Reato di produzione di materiale pedopornografico e diminuzione di pena
10 Giugno 2024
Massima In conseguenza della violazione del principio di proporzionalità della pena desumibile dagli artt. 3 e 27, comma 3, Cost., con pregiudizio anche del principio di individualizzazione della stessa, alla luce del carattere «personale» della responsabilità penale (art. 27, comma 1, Cost.), deve dichiararsi costituzionalmente illegittimo l'art. 600-ter, comma 1, n. 1) c.p., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Il caso Tizio veniva imputato per il reato di cui all'art. 600-ter, comma 1, n. 1) c.p. poiché, mediante l'utenza telefonica del padre e con uno pseudonimo, contattava ragazze minorenni, inviando foto dei propri organi genitali ed ottenendo da alcune delle interlocutrici, su sua richiesta, foto ritraenti i loro organi sessuali secondari (ovvero glutei e seni), così inducendo le vittime a inviargli materiale pedopornografico. Alla luce di ciò, si riteneva che tale condotta tenuta dall'imputato configurasse il reato di realizzazione di materiale pedopornografico tramite l'utilizzazione di ragazze minorenni. All'esito del dibattimento, sentite le conclusioni delle parti e, in particolare, la richiesta del P.M. di sollevare questione di legittimità costituzionale, il Tribunale di Bologna, in primo luogo rilevava che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che nei confronti di due ragazze minorenni la condotta posta in essere dall'imputato ben si poteva inquadrare nella fattispecie prevista dall'art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p. in quanto in entrambi i casi veniva in rilievo la produzione di materiale pedopornografico, rappresentato da fotografie ritraenti organi sessuali secondari, realizzato dalle persone offese su istigazione dell'imputato nell'ambito di un rapporto, instaurato virtualmente, connotato da una posizione di supremazia di quest'ultimo, tale da integrare il presupposto della “utilizzazione del minore” richiesto dalla norma. Inoltre, il carattere abusivo della produzione di materiale pedopornografico veniva individuato nell'inganno perpetrato dall'imputato, il quale aveva, nel corso della conversazione virtuale, dichiarato falsamente di avere sedici anni e mostrato foto del viso non corrispondenti alle sue reali sembianze. In secondo luogo, il Tribunale esaminava una serie di elementi: la differenza contenuta di età tra l'imputato che era appena diciottenne e le persone offese, di cui una aveva tredici anni e un'altra quattordici; l'oggetto delle immagini pedopornografiche, che ritraevano unicamente organi sessuali secondari (ovvero seno e glutei, rientranti nel concetto di «organi sessuali di un minore di anni diciotto» di cui all'ultimo comma dell'art. 600-ter c.p., come chiarito, tra le altre, da Cass. pen., sez. III, n. 9354/2020 secondo la quale “in tema di pornografia minorile, il riferimento alla "rappresentazione degli organi sessuali di un minore di anni diciotto" di cui all'ultimo comma dell'art. 600-ter c.p. ricomprende non solo gli organi genitali, ma anche altre zone erogene, come il seno e i glutei”); l'assenza di finalità commerciali o divulgative; poiché l'istigazione era avvenuta tramite un'opera di persuasione non connotata da particolare ostinazione o insidia (infatti la produzione e l'inoltro delle fotografie avevano luogo, rispetto alla prima vittima, praticamente su semplice richiesta, pur preceduta dall'inganno sull'età, e, rispetto alla seconda, a seguito di mera richiesta, «sia pure “insistente”», da parte dell'imputato), si rilevava la mancanza di particolari tecniche di manipolazione psicologica o seduzione affettiva, o comunque pressioni subdole e infide sintomatiche di un più riprovevole sfruttamento della propria posizione di supremazia in termini di età ed esperienza. Prendendo in considerazione tutti i suddetti elementi, il Tribunale riteneva effettivamente che la condotta oggetto di imputazione dovesse considerarsi di minore gravità. Poiché, però, il reato contestato prevede quale trattamento sanzionatorio «la reclusione da sei a dodici anni» e la «multa da euro 24.000 ad euro 240.000», senza prevedere alcuna attenuante qualora ricorrano casi di minore gravità, con ordinanza del 15 settembre 2023, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2023, il Tribunale ordinario di Bologna, II sezione penale, sollevava, in riferimento agli artt. 3 e 27, commi 1 e 3 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell'art. 600-ter, comma 1, n. 1 c.p., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto l'attenuante per i casi di minore gravità. La questione Secondo il Giudice a quo il trattamento sanzionatorio previsto per il suddetto reato, ovvero la reclusione da sei a dodici anni e la multa da 24.000 a 240.000 euro, senza prevedere attenuanti in casi di minore gravità, appare irragionevole considerando anche il fatto che la sua eccessiva severità è incapace di adattarsi alla varietà delle situazioni che si possono verificare, impedendo così al giudice di adeguare la sanzione al caso concreto, mitigando la risposta punitiva in presenza di elementi oggettivi indicatori di una minore gravità del fatto, quali mezzi, modalità esecutive, grado di compressione della dignità e del corretto sviluppo sessuale della vittima, condizioni fisiche e psicologiche di quest'ultima anche in relazione all'età, all'occasionalità o reiterazione delle condotte e alla consistenza del danno arrecato, anche in termini psichici. Con riferimento all'art. 27, commi 1 e 3 Cost., poiché la particolare severità del trattamento sanzionatorio impedisce di irrogare una pena proporzionale al caso concreto, il Tribunale rileva che la norma viola i principi di personalità della responsabilità penale e della finalità rieducativa della pena, in quanto l'attribuzione di una pena palesemente sproporzionata, poiché non ne viene prevista una diversa, al fatto concretamente commesso, vanifica, già a livello di comminatoria legislativa astratta, la finalità rieducativa, che, così operando, viene inevitabilmente avvertita come ingiusta dal condannato. Secondo il Tribunale, la soluzione più adeguata sarebbe certamente quella di estendere anche all'art. 600-ter, comma 1, n. 1 c.p., la possibilità di applicare, nei casi di minore gravità, la riduzione di pena in misura non eccedente i due terzi. Dopotutto tale attenuante è già espressamente prevista dal codice penale per i reati di violenza sessuale (art. 609-bis, comma 3 c.p.) e atti sessuali con minorenni (art. 609-quater, comma 6 c.p.), ipotesi delittuose omogenee a quella in esame. Inoltre, il Tribunale fa presente che non è la prima volta che viene esaminata tale questione in quanto, la Corte costituzionale, precedentemente, era già stata chiamata ad esprimersi in merito all'attenuante da applicarsi ai casi di minore gravità con riguardo ai reati previsti ex art. 629 c.p. (estorsione – C. cost. n. 120/2023) e art. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione – C. cost. n. 68/2012) e al reato ex art. 167 comma 1 (Distruzione o sabotaggio di opere militari – Sentenza n. 244/2022) previsto dal codice penale militare di pace. Per tutte le argomentazioni rilevate, quindi, secondo il Giudice a quo, anche l'art. 600-ter comma 1 n. 1 c.p., includendo nel proprio ambito applicativo situazioni significativamente diverse sul piano del grado di offesa al bene giuridico tutelato, richiederebbe la previsione di una «valvola di sicurezza» che consenta al giudice, alla stregua dei principi di ragionevolezza, individualizzazione e finalità rieducativa della pena, di irrogare la pena adeguandola al concreto disvalore del fatto. Le soluzioni giuridiche In primo luogo è bene premettere che quanto argomentato e preso in considerazione dalla Corte costituzionale nella sentenza in commento, riguarda esclusivamente il reato di produzione di materiale pedopornografico, con esclusione, quindi, della diversa fattispecie di realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici prevista dal medesimo numero 1) del comma 1 dell'art. 600-ter c.p. La Corte costituzionale evidenzia, preliminarmente, che, per costante giurisprudenza costituzionale, le valutazioni discrezionali di dosimetria della pena – in quanto massima espressione di politica criminale – spettano al legislatore, con il solo limite delle scelte sanzionatorie che si rivelino arbitrarie o manifestamente irragionevoli, e che, nella perimetrazione del proprio sindacato di legittimità costituzionale, la stessa Corte ha sviluppato un modello di sindacato sulla proporzionalità “intrinseca” della pena, in modo da assicurare che questa sia adeguatamente calibrata sul fatto concreto; e ciò anche indipendentemente dalla individuazione di un preciso tertium comparationis alla cui luce condurre lo scrutinio di proporzionalità. A tal fine assumono rilievo la formulazione particolarmente ampia della disposizione censurata, la cui latitudine normativa sia tale da ricomprendere fattispecie significativamente diversificate sul piano criminologico e del tasso di disvalore o anche l'eccessiva asprezza del minimo editale, idonea, in quanto tale, a precludere al giudice di graduare la sanzione per adattarla al caso concreto e allo specifico disvalore della condotta incriminata. La Corte richiama, in particolare, il precedente della sentenza n. 120/2023, che, facendo riferimento ad entrambi i profili di illegittimità costituzionale sopra richiamati, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 629 c.p. – per violazione degli artt. 3 e 27, comma 3, Cost. – nella parte in cui non prevedeva una diminuzione di pena (in misura non eccedente un terzo) quando, per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risultasse di lieve entità; e ciò sulla base della considerazione che «la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla gravità concreta del fatto estorsivo, può determinare l'irrogazione di una sanzione non proporzionata ogni qual volta il fatto medesimo si presenti totalmente immune dai profili di allarme sociale che hanno indotto il legislatore a stabilire per questo titolo di reato un minimo edittale di notevole asprezza». La sentenza in commento aggiunge all'esame dei precedenti anche: la sentenza n. 68/2012, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 630 c.p. nella parte in cui non prevedeva che la pena da esso comminata fosse diminuita quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell'azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità, censurando, segnatamente, la mancata previsione di una circostanza attenuante che consenta al giudice di mitigare la risposta punitiva, in presenza di elementi oggettivi rivelatori di una limitata gravità del fatto, sulla falsariga di quanto è consentito dall'art. 311 c.p. in rapporto al sequestro di persona a scopo terroristico o eversivo; la sentenza n. 244 del 2022 che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 167, comma 1 del codice penale militare di pace, nella parte in cui non prevedeva che la pena fosse diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risulti, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità, in quanto la mancata previsione di una causa di attenuazione del trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità abbracciati dall'ampio perimetro applicativo della disposizione censurata viola il principio di proporzionalità della pena, poiché comporta che, anche rispetto a condotte che non provochino alcun disservizio significativo, il tribunale militare sia vincolato ad applicare una pena - fissata nel minimo edittale, eccezionalmente elevato, di otto anni di reclusione - che può risultare manifestamente sproporzionata rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, con pregiudizio allo stesso principio di individualizzazione della pena e alla funzione rieducativa. Fissati, in tal modo, i parametri del giudizio di costituzionalità nel caso in esame, la Corte osserva che l'art. 600-ter, comma 1 n. 1 c.p. stabilisce che sia «punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 24.000 a euro 240.000 chiunque, utilizzando minori di anni diciotto, realizza esibizioni o spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico». Già dalla sola lettura della norma risulta evidente che tale disposizione al suo interno, prevede molteplici e diverse condotte, quali quelle di produzione di materiale pornografico e realizzazione di esibizioni o spettacoli pornografici mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto; fattispecie diverse che sono però tutte punite con la stessa pena. All'interno di ognuna di queste, poi, in particolare in quella di cui trattasi ovvero di produzione di materiale pedopornografico utilizzando soggetti minori, possono essere ricomprese differenti condotte e modalità esecutive del reato. Tale disposizione, quindi, si caratterizza per una notevole ampiezza descrittiva che coinvolge una molteplicità di condotte dal diversificato disvalore ma non opera alcuna graduazione di pena che tenga in considerazione una serie di elementi idonei ad incidere sul disvalore della condotta e sul pregiudizio del bene giuridico tutelato, quali, ad esempio, l'età della vittima, il rapporto tra quest'ultima e l'agente o la differenza di età tra i due, o, ancora, il contenuto delle immagini prodotte. La Corte, poi, rileva che la disposizione ex art. 600-ter c.p. è stata oggetto di un'evoluzione normativa (legge 6 febbraio 2006, n. 38) e giurisprudenziale (Cass. pen., sez. un., 31 maggio 2018, n. 51815) avente lo scopo di rafforzare la prevenzione e la repressione di tale reato che è di particolare gravità; con la conseguenza che, per un verso, per la consumazione dei delitti sia sufficiente l'”utilizzazione” (non più lo “sfruttamento) dei minori per la produzione di esibizioni o di materiale pornografico, a prescindere da qualsiasi finalità lucrativa o commerciale, per un altro verso, che per l'individuazione dell'elemento soggettivo debba farsi riferimento al dolo generico (occorrendo, comunque, la consapevolezza che i soggetti utilizzati siano minorenni) e non più al dolo specifico richiesto in passato. Inoltre, per effetto della legge 1 ottobre 2012, n. 172 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l'abuso sessuale, fatta a Lanzarote il 25 ottobre 2007, nonché norme di adeguamento dell'ordinamento interno), per materiale pedopornografico si intende qualunque rappresentazione del minore che ne effigi la nudità con finalità sessuale o che ne ritragga il coinvolgimento in atti sessuali» (Cass. pen., sez. V, 8 giugno 2018, n. 33862) e che l'accertamento del reato prescinda da qualsivoglia soglia quantitativa, rientrando nel concetto di “materiale” qualsiasi rappresentazione pedopornografica di un minore, anche se costituita solo da poche foto o addirittura da una sola immagine (Cass. pen., sez. un., n. 51815/2018; Cass. pen., sez. III, 11 maggio 2023, n. 41572). Infine, la sentenza in esame prende atto che la Corte di cassazione ha escluso la necessità dell'accertamento del pericolo concreto della diffusione del materiale prodotto nel perverso circuito della pedofilia, in quanto – essendo ormai insita nei nuovi strumenti tecnologici la potenzialità diffusiva di qualsiasi produzione di immagini o video, sì da rendere anacronistico il presupposto del pericolo concreto di diffusione del materiale realizzato – ha ritenuto che la produzione comporti in re ipsa il pericolo di diffusione (Cass. pen., sez. un., n. 51815/2018; da ultimo, Cass. pen., n. 41572/2023). In definitiva, è proprio l'ampliamento dell'ambito di applicazione del reato in esame che rende necessaria l'attuazione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice, attraverso la previsione di un'attenuante speciale, di graduare e “personalizzare” la pena da irrogare in concreto con riferimento ai casi di minore gravità, al fine di assicurare la proporzionalità della sanzione in una con la individualizzazione della pena e la sua finalità rieducativa. La Corte precisa che è privo di rilevanza il fatto che la pena del reato in esame potrebbe essere comunque mitigata tramite l'applicazione delle circostanze attenuanti comuni, poiché la funzione "naturale" delle circostanze attenuanti generiche è quella di adeguare la misura concreta della pena in forza di una serie di elementi, anche di ordine soggettivo, e non anche quella di correggere di fatto la mancanza di proporzionalità della pena quale deriva da un minimo edittale particolarmente significativo e dalla mancata previsione di una diminuente che, peraltro, il legislatore contempla per fattispecie di reato simili. Infine, ritenuta sussistente la violazione del principio di proporzionalità della pena, la Corte ritiene che per colmare il buco normativo e quantificare così la diminuente, si possa pacificamente prendere in esame quella prevista per il reato di atti sessuali con minorenne ex art. 609-quater c.p., la quale prevede che «nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi», alla luce sia degli elementi comuni alle due fattispecie, sia del fatto che entrambe le fattispecie prevedano la medesima cornice sanzionatoria. Ai fini dell'applicazione della circostanza attenuante, il Giudice dovrà compiere una attenta valutazione del fatto attribuendo rilievo alle modalità esecutive, all'oggetto delle immagini pedopornografiche, al grado di coartazione esercitato sulla vittima (anche in riferimento alla mancanza di particolari tecniche di pressione e manipolazione psicologica o seduzione affettiva), alle condizioni fisiche e psicologiche della vittima anche in relazione all'età e alla contenuta differenza con l'età del reo e al danno, anche psichico, arrecatole; inoltre, dovrà tenere conto dell'estraneità della condotta incriminata rispetto a profili di particolare allarme sociale (riconducibilità del fatto al circuito della diffusione di immagini o video pedopornografici e al relativo mercato). Così motivando, la Corte ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'art. 600-ter, comma 1, n. 1 c.p., per violazione degli artt. 3 e 27, comma 1 e 3, Cost., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l'utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi». Osservazioni La giurisprudenza costituzionale afferma costantemente il principio che le valutazioni discrezionali di dosimetria penale competono in esclusiva al legislatore, chiamato dalla riserva di legge ex art. 25 Cost. a stabilire il grado di reazione dell'ordinamento al cospetto della lesione di un determinato bene giuridico. Tuttavia, anche la discrezionalità del giudice può ritenersi posta a presidio di valori costituzionali fondamentali, quali il principio di uguaglianza, anche nella prospettiva della ragionevolezza (art. 3 Cost.), poiché solo la possibilità di adattare il trattamento sanzionatorio alle caratteristiche dei casi concreti consente di differenziare la risposta punitiva riguardo a situazioni difformi; inoltre, l'attuazione del principio di finalizzazione rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.) esige una valutazione del fatto e delle caratteristiche del suo autore, possibile solo attraverso margini adeguati di discrezionalità giudiziale; in altri termini, «l'attribuzione al giudice di un margine di discrezionalità nella sua commisurazione all'interno di una forbice edittale, così da poterla adeguare alle particolarità della fattispecie concreta - costituisce naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d'uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale, al lume dei quali l'attuazione di una riparatrice giustizia distributiva esige la differenziazione più che l'uniformità» (C. cost. n. 185/2021). Più in generale la Corte ha osservato che «qualsiasi legge dalla quale discendano compressioni dei diritti fondamentali della persona deve potersi razionalmente giustificare in relazione a una o più finalità legittime perseguite dal legislatore; e i mezzi prescelti da quest'ultimo non devono risultare manifestamente sproporzionati rispetto a quelle pur legittime finalità. Il controllo sul rispetto di tali limiti spetta alla Corte costituzionale, che è tenuta a esercitarlo con tanta maggiore attenzione, quanto più la legge incida sui diritti fondamentali della persona; il che paradigmaticamente accade rispetto alle leggi penali, che sono sempre suscettibili di incidere, oltre che su vari altri diritti fondamentali, sulla libertà personale dei loro destinatari» (C. cost. n. 46/2024). In questo quadro si inserisce la sentenza in esame, che è soltanto l'ennesima dimostrazione della necessità che il legislatore, per rispetto dei principi costituzionali, non ponga ostacoli ai meccanismi di determinazione discrezionale della pena da parte del giudice con scelte irrazionali, pene manifestamente sproporzionate, automatismi sanzionatori o presunzioni non superabili, tali da evidenziare un uso distorto della discrezionalità legislativa (C. cost. n. 117/2021). La Corte, inoltre, ha avuto cura di precisare i limiti del proprio intervento, osservando che «una pronuncia di mero accoglimento nei confronti di una misura sanzionatoria non è praticabile quando la lacuna di punibilità che conseguirebbe a una pronuncia ablativa, non colmabile tramite l'espansione di previsioni sanzionatorie coesistenti, si riveli foriera di insostenibili vuoti di tutela per gli interessi protetti dalla norma incisa: come, ad esempio, quando ne derivasse una menomata protezione di diritti fondamentali dell'individuo o di beni di particolare rilievo per l'intera collettività rispetto a gravi forme di aggressione, con eventuale conseguente violazione di obblighi costituzionali o sovranazionali. Laddove il trattamento sanzionatorio previsto dal legislatore si riveli manifestamente irragionevole a causa della sua evidente sproporzione rispetto alla gravità del fatto, un intervento correttivo del giudice delle leggi è possibile a condizione che il trattamento sanzionatorio medesimo possa essere sostituito sulla base di precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo, intesi quali soluzioni già esistenti, idonee a eliminare o ridurre la manifesta irragionevolezza lamentata» (C. cost. n. 40/2023). Molteplici sono le sentenze della Corte costituzionale che sono intervenute a rimodellare il sistema sanzionatorio penale; oltre quelle citate nella sentenza in commento, si possono ricordare tra le più recenti:
Con numerose sentenze, la Corte, inoltre, è intervenuta anche a rimodellare in più punti la disciplina della recidiva e della comparazione tra attenuanti ed aggravanti e tra queste si possono citare tra le più recenti:
Non si può non ricordare, infine, anche l'intervento della Corte costituzionale sulle pene accessorie, che ha ravvisato «la necessità che il legislatore ponga mano ad una riforma del sistema delle pene accessorie, che lo renda pienamente compatibile con i principi appena espressi, ed in particolare con l'art. 27, comma 3, Cost.» (C. cost. n. 293/2008); invito inascoltato se, poi, la stessa Corte ha ravvisato di dovere intervenire con dichiarazioni di illegittimità costituzionale, di cui si ricordano le seguenti:
In definitiva, un ampio spettro di interventi della Corte costituzionale sul sistema sanzionatorio penale, che dimostrano come il legislatore non può dirsi sensibile all'invito a dare un “volto costituzionale” (C. cost. n. 195/2023) a tale sistema, individuando una pena rispettosa del canone della proporzionalità, calibrata sul disvalore del caso concreto e che garantisca una effettiva individualizzazione della pena e la sua funzione rieducativa. |