L'astensione e la ricusazione nella proposta conciliativa del giudice del lavoro

05 Giugno 2024

L'art. 420 c.p.c. afferma che il giudice svolge una proposta conciliativa ma non si dice se la proposta di conciliazione possa costituire o meno motivo di ricusazione o astensione del giudice.

Premessa

Come noto l'art. 420 del c.p.c. prevede, al primo comma, che «Nell'udienza fissata per la discussione della causa il giudice interroga liberamente le parti presenti, tenta la conciliazione della lite e formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa. La mancata comparizione personale delle parti, o il rifiuto della proposta transattiva o conciliativa del giudice, senza giustificato motivo, costituiscono comportamento valutabile dal giudice ai fini del giudizio. Le parti possono, se ricorrono gravi motivi, modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate previa autorizzazione del giudice». Con la proposta conciliativa e/o transattiva del giudice del lavoro si mira a “provare” una definizione del procedimento “alternativa” a quella “classica” della sentenza ed è finalizzata a ridurre il contenzioso e, in particolare, i tempi di definizione del procedimento giudiziario (che, soprattutto nel settore del lavoro e della previdenza, deve essere improntato, normalmente, a celerità ed immediatezza).  Questa disposizione consente al giudice un penetrante potere nei confronti delle parti al fine di poter definire la causa di lavoro in via transattiva o conciliativa senza che si addivenga ad una sentenza. Il legislatore ha voluto potenziare il ruolo del giudice, pur a fronte del rischio di una possibile diminuzione della sua imparzialità (o, quantomeno, dell'apparenza di tale imparzialità nei confronti delle parti), nella speranza di un incremento delle risoluzioni bonarie delle controversie nel settore delle controversie del lavoro. La possibilità per il giudice di effettuare una proposta conciliativa sin dalla prima udienza impone, perciò solo, di esaminare i possibili rischi che possono derivanti all'imparzialità del giudice nel caso di proposte conciliative particolarmente dettagliate ed articolare e che possono, poi, in caso di rifiuto della proposta, fare “pensare” alle parti che il giudice abbia già deciso in un certo modo e sia, quindi, “prevenuto” verso una delle parti. Occorrerà, quindi, chiedersi se il legislatore ha previsto uno “scudo” protettivo per il giudice del lavoro che svolge una proposta ex art. 420 c.p.c. e se, comunque, per le parti, residua la possibilità di richiedere la ricusazione del giudice ovvero sollecitare l'astensione del magistrato.

La ricusazione e l'astensione nella proposta conciliativa

L'art. 420 c.p.c. afferma che il giudice svolge una proposta conciliativa ma non si dice se la proposta di conciliazione possa costituire o meno motivo di ricusazione o astensione del giudice. Diversamente l'art. 185-bis c.p.c. prevede espressamente che “il giudice, fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione, formula alle parti ove possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia e all'esistenza di questioni di facile e pronta soluzione di diritto, una proposta transattiva o conciliativa. La proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o astensione del giudice”. Per la proposta conciliativa effettuata nel processo a cognizione ordinaria viene previsto, quindi, che la stessa non può costituire motivo di astensione o ricusazione del giudizio. Perché nella proposta di conciliazione del giudice del lavoro non viene espressamente previsto, come nella proposta ex art. 185-bis c.p.c., che la proposta non può essere oggetto di istanza di ricusazione o di astensione del giudice? Secondo una prima impostazione dottrinale la proposta conciliativa del giudice ex art. 185-bis c.p.c. necessita di una espresso “scudo” di protezione del giudice perché la proposta di conciliazione può essere formulata, come prevede espressamente la norma, “fino al momento in cui fissa l'udienza di rimessione della causa in decisione” e, quindi, anche in una fase “avanzata” del procedimento quando, ad esempio, è stata già sfogata l'istruttoria testimoniale o, magari, espletata una consulenza tecnica. Diversamente, nella proposta di conciliazione ex art. 420 c.p.c., il giudice del lavoro dovrebbe formularla soltanto in prima udienza, così come emergerebbe dalla lettura della norma che prevede che il giudice dapprima interroga liberamente le parti presenti e poi tenta la conciliazione della lite e “formula alle parti una proposta transattiva o conciliativa”. Questa impostazione, a parere dello scrivente, non coglie nel segno in quanto se è vero che l'art. 185-bis c.p.c. prevede espressamente che la proposta conciliativa può essere formulata sino al momento della rimessione della causa in decisione è anche vero che, nel processo del lavoro, tutte le udienze sono per discussione e, quindi, la collocazione dell' “incombente” all'interno del primo comma dell'art. 420 c.p.c. non può perciò solo far ritenere che la proposta di conciliazione o transazione può essere espletata soltanto in prima udienza. Tra l'altro il giudice del lavoro può sempre sentire liberamente le parti anche oltre la prima udienza, così come previsto dall'art.117 c.p.c., e procedere poi alla formulazione della proposta conciliativa. Il Giudice del lavoro deve, quindi, formulare la proposta di conciliazione rischiando una istanza di ricusazione per aver anticipato il giudizio? Deve ritenersi che anche per la proposta di conciliazione ex art. 420 c.p.c. vale quanto previsto dall'art.185-bis c.p.c. ossia che la proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione o del giudice. Questo perché l'art. 185-bis è situato all'interno delle norme “generali” della “trattazione della causa” del processo di cognizione applicabili quando non sono espressamente derogate da specifiche disposizioni previste per determinati riti speciali. La proposta conciliativa del giudice del lavoro e quella del giudice della cognizione ordinaria sono identiche e mirano ad una medesima funzione, ossia quella volta a deflazionare il contenzioso e a ridurre la durata dei tempi di giudizio. Inoltre le norme disciplinanti la ricusazione e l'astensione sono situate all'interno delle “disposizioni generali” del processo civile e, quindi, non vi sarebbe ragione di differenziare la disciplina della conciliazione del rito lavoro da quella del processo di cognizione ordinaria. Quindi, deve ritenersi che la proposta conciliativa non può costituire, in linea generale, motivo di ricusazione ed astensione del giudizio.

Occorre ora verificare se vi sono però degli spazi “residuali” che impongano, comunque, al giudice di valutare l'astensione dal giudizio a seguito di una proposta conciliativa.

Come noto l'istituto dell'astensione tende a preservare la terzietà di ogni singolo giudice rispetto alla causa che è chiamato a decidere, obbligandolo ad astenersi in determinati casi in cui la legge ritiene che tale terzietà possa essere compromessa, legittimando altresì ognuna delle parti a ricusare il giudice che a quest'obbligo non ottemperi. Gli art. 51 e 52 del c.p.c. costituiscono, quindi, concretizzazione dell'art. 111 della Costituzione. Il Giudice quando effettua una proposta conciliativa “allo stato degli atti”, ossia prima dell'ammissione degli eventuali mezzi istruttori, non anticipa in alcun modo il proprio giudizio in quanto non solo il tentativo di conciliazione è imposto dalla norma ma formula una proposta che non deve costituire una ipotesi di decisione ma deve trovare una soluzione che possa “scontentare” entrambe le parti prospettando loro i vantaggi della conciliazione: 1) riduzione dei tempi del procedimento (la causa si estingue con la sottoscrizione di un verbale di conciliazione che costituisce un titolo esecutivo alla pari di una sentenza); 2) eliminazione di ogni rischio ed alea della controversia; 3) riduzione delle spese processuali; 4) eliminazione dello stress derivante dalla causa e dai suoi sviluppi processuali. La proposta conciliativa, quindi, non dovrà mai essere formulata in maniera tale da essere percepita dalle parti come una anticipazione del giudizio. Il Giudice, quindi, dovrà proporre una soluzione che sia ragionevolmente “accettabile” da tutte le parti in causa senza effettuare una prognosi sull'esito favorevole o sfavorevole del procedimento. Ad esempio, se il ricorrente richiede delle somme di danaro a titolo di lavoro straordinario non retribuito il giudice potrà prospettare una soluzione conciliativa che tenga conto dell'onerosità probatoria dell'accertamento dello straordinario e di eventuali somme di danaro già corrisposte dal datore di lavoro, seppur computate sotto altre voci (es. trasferta), e formulare una proposta che imponga al datore di lavoro di pagare una somma di danaro molto più bassa rispetto a quella richiesta dal datore di lavoro. In caso di non accettazione della proposta da parte di una delle parti (o di entrambe le parti) il giudice potrà “tranquillamente” proseguire la trattazione del procedimento senza temere eventuali istanze di ricusazione o richieste di astensione. Il discorso è, invece, più delicato qualora il giudice decidesse di avventurarsi in proposte conciliative che, invece, in realtà, non sono altro che anticipi di vere e proprie decisioni. In questi casi, e soprattutto dopo istruttorie complesse, il giudice deve fare molta attenzione nel formulare la proposta. Se il giudice, dopo la chiusura dell'istruttoria, invita le parti a valutare una soluzione conciliativa della controversia è evidente che nessun “problema” di anticipazione del giudizio si può porre. Lo stesso, è a dirsi, quando il giudice prospetti varie soluzioni conciliative e/o transattive della vicenda invitando le parti a valutarle. In questi casi è evidente che la proposta conciliativa non può costituire motivo di astensione o ricusazione del magistrato. Se, invece, all'esito dell'istruttoria svolta, il giudice formuli una proposta conciliativa che costituisca in maniera inequivoca la sua futura decisione è evidente che, in caso di non accettazione della proposta, il giudice si espone al rischio di doversi astenere o essere attinto da una istanza di ricusazione.

Conclusioni

Con la proposta di conciliazione, come è stato detto, si assegna al giudice un ruolo sui generis, chiamandolo ad intervenire su un terreno, quello conciliativo/transattivo, che è normalmente ad appannaggio delle parti. Si tratta di un potere che impone al giudice di muoversi tra posizioni processuali opposte, escludendo così la possibilità che uno dei litiganti abbia totalmente ragione e l'altro totalmente torto. Nel momento in cui il giudice si muove all'interno delle difese delle parti deve, comunque, fare attenzione a non pregiudicare la propria terzietà ed imparzialità. Il legislatore ha, comunque, previsto che la proposta di conciliazione non può costituire motivo di ricusazione od astensione del giudice (art. 185-bis c.p.c.) con ciò prevedendo una sorta di scudo protettivo per il magistrato che effettua la proposta. Lo stesso “scudo” deve ritenersi “estensibile” anche alla proposta conciliativa ex art. 420 c.p.c. Deve ritenersi che questa “esimente” vale soprattutto quando la proposta viene effettuata quando la causa non è stata ancora istruita e, quindi, quando la proposta viene effettuata “allo stato degli atti”. Maggiore attenzione e cautela, invece, dovrà avere il giudice quando intende effettuare la proposta di conciliazione in una fase avanzata della causa, ossia all'esito della espletata istruttoria ovvero quando la causa sia in fase decisoria (soprattutto per i procedimenti di lavoro). Ora, se è vero che non vi sono ostacoli all'effettuazione di una proposta conciliativa nella fase istruttoria (magari anche dopo l'escussione dei testi o all'esito dell'interrogatorio formale) o decisoria è anche vero che, come detto, una proposta conciliativa in questi segmenti processuali verrebbe percepita come una anticipazione del giudizio con il rischio che qualcheduna delle parti potrebbe chiedere la ricusazione o l'astensione del giudice procedente (artt. 51 e 52 c.p.c.). In definitiva, quindi, il giudice dovrà sempre bilanciare l'interesse alla durata ragionevole del procedimento con il principio d'imparzialità ed indipendenza del magistrato.

Il Giudice, invece, potrebbe, per evitare il rischio anzidetto, soltanto invitare le parti a valutare una soluzione bonaria delle controversie senza effettuare una specifica proposta ovvero invitare le parti a “rivalutare”, anche alla luce dell'istruttoria espletata e degli esiti della consulenza eventualmente svolta, la precedente proposta conciliativa effettuata dal giudice in prima udienza.

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