e la contrattazione collettiva aveva fatto il resto».

Questo scenario era stato poi “messo nelle mani della magistratura” onde si era creato “un contro-potere dei giudici in azienda”, quest'ultima simile ormai ad una cittadella in cui l'imprenditore era stato in passato il dominus.

Un ruolo nuovo spettava al giudice, il quale nel settore dei rapporti di lavoro privato e pubblico aveva assunto una funzione «a metà fra lo ius dicere e lo ius dare », senza che la Corte costituzionale sostanzialmente nulla obiettasse (1).

Che il diritto del lavoro sia per larga parte di formazione giurisprudenziale è di osservazione comune fin dai lontani tempi dell'esperienza probivirale. Valga per tutti la parola di Gino Giugni: «il diritto del lavoro si evolve di più attraverso giudizi che non mediante i contratti collettivi e le leggi» (2). Ma negli anni Settanta la figura del giudice professionale sembrava fortemente modificata rispetto al tempo precedente.

Questo quadro s'inseriva in una cornice economica di «un capitalismo assistito, quello italiano» notava ancora Romagnoli «vissuto in un ambiente artificiale, ovattato e superprotetto dallo Stato»: un capitalismo che lo Stato aveva deciso di porre «costi quel che costi sotto tutela». Sembrava di conseguenza necessario “cambiare il potere aziendale, fra l'altro sollecitando estesi controlli giudiziari nel merito di molte scelte imprenditoriali” ed assoggettando l'attività economica privata ad opportuni controlli (art. 41, ultimo comma, Cost.).

Romagnoli non si mostrava ottimista di fronte a queste novità: «non ci si può nascondere che la figura bifronte del giudice del lavoro non possiede una capacità di tenuta sufficiente per rispondere positivamente a sollecitazioni troppo intense e prolungate». In particolare, il processo ex art. 28 Stat. lav. «ha operato nei fatti se non nelle intenzioni come mediocre surrogato di un'attività politica dotata della credibilità necessaria per arbitrare i conflitti tra un declinante big business e un rafforzato big labour ».

Il diritto del lavoro come espressione dell'assetto economico-politico dei tempi

Occorrerebbe un lavoro storiografico di lunga e paziente lena per verificare se negli anni Settanta e nei decenni seguenti l'opera dei giudici abbia effettivamente corrisposto a questo quadro pessimista (nel senso di una rappresentazione di una situazione di almeno dubbia costituzionalità) disegnato dal Professore, avendo cura di distinguere nettamente la giurisprudenza di merito (si parlava di pretori d'assalto) da quella di legittimità. Gino Giugni ricordava «momenti di attivismo giudiziario su una linea extraparlamentare e di chiara impronta o spinta destabilizzante» (3).

Sta di fatto che le scelte politiche verificatesi all'inizio degli anni duemila specialmente al di là dei confini nazionali, e prima ancora la caduta dei regimi comunisti, hanno influenzato le relazioni sociali e di conseguenza hanno contribuito a modificare molto la legislazione ordinaria nella materia lavorista.

Il diritto del lavoro esprime l'assetto economico-politico del tempo. L'ordine giuridico degli Stati deve tener conto di ciò ma non può lasciarsene dominare al punto di abbandonare il cosiddetto “minimo costituzionale”.

La tutela dei diritti dei lavoratori: un diritto che si costruisce di fatto sulla mera logica unificante del mercato

Naturalmente le diagnosi della nuova situazione non concordano.

Si può iniziare dagli storici del diritto, secondo i quali il lato minaccioso della attuale “globalizzazione” consiste nel fatto che essa attribuisce al capitalista spazi di libertà “nei confronti dei quali lo Stato nazionale, ovvero la comunità politica di appartenenza, sempre meno riesce ad apportare difese efficaci” (4).

Qualcuno lamenta che il rapporto tra il diritto del lavoro (e la sua scienza) si sia capovolto: “il diritto del lavoro è divenuto luogo di conservazione e di resistenza a superare i vecchi modelli...di protezione ad ampio raggio dei lavoratori [...] . È stupefacente che le tutele in natura [la reintegrazione giudiziale a séguito del licenziamento illegittimo] siano state messe a servizio del mercato concorrenziale” (5). Un diritto finalizzato alla salvezza della libertà ed anzi della personalità del lavoratore viene ormai subordinato alle libertà mercantili e ridotto a semplice diritto dello scambio di prestazioni patrimoniali (6).

Si è parlato di rigore macroeconomico e di riduzione tanto della spesa sociale quanto dei diritti sociali quali conseguenze della crisi finanziaria ed economica del 2007-2008, ed altresì di politiche di deregolamentazione del mercato del lavoro (7).

Si è detto ancora di “offensiva neoliberista” e di legislazione ispirata alla speranza di attrarre il, più possibile sul territorio nazionale imprese multinazionali non solo attraverso incentivi economici ma anche attraverso la riduzione del livello di tutela della manodopera. Il diritto del lavoro smarrirebbe così la sua ragion d'essere poiché non potrebbe più costituire un limite alla logica del mercato (8). Altri si mostrano come rassegnati: “le tutele più intense dei diritti dei lavoratori (essenzialmente la tutela reale e cioè ripristinatoria del rapporto) hanno palesato i loro limiti nell'economia” (9).

Le nuove norme vengono giustificate dal legislatore, nel preambolo o nello stesso testo dispositivo, con l'intenzione di aumentare l'occupazione specie attraverso la costituzione di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato, ma è naturale chiedersi se, specialmente col capovolgimento del rapporto regola-eccezione fra reintegrazione del lavoratore licenziato e indennizzo in denaro, siano mutati i valori su cui era fondato il sistema legislativo. È da chiedersi in altre parole se le comminatorie di contenuto pecuniario, contenute nelle nuove leggi, siano realmente efficaci quali strumenti di coercizione indiretta, una volta esclusa la tutela in forma specifica.

La legislazione sul lavoro: interpretazione costituzionalmente orientata e diritto vivente

Quali che siano i motivi di queste leggi sul lavoro sopravvenute nel secondo decennio di questo secolo, certo è che le questioni interpretative che vengano a porsi debbano essere risolte tenendo presenti anzitutto le norme della Costituzione.

È chiaro come questa non possa essere intesa adeguandola alle leggi sopravvenute. Se ciò fosse, la legge ordinaria s'impadronirebbe della legge fondamentale, con inversione del rapporto gerarchico (10).

 Costituzione è ciò che supera le contingenti valutazioni politiche.

Nei primi tempi di vigenza della Carta Vezio Crisafulli affermava l'efficacia precettiva dell'art. 4, che funzionava come principio interpretativo delle norme legislative, regolamentari e dei contratti collettivi. La stabilità dell'occupazione doveva essere sottratta “all'esclusivo ed illimitato arbitrio del datore di lavoro” e l'interesse al lavoro – nella sua duplice configurazione di interesse ad ottenere e a riottenere il lavoro e di interesse alla conservazione del posto – diventava un interesse costituzionalmente protetto (11).

Certo, anche la Costituzione, come tutti i testi normativi, non può restare immobile attraverso mutamenti che sono diversi da quelli che comportano le procedure di revisione (art. 138). Il suo carattere rigido non può impedire quelle che in Germania vengono chiamate stille Wandlungen (taciti mutamenti)  e contrapposte alle normali revisioni (Änderungen). Deve però essere mantenuto il nucleo centrale di scelte e valori ivi espressi, pena il sovvertimento (Verbrechung) e non più la fisiologica evoluzione (12).

Livio Paladin riteneva, insieme a buona parte della dottrina (Mortati, Capograssi, Barile), che certe norme a suo tempo poste dal costituente non fossero rivedibili in nessun caso, ed oggi Gustavo Zagrebelsky aggiunge: “mai si giustificherebbe, alla luce della Costituzione, lo spegnimento delle ragioni delle parti più deboli”  (13).

Non si può dimenticare che nella nostra Costituzione il lavoro viene protetto nella parte riservata ai princìpi fondamentali (artt. 1-12) mentre l'iniziativa economica privata (nel nostro discorso l'imprenditore-datore di lavoro) è garantita nel titolo sui rapporti economici (art. 41).

Mutamenti e revisioni debbono mantenersi entro quest'ordine, aderendo anzitutto al principio di continuità (artt. 101, comma 8, Cost. e 65, comma 1, r.d. 30 gennaio 1941, n. 1), da noi valorizzato da Tullio Ascarelli e che impedisce alla naturale evoluzione della società e dell'economia di dar luogo a Verbrechungen. Continuità garantita dai precedenti giurisprudenziali e, prima ancora, dalle categorie dell'ordinamento formate soprattutto dalla tradizione dottrinale (14).

L'interpretazione del diritto del lavoro non può avvenire secondo i canoni di un liberismo economico che veniva affermato più che altro dalla voce pubblica ma che in realtà non viene invocato da nessuno. Già nel primo dopoguerra Luigi Einaudi osservava che l'economia privata integrata dall'intervento pubblico era vista con sospetto dagli imprenditori “quando sulle prime vi si addivenne d'imperio, e [tuttavia] divenne presto ambitissima” (15).

Oggi si riconosce l'esistenza di fenomeni che l'economia di mercato non è in grado di gestire e correggere da sola: “il mercato ha bisogno di sostegno” (16) ossia di correttivi. In questo quadro s'inserisce l'interpretazione giuridica.

La custodia della Costituzione spetta anzitutto alla Corte ma anche il giudice comune fa la sua parte (17). “La problematica della cosiddetta interpretazione conforme [o adeguatrice] ha acquistato nel passaggio dallo Stato di diritto allo Stato costituzionale una centralità inusitata. All'interprete è dato il compito di stabilire, tra più opzioni interpretative, quella conforme alla Costituzione; operazione sempre delicata e perplessa” (18). La delicatezza dell'operazione nasce dal fatto che le “possibilità” interpretative possono essere di grado diverso: è più agevole ad es. l'interpretazione letterale di quella sistematica. Le maggiori perplessità nascono quando, di fronte a due possibili opzioni, quella più ardua appaia la sola conforme alla Costituzione. Dopo il 1956 (ma si direbbe meglio dopo il 1948) i giudici “sanno che il loro compito resta sempre quello di applicare la legge, ma sempre e soltanto dopo averla controllata” (19). Davanti ai giudici tendenzialmente chiedono tutela non già interessi economicamente e socialmente forti ma piuttosto interessi deboli, subalterni, non organizzati ancorché diffusi (20). “Quali che siano le intenzioni di chi gestisce precariamente il potere politico, nessuna legislazione per fattispecie potrà mai valere a paralizzare la rilevanza del principio costituzionale” (21).

 Per di più la giurisprudenza può, anzi deve – in caso di inerzia del legislatore -  assicurare la realizzazione dei diritti fondamentali, attraverso l'applicazione diretta delle norme o dei princìpi costituzionali (Drittwirkung) (22). Si pensi alle vicende del salario minimo di cui all'art. 36, primo comma, Cost.

Non si tratta certo di polemizzare qui circa il ruolo dei mercati e del potere finanziario nel mondo contemporaneo. Esiste però “un'infrastruttura etica senza la quale anche il capitalismo si disfa” (23). Nella Costituzione essa presuppone uno Stato sociale quale fattore di contenimento rispetto alle forze spontanee del mercato. Lo Stato e le istituzioni pubbliche conservano dunque un ruolo che va salvaguardato (24)

Le pronunce della Corte costituzionale sul regime sanzionatorio del licenziamento illegittimo

Nelle sentenze 7, 22 e 44 del 2024, qui prese in considerazione, la Corte costituzionale si pronuncia sul regime di tutela – reintegratoria, ossia reale, oppure indennitaria, ossia pecuniaria – del prestatore di lavoro contro il licenziamento illegittimo.          

E' appena il caso di ricordare come l'espulsione dal posto di lavoro costituisca non solamente un danno economico, poiché può privare l'uomo dei mezzi sufficienti ad assicurare a lui ed alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa (art. 36, primo comma. Cost.), ma produca anche un grave pregiudizio morale poiché è anche e in primis nella comunità di lavoro che si svolge la personalità dell'individuo (art. 2 Cost.), ciò che del resto è nell'esperienza di ciascuno di noi, lavoratori subordinati o autonomi.

Perciò non è possibile porre sullo stesso piano, o stabilire un rapporto regola-eccezione sul piano dei valori, fra reintegrazione e indennizzo, per quanto di misura elevata.

Inoltre il principio di effettività della protezione del diritto soggettivo leso (art. 24 Cost.) richiede che il titolare consegua attraverso il processo esattamente ciò che gli spetta, ossia ciò che gli è stato tolto, così sul piano quantitativo come sul piano qualitativo; solo eccezionalmente, per impossibilità o per ragioni superiori, il bene della vita sottratto può essere sostituito dall'equivalente in denaro (25). Né mi risulta alcuna persuasiva dimostrazione che questo principio non possa valere per il diritto del lavoro. Anche il già citato Gino Giugni diceva che “nel campo delle relazioni industriali l'inadempimento non si può trasformare in un'obbligazione risarcitoria, e quello che è necessario è invece l'esecuzione in forma specifica (26).

La sentenza della Consulta n. 7/2024: licenziamenti collettivi e adeguatezza della tutela indennitaria di tipo compensativo

Nella sentenza n. 7 la Corte costituzionale riconosce che con le norme impugnate (artt. 3, comma 1, e 10 d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23) la precedente tutela del lavoratore contro il licenziamento illegittimo viene “sensibilmente ridimensionata a favore della tutela indennitaria di tipo compensativo” (par. 4.3.) e la stessa osservazione è contenuta nella successiva sent. n. 22, redatta dallo stesso giudice.

La sent. n. 7 nota altresì che con le pronunce successive al 2015 la stessa Corte ha proceduto ad un nuovo ampliamento “dell'area della tutela reintegratoria” (par. 4.6.).

La detta riduzione legislativa della tutela contro i licenziamenti illegittimi non sembra alla Corte contrastante con gli artt. 3,4 e 35 Cost. per le ragioni che la stessa Corte riconduce a quelle dichiarate dal legislatore già nell'art. 1 l. n. 92/2012 nonché nel preambolo della legge n. 23 del 2015 e che si sintetizzano nella finalità di incremento dell'occupazione.

Ma sull'utilità, ai fini interpretativi, delle dichiarazioni del legislatore contestuali alla legge stessa, con le quali egli intende convincere della bontà sociale del suo prodotto con argomenti politici e non tecnico-giuridici, non è il caso di dilungarsi. Circa i preamboli già in tempo non recente si è parlato di “vari espedienti della rettorica nella motivazione delle leggi” e di “preamboli sempre meno importanti” (27).

La moderata fiducia nella motivazione espressa delle leggi, mostrata da Nicola Lupo (28), è da condividere poiché la stessa motivazione, anche quando non contestuale, può informare più sull'occasio che sulla ratio legis, destinata a modificarsi col tempo soprattutto in ragione dell'esperienza applicativa.

La Corte richiama anche l'incensurabilità, nella sua sede giurisdizionale, dell'esercizio della discrezionalità politica del Parlamento (art. 28 l. 11 marzo 1953 n. 87), pur conoscendo la labilità della linea di confine tra il sindacato su questo tipo di discrezionalità ed un controllo di legittimità in cui le norme-parametro (quelle della Costituzione) non sono quasi mai  formulate per fattispecie chiuse bensì attraverso l'indicazione di scopi da raggiungere, attraverso espressioni linguistiche indeterminate e perciò affidate all'ampia discrezionalità dell'interprete, ossia ed anzitutto al legislatore ordinario (29).

Oltre all'impossibilità di sindacare la discrezionalità politica del legislatore la Corte nega l'efficacia vincolante, per i giudici nazionali, delle decisioni del Comitato europeo per i diritti sociali. Negazione generalmente condivisa ma che richiederebbe nel caso di specie una motivazione di merito più ampia quando quelle decisioni non vengano condivise, pur essendo state invocate dalla parte.,

Ancor meno persuasiva è la sent. n. 7 nella parte in cui esclude ogni contrasto con norme costituzionali quanto alla soppressione di ogni tutela reintegratoria nel caso di violazione di norme, legali o della contrattazione collettiva, sui licenziamenti collettivi.

La violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, nell'ambito della comunità aziendale e più specificamente di una procedura concorsuale, integra la lesione di criteri di giustizia distributiva, vale a dire del principio costituzionale di eguaglianza nel diritto privato, che può essere restaurato solo con la tutela reale.

La sentenza della Corte n. 22/2024: la tutela applicabile nell'ipotesi di nullità del licenziamento non prevista “espressamente” dalla legge

La sent. n. 22 del 2024 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2., comma 1, d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, che prevedeva l'ordine giudiziale di reintegrazione del lavoratore licenziato, tra le altre ipotesi, con atto viziato da “nullità espressamente prevista dalla legge”. La parola “espressamente” non era contenuta nel criterio direttivo dato dalla legge di delega 10 dicembre 2014 n. 183 (art. 1, comma 7, lett. c), né della norma impugnata sarebbe stato possibile, ad avviso della Corte, un'interpretazione adeguatrice, come se la parola “espressamente” fosse stata usata inutilmente dal legislatore delegato.

Di conseguenza la Corte cancella l'avverbio, ravvisando l'eccesso di delega.

Essa ritiene che nella previsione del legislatore delegante sia accolta la categoria delle nullità virtuali, ravvisabili per generico contrasto del negozio giuridico con “norme imperative” (art. 1418, comma 1, c.c.). Categoria accolta dalla Cassazione, tra l'altro in Sez. un. 15 marzo 2022 n. 8472. La Corte costituzionale ritiene di conseguenza che il legislatore delegato, riducendo la tutela reintegratoria alle sole ipotesi di nullità testuali, ossia espressamente previste dalla legge, sia incorso nell'eccesso di delega.

Il riferimento al “diritto vivente” costituito da una consolidata giurisprudenza civile di legittimità, induce così ad una pronuncia favorevole al lavoro subordinato.

La sentenza della Corte costituzionale n. 44/2024: nessun eccesso di delega da parte del legislatore in materia di riduzione della tutela contro i licenziamenti illegittimi

La sentenza n. 44/2024 risolve anch'essa una questione relativa all'art. 76 Cost. ossia una questione di conformità ad un decreto legislativo delegato alla legge di delegazione.

Questa, e precisamente il già citato art. 1, comma 7, lett. c), l. n. 183/2014, delegava il Governo a disporre, tra l'altro, in materia di riduzione della tutela contro i licenziamenti illegittimi, intimati ai lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore della norma delegata. La riduzione della tutela consisteva nell'esclusione della reintegrazione nel posto di lavoro.

Nel caso sottoposto al giudice rimettente il lavoratore era stato assunto prima di quella data ma il “requisito dimensionale” dell'impresa, ossia il numero minimo di persone occupate, necessario per la riassunzione ex art. 18 Stat. lav., era stato raggiunto successivamente. In altre parole, il lavoratore licenziato dopo la detta data, pur se assunto prima, aveva maturato il requisito per la tutela reintegratoria dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 23/2015.

Nessun eccesso di delega, “legale, sistematica, teleologica”, ravvisa la Corte, la quale osserva che il diritto alla reintegrazione ai sensi dell'art. 18 cit. non era stato acquisito dal lavoratore all'entrata in vigore ora detta.

Si può osservare in generale come il “diritto quesito” che si voglia conservare in caso di mutamento della disciplina legislativa, deve consistere in una posizione soggettiva i cui elementi essenziali siano già ravvisabili al momento della sopravvenienza della legge nuova, rimanendo così escluse le aspettative di incerta realizzazione.

Note

(1) U. ROMAGNOLI, Per una rilettura dell'art. 2086 c.c., in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, pp. 1050-1051.

(2) G. GIUGNI, Il diritto del lavoro negli anni '80, in Lavoro, legge, contratti, Bologna, 1989, p. 301.

(3) G. GIUGNI, Conclusioni, in Giudici del lavoro e conflitto industriale. Tendenze italiane ed europee, a cura di M. D'Antona e R. De Luca Tamajo, Napoli, 1984, p. 109.

(4) M. FIORAVANTI, La Costituzione democratica. Modelli e itinerari del diritto pubblico nel ventesimo secolo, Milano, 2018, p. 131. Su questo Autore vedi Lo Stato costituzionale. Radici e prospettive. Atti della giornata di studio di Firenze, 10 marzo 2023, Milano 2023, e specialmente l'ultimo capitolo con l'articolo di M. DOGLIANI, Il concetto di trasformazione costituzionale, p. 263.

(5) S. MAZZAMUTO, La biblioteca di diritto privato ordinata da Pietro Rescigno, in Europa e dir. priv., 2017, p. 511.; G. CAZZETTA, Giuristi e costruzione della memoria nell'Italia repubblicana, in Diritti e costruzione della memoria nell'Italia repubblicana. Materiali dell'incontro di studio, Ferrara 24 ottobre 2008, Milano, 2009, p. 5.

(6) P. COSTA, Cittadinanza sociale e diritto del lavoro nell'Italia repubblicana, nei Materiali per l'incontro di studio ult. cit., p. 46; L. NOGLER, Cittadinanza e diritto del lavoro: una storia a comando, ivi, p. 89.

(7) N. CŎNTOURIS, L'Europa sociale al lavoro, in Riv. giur. lav. 2024, I, p. 116, che cita un articolo di Keith EWING, The death of social Europe, in King's Law Journal 2015, fasc. 1, p. 76.

(8) S. LAFORGIA, Ipotesi per una riaffermazione valoriale del diritto del lavoro, in A. PERULLI (a cura di), L'idea di diritto del lavoro, oggi. In ricordo di Giorgio Ghezzi, Padova, 2016, p. 414. Si moltiplicano gli allarmi contro “le involuzioni del presente e l'abbandono di un modello su cui il secondo dopoguerra, in gran parte d'Europa, scommetteva per la rinascita” (B. SORDI, Stato e Costituzione: la prospettiva storica, in Lo Stato costituzionale, cit., p. 26. Si denunciano “le grandi multinazionali ma anche le agenzie di rating, spesso impermeabili ad ogni forma di eteroregolamentazione e […] che non rispondono del loro operato se non a sé medesime”, con conseguente accentuazione della tensione tra libertà economiche e diritti (P. CARETTI, Lo Stato costituzionale nella dimensione sovranazionale, in Lo Stato costituzionale, pp. 268 e 269) e ancora G. PRETEROSSI, Il “doppio lato” della Costituzione, in Lo Stato costituzionale, p. 299. E. CHELI, Conclusioni, in Lo Stato costituzionale, p. 315, dice che nella battaglia per il diritto contro l'arbitrio politico l'avversario “risiede nella forza planetaria della tecnica e dell'economia”.

(9) E. DEL PRATO, Sul quarto libro del codice civile, in Contr. e impr., 2024, p. 22.

(10) G. CAZZETTA, L'autonomia del diritto del lavoro nel dibattito giuridico tra fascismo e Repubblica, in Quaderni fiorentini ,2000, p. 534.

(11) V. CRISAFULLI, La Costituzione e le sue disposizioni di principio. Le norme programmatiche della Costituzione, Milano, 1952, p. 145. Vedi ora M.W. MONTEROSSI, L'orizzonte intergenerazionale del diritto civile. Tutela, soggettività, azione, Pisa, 2020, p. 213.

(12) A. PIZZORUSSO, Delle fonti del diritto, Bologna-Roma, 2011, p. 63.

(13) L. PALADIN, Osservazioni sulla discrezionalità e sull'eccesso di potere del legislatore ordinario, in Riv. trim. dir. pubblico, 1956, p. 996; G. ZAGREBELSKY, Per Fioravanti, in Lo Stato costituzionale, cit., pp. 45 e 51.

(14) C. CAMARDI, Creatività, storicità e continuità nella teoria dell'interpretazione di Tullio Ascarelli, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, pp. 85 e 87; A. PUGIOTTO, Sindacato di costituzionalità e “diritto vivente”. Genesi, uso, implicazioni, Milano, 1994, p. 58.

(15) L. EINAUDI, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, Bari, 1933, p. 103; R. TETI, La dottrina del diritto civile e la legislazione della prima guerra mondiale, in Novecento giuridico. I civilisti, a cura di P. Perlingieri e A. Tartaglia Polcini, Napoli, 2013, p. 109.

(16) F. DENOZZA, Lo stile giuridico neoliberale, in Esiste uno stile giuridico neoliberale?, a cura di R. Sacchi e A. Toffoletto, Milano 2019, p. 10.

(17) P. CARETTI, op. cit., p. 266.

(18) V. CERULLI IRELLI, Amministrazione e giurisdizione, in Giur. cost., 2019, p. 1832; G. ZAGREBELSKY, op. cit., p. 50; M. DOGLIANI, op. cit., p. 277.

(19) E. LAMARQUE, Corte costituzionale e giudici nell'Italia repubblicana. Nuova stagione. Altri episodi, Napoli, 2021, p. 81.

(20)  V. ROPPO, Sullo stato dell'organizzazione giuridica. Note minime sopra un'intervista e sopra la recensione di un'intervista, in Politica del dir., 1979, p. 469.

(21) N. LIPARI, Principio di eguaglianza ed esercizio della giurisdizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2020, p. 536.

(22) G. D'AMICO, La giustizia tra legge e diritto, Firenze, 2021, p. 172; G. BISOGNI, Della geometria giuridica ovvero del “posto” dei giudici nello “Stato costituzionale” del presente, in Lo Stato costituzionale, cit., p. 200.

(23) U. ROMAGNOLI, Il lavoro in Italia. Un giurista racconta, Bologna, 1995, p. 197.

(24) P. CARETTI, op. cit., p.271

(25) G. CHIOVENDA, Sulla perpetuatio iurisdictionis, in Saggi di diritto processuale civile, Roma, 1930, p. 273.

(26) G. GIUGNI, Conclusioni, cit., p. 111.

(27) P.L. MONATERI, Codice civile, in Dig. it., sez. civ., II, 1998, p. 456.

(28) N. LUPO, La “motivazione” delle leggi alla luce del nuovo titolo V della Costituzione, in Iter legis 2002, fasc. 2, p. 1.

(29) G. ZAGREBELSKY, Per Fioravanti, cit., p. 51, dice che “il richiamo alla discrezionalità del legislatore è un argomento utile per giustificare la decisione o di non decidere del tutto, o di non decidere «per ora», o di decidere solo ‘un poco', o di decidere solo «in principio» o di segnalare la necessità di una legge nuova”.

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