Corresponsione dell’indennità di avviamento: tra condizione di procedibilità per il rilascio dell’immobile locato e diritto di ritenzione in capo al conduttore

10 Giugno 2024

Riguardo alle locazioni di immobili ad uso diverso da quello abitativo, si è predisposto un complesso meccanismo, in base al quale l'obbligazione di pagamento dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale e quella di rilascio dell'immobile, in capo, rispettivamente, al locatore ed al conduttore, sono fra loro in rapporto di reciproca dipendenza, in quanto ciascuna prestazione è inesigibile in difetto di contemporaneo adempimento dell'altra, con la conseguenza che la l. n. 392/1978, subordinando il rilascio dell'immobile al pagamento dell'indennità, specularmente condiziona il pagamento dell'indennità al rilascio ed instaura così tra le due obbligazioni un'interdipendenza che costituisce fondamento per un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 c.c. o per un'eccezione alla stessa assimilabile.

Introduzione. Il quadro normativo

Secondo l'art. 34 comma 3, l. n. 392/1978, l'azione esecutiva volta al rilascio dell'immobile, in favore del locatore, è “condizionata” alla previa corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale di cui al comma 1, all'evidente fine di rafforzare il diritto del conduttore.

Ciò consente la protrazione dell'esercizio dell'attività di impresa, nell'immobile già condotto in locazione, fino al momento in cui il conduttore estromesso possa avvalersi dell'indennità medesima per reperire altra congrua sistemazione dell'impresa, generando, in buona sostanza, dalla cessazione del rapporto di locazione alla corresponsione dell'indennità di cui sopra, una situazione giuridica caratterizzata dal godimento della cosa e dal pagamento di un canone coincidente con quello del cessato rapporto contrattuale, seppur indipendentemente dall'effettiva utilizzazione della res.

L'indennità supplementare di cui al comma 2 deve essere, invece, corrisposta all'inizio del nuovo esercizio: appaiono intuitive le ragioni della differente disciplina dettata per tale indennità, in quanto sarebbe irragionevole che il pagamento di quel compenso potesse paralizzare il rilascio, stante che il correlativo diritto viene ad esistenza se ed in quanto il locatore o altro soggetto, dopo la riconsegna, abbia intrapreso, all'interno dell'immobile, un'attività identica o affine a quella del conduttore uscente; l'insorgenza del credito avente ad oggetto l'importo aggiuntivo, al momento della restituzione del bene locato è, dunque, soltanto ipotetica.

La condizione di procedibilità dell'azione esecutiva

Quanto all'indennità di cui all'art. 34 comma 1, deve, innanzitutto, evidenziarsi che la giurisprudenza di legittimità sia ferma nel ritenere che la corresponsione della stessa integri una vera e propria “condizione di procedibilità” dell'azione esecutiva (Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2006, n. 5116; Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2005, n. 13948).

Si precisa, in proposito, che l'eventuale avvenuta offerta di tale indennità rende procedibile l'esecuzione del provvedimento di rilascio, sicché il ritiro da parte del locatore, successivamente all'esecuzione coattiva del rilascio dell'immobile, della somma offerta, rifiutata dal conduttore e depositata a disposizione di questi, non è idoneo a rendere insussistente la pretesa esecutiva al momento della proposizione dell'opposizione all'esecuzione.

Il locatore, dunque, ben può conseguire il provvedimento giudiziale di rilascio dell'immobile locato, ma non può porlo in esecuzione prima di aver pagato l'indennità (Cass. civ., sez. III, 19 febbraio 2003, n. 1933; Cass. civ., sez. III, 5 novembre 2001, n. 13636).

Nei casi in cui sia stato fissato a seguito di conciliazione giudiziale, il rilascio non è condizionato alla previa corresponsione dell'indennità: per provvedimento di rilascio deve, infatti, intendersi solo l'atto autoritativo (sentenza o ordinanza) emesso dal giudice, al quale non può ricondursi la conciliazione giudiziale, che è atto negoziale con il quale le parti, nella piena disponibilità dei propri diritti ed interessi patrimoniali, definiscono una lite dinnanzi al magistrato (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 1992, n. 11621).

Tale disciplina, applicabile al caso in cui sia data esecuzione al verbale di conciliazione, si sottrae, del resto, a censure di incostituzionalità, atteso che la differenza di trattamento trova valida giustificazione nella diversità di situazioni determinate dalla dissimile natura del titolo posto a base dell'esecuzione forzata (Cass. 12 giugno 1990, n. 5687).

Gli equipollenti del pagamento dell'indennità

Al pagamento dell'indennità, quale condizione di procedibilità, o come evenienza condizionante l'esigibilità del diritto al rilascio, è parificata l'offerta reale (Cass. n. 13948/2005, cit.; Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2002, n. 11761).

Di recente, si è chiarito, poi, che debba essere considerato contrario a buona fede ed ingiustificato il rifiuto del conduttore dell'offerta di pagamento da parte del locatore che sia seria e precisa, anche se non formale: in altri termini, in base anche ai principi di cooperazione del creditore all'adempimento da parte del debitore, non è legittimo il comportamento del conduttore il quale rifiuti, senza alcuna giustificazione o sulla base di generiche considerazioni, la restituzione di un immobile, a fronte della suddetta condotta del locatore volta ad adempiere la sua obbligazione di corrispondere l'indennità di avviamento commerciale (Cass. civ., sez. III, 15 novembre 2017, n. 26950).

L'esecuzione del titolo di rilascio non è impedita (secondo Cass. 31 agosto 2009, n. 18899) dalla circostanza del ritiro della somma offerta, da parte del locatore, ove rifiutata dal conduttore e oggetto di deposito.

La natura del rapporto successivo alla cessazione de iure

Poiché il conduttore avente titolo all'indennità per la perdita dell'avviamento può, a norma dell'art. 34, comma 3, della l. n. 392/1978, rifiutare il rilascio dell'immobile, la giurisprudenza ha dovuto prendere posizione sulla natura del rapporto che il conduttore conserva con il bene nel periodo intercorrente tra la cessazione de iure del rapporto ed il pagamento (o l'offerta formale) dell'indennità.

In effetti, stante la contestualità del diritto del locatore ad ottenere la restituzione dell'immobile alla scadenza convenuta rispetto al diritto del conduttore alla corresponsione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, rilevanti problemi pratici possono sorgere in ordine all'attuazione dei rispettivi diritti.

Si consideri, poi, che la corretta qualificazione giuridica della fattispecie influisce sulla soluzione di diverse questioni, come quella sulla natura prettamente processuale oppure sostanziale, sugli effetti che produce - con particolare riguardo all'esonero, o meno, del conduttore dalla responsabilità per i danni da ritardata restituzione ex art. 1591 c.c. - sul rapporto tra la pretesa del conduttore al pagamento dell'indennità e la pretesa del locatore ai suddetti danni da ritardata restituzione, sui termini di autonomia o interdipendenza tra le relative obbligazioni e, quindi, sulla rispettiva esigibilità, nonché sull'ammissibilità di una compensazione tra credito del conduttore per l'indennità e credito del locatore per quanto dovuto (se dovuto) dal conduttore.

Lo ius retentionis in capo al conduttore

In un primo tempo, la Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 14 ottobre 1988, n. 5579) ha ritenuto che il conduttore, non avendo ricevuto l'indennità, potesse avvalersi di un diritto di ritenzione dell'immobile, senza che ciò comportasse una prorogatio del rapporto contrattuale locativo, né la mora nella restituzione, con il conseguente obbligo di continuare la corresponsione dei canoni fino alla riconsegna a norma dell'art. 1591 c.c.: ciò perché la ritenzione non abilitava il conduttore alla prosecuzione del godimento del bene quale utilità corrispettiva del pagamento del canone, configurandosi come mero onere di custodia anche nell'interesse proprio; la condizione di cui al comma 3 dell'art. 34, posta nell'esclusivo interesse del conduttore, costituisce, quindi, un mero risvolto processuale di un diritto sostanziale, accessorio al credito per l'indennità, ma non postulante il previo accertamento giudiziale di tale credito.

Si opinava, altresì, che l'attuazione del diritto di ritenzione non provocava la mora nella restituzione, con la conseguente obbligazione, ai sensi dell'art. 1591 c.c., di dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, in quanto tale ritenzione avveniva de iure e, pertanto, costituiva causa di giustificazione impeditiva della scadenza dell'obbligo di riconsegna; in buona sostanza, una volta escluso l'obbligo di pagare un canone, non sarebbe stata configurabile una compensazione tra il relativo credito (inesistente) e quello per l'indennità di avviamento.

Questa conclusione risulta uniformemente seguita fino alla metà degli anni novanta del secolo scorso (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 10 luglio 1997, n. 6270; Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 1995, n. 696; Cass. civ., sez. III, 1° dicembre 1994, n. 10275; Cass. civ., sez. III, 23 dicembre 1993, n. 12737; Cass. civ., sez. III, 3 novembre 1993, n. 10836; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 1993, n. 6387; Cass. civ., sez. III, 29 aprile 1993, n. 5016).

La relazione di reciproca interdipendenza tra le prestazioni

La suddetta tesi è stata, però rimessa in discussione allorquando i giudici di Piazza Cavour hanno postulato l'esistenza, tra l'obbligazione di rilascio e quella di corresponsione dell'indennità, di una relazione di reciproca interdipendenza tale da giustificare il rifiuto di eseguire l'una prestazione in assenza dell'altra, sicché, in mancanza dell'offerta dell'indennità, il conduttore sarebbe stato abilitato a protrarre l'uso dell'immobile (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 1995, n. 10820; Cass. civ., sez. III, 1° giugno 1995, n. 6132).

D'altronde, anche la maggior parte della dottrina aveva ritenuto poco persuasiva la tesi dello ius retentionis, osservando che la configurazione di un diritto di ritenzione, a favore del conduttore, fondato sulla mora del locatore nella corresponsione dell'indennità di avviamento, non sarebbe esatta, atteso che la mora si determina, per le obbligazioni diverse da quelle di cui all'art. 1219 c.c., con la formale richiesta di pagamento da parte del creditore.

La contestazione della ritenuta natura di ritenzione, correlata alla permanenza del conduttore nell'immobile per effetto della mancata corresponsione dell'indennità de qua, è stata evidenziata anche sul rilievo per cui si avrebbe una protrazione degli effetti del contratto e non solo una mera funzione di custodia del compendio locato; nondimeno, si ammetteva che la contrapposizione delle due prestazioni al cui adempimento, conduttore e locatore, sarebbero contestualmente tenuti non agevolasse certo la soluzione degli innumerevoli problemi pratici che si ponevano alla scadenza del contratto.

Tuttavia, se non si stabilisce una priorità nell'esecuzione di una delle due prestazioni, che dovrebbe quantomeno essere offerta, si perviene ad una stasi inaccettabile ed al fiorire di un esorbitante contenzioso, di qui l'esigenza di porre un freno a contestazioni senza alcun fondamento, sollevate al solo scopo della salvaguardia di interessi contingenti, esigenza cui il legislatore ha ritenuto di ovviare con l'aggiunta dell'ultimo comma dell'art. 34 della l. n. 392/1978, che impone alle parti l'onere di quantificare specificatamente l'entità della somma reclamata o offerta a titolo di indennità, al fine di consentire l'esecuzione del provvedimento di rilascio.

La protrazione del rapporto con i conseguenti diritti ed obblighi

Atteso il contrasto in atto, si è reso necessario l'intervento delle sezioni unite (Cass. civ., sez. un., 15 novembre 2000, n. 1177), le quali, aderendo all'orientamento tendente alla valorizzazione del diritto di godimento del conduttore nel periodo successivo alla cessazione del rapporto, hanno affermato che il rifiuto di restituire l'immobile, in attesa di ricevere l'indennità per la perdita dell'avviamento, obbliga il conduttore a pagare il corrispettivo convenuto, e non altro, escludendo così che la protratta utilizzazione del bene determini l'obbligo di corrispondere alcunché di ulteriore rispetto all'indennità di occupazione ex art. 1591 c.c.

In buona sostanza, si ritiene che, se il locatore non offre il pagamento dell'indennità di avviamento, il conduttore che rifiuta la consegna non è inadempiente e, di conseguenza, non è tenuto al risarcimento del danno, ma solo il pagamento del canone contrattuale; si sconfessa, quindi, l'opinione per cui, sempre sussistendo l'ipotesi di mancata corresponsione della stessa indennità, essendo il contratto oramai cessato, il conduttore possa rifiutare la riconsegna dell'immobile ma non utilizzarlo e, se lo utilizzi, il locatore avrà diritto, di riflesso, al risarcimento del danno da mancata restituzione.

Il precedente orientamento - volto a configurare, implicitamente, il diritto di ritenzione abilitando il conduttore a trattenere il bene in custodia ma non a servirsene - viene così superato, concretizzando una sorta di protrazione del rapporto, con i conseguenti diritti ed obblighi, sia pure condizionato, quanto alla durata, non a quella contemplata dal contratto, a mente del quale la locazione è scaduta, bensì al momento dell'effettiva liquidazione da parte del locatore.

Negli anni successivi, la Corte regolatrice - v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 25 febbraio 2014, n. 4443; Cass. civ., sez. III, 6 maggio 2010, n. 10962; Cass. civ., sez. III, 2 settembre 2009, n. 19083 - ha confermato quest'ultimo indirizzo, sicché può dirsi oramai stabilmente acquisito il principio per cui il conduttore, al quale non sia stata corrisposta (o offerta ex art. 1209 c.c.) l'indennità di avviamento, non abbia un mero diritto di ritenzione dell'immobile, ma possa legittimamente continuare a goderne, svolgendovi l'attività prevista contrattualmente, dietro pagamento dell'indennità di occupazione commisurata, ex art. 1591 c.c., al canone locatizio.

Per converso, il conduttore, il quale intenda sottrarsi al pagamento della suddetta indennità di occupazione, dovrà rilasciare l'immobile o, comunque, farne offerta formale (Cass. civ., sez. III, 26 maggio 1999, n. 5098).

Peraltro, in caso di semplice intimazione a ricevere il bene inviata al locatore a mezzo di lettera raccomandata, si configura offerta non formale ai sensi dell'art. 1220 c.c.: offerta che, se illegittimamente rifiutata dal locatore, esclude la mora del conduttore nell'adempimento dell'obbligo di restituzione e l'obbligo correlativo, in capo al conduttore stesso, di pagare al locatore il corrispettivo convenuto previsto dall'art. 1591 c.c. (Cass. civ., sez. III, 26 aprile 2002, n. 6090).

In definitiva, il meccanismo di reciproco condizionamento tra le due obbligazioni - quella di pagamento dell'indennità e quella di rilascio dell'immobile - fa sì che il locatore possa opporre, al mancato versamento del compenso, l'omesso rilascio dei locali, e che il conduttore possa contrastare la domandata riconsegna dei medesimi eccependo che la controparte non abbia provveduto a versargli l'indennità (v., ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 27 marzo 2009, n. 7528).

Nondimeno, secondo un ribadito orientamento (di cui sono espressione anche Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2014, n. 3348; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2009, n. 9353), il giudice dovrebbe verificare anche d'ufficio se il locatore abbia corrisposto o offerto l'indennità di avviamento, non occorrendo a tal fine una formale eccezione da parte del conduttore.

Il risarcimento del maggior danno per il ritardo nel rilascio

Affinando i concetti elaborati dall'autorevole precedente delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di vertice successiva (v., tra le più recenti, Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2016, n. 890) ha ribadito che, nelle locazioni di immobili urbani adibiti ad attività commerciali, disciplinate dagli artt. 27 e 34 della l. n. 392/1978, il conduttore che, alla scadenza del contratto, rifiuti la restituzione dell'immobile locato, in attesa che il locatore gli corrisponda la dovuta indennità di avviamento, è esonerato solo dal risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c., restando comunque obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto per la locazione, salvo che offra al locatore, con le modalità dell'offerta reale formale di cui agli artt. 1216 comma 2, e 1209 c.c., la riconsegna del bene “condizionandola” al pagamento dell'indennità di avviamento medesima, atteso il forte legame strumentale che lega le due prestazioni.

Invero - come sopra delineato - a seguito della pronuncia del supremo organo di nomofilachia (Cass. n. 1177/2000, cit.), si è consolidato tra i giudici di legittimità il principio per cui, in ragione dell'interdipendenza tra l'obbligazione del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento e quella del conduttore di restituire l'immobile locato alla cessazione del rapporto, ove persista la duplice inadempienza di dette obbligazioni, il conduttore è esonerato solo dal pagamento del maggior danno ex art. 1591 c.c., mentre, in attesa del pagamento dell'indennità di avviamento, è comunque obbligato a corrispondere il canone convenuto per la locazione (v., successivamente, tra le altre, Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2003, n. 4690; Cass. civ., sez. III, 27 settembre 2004, n. 19322; Cass. civ., sez. III, 11 luglio 2006, n. 15721; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2009, n. 9353; Cass. civ., sez. III, 9 marzo 2010, n. 5661; Cass. civ., sez. III, 25 marzo 2010, n. 7179).

Quanto sopra sulla premessa per cui, tra le obbligazioni del locatore (di pagare l'indennità di avviamento) e del conduttore (di restituire l'immobile locato ad uso commerciale) sussiste una precisa “interdipendenza sostanziale” - prima ancora che processuale, ai sensi dell'art. 69 l. n. 392/1978 - sicché il conduttore che rifiuta la restituzione dell'immobile in attesa di ricevere dal locatore il pagamento dell'indennità per l'avviamento a lui dovuta, è obbligato al pagamento del corrispettivo convenuto, ma solo di questo; si tratta, infatti, di un “rifiuto” che, a fronte del reciproco “rifiuto” del locatore di corrispondere l'indennità, è opponibile in base all'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., elidendo la mora “in chi legittimamente l'oppone” (alla stregua di un comportamento improntato a buona fede e correttezza).

Ove, però, non ci si limiti al “rifiuto”, seppur legittimo, della propria prestazione, ma si intenda adempiere la propria ed ottenere l'adempimento della controparte, il locatore, allora, deve offrire al conduttore il pagamento dell'indennità che ritiene gli sia dovuta; correlativamente, il conduttore che intende ottenere il pagamento dell'indennità, nel domandarla, deve offrire al locatore la riconsegna del bene o può offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità che domanda.

A tale riguardo, soccorrono (sempre secondo Cass. n. 890/2016, cit.) le norme sulla mora del creditore, che consentono a ciascuno dei due obbligati di liberarsi della propria obbligazione e di costituire in mora il creditore (artt. 1206,1207 e 1208 c.c.), perché “se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l'altro esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima può condizionare la propria offerta all'esecuzione di quella del proprio debitore” (così la citata Cass. sez. un. n. 1177/2000).

L'offerta di restituzione dell'immobile locato

Nel solco di tale orientamento e, segnatamente, in base all'assunto per cui non sussiste un diritto di ritenzione in capo al conduttore, il quale, pur non essendo in mora, deve comunque versare al locatore una somma pari al corrispettivo che avrebbe dovuto pagare in costanza del contratto, si è ribadito (v., per tutte, Cass. civ., sez. III, 25 giugno 2013, n. 15876) che tanto si correla alla ragione che, dal momento della cessazione del rapporto di locazione sino a quello del pagamento dell'indennità, si viene ad instaurare tra le parti un rapporto ex lege geneticamente collegato al precedente, fondato, per un verso, sulla protrazione della detenzione del bene e, per altro verso, sul pagamento di un corrispettivo coincidente con quello del rapporto contrattuale.

Non può, quindi, il conduttore rendere gratuita la detenzione in virtù del mancato utilizzo del bene, in base ad una sua unilaterale decisione, sicché, al fine di evitare il pagamento del canone, è tenuto all'offerta di restituzione del bene a norma dell'art. 1216 c.c. in modo da costituire in mora il locatore in rapporto al suo obbligo di corrispondere l'indennità di avviamento; prospettiva, questa, in cui non assume alcun rilievo la previsione di cui all'art. 1460 c.c., in quanto l'eccezione in parola giustifica soltanto il proprio inadempimento ma non costituisce un rimedio contro l'inadempimento altrui.

Tuttavia, in linea più generale, sempre in tema di riconsegna dell'immobile locato, si è affermato (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 20 gennaio 2011, n. 1337; Cass. civ., sez. III, 3 settembre 2007, n. 18496) che, mentre l'adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, comma 2, c.c., costituita dall'intimazione al creditore di ricevere la cosa nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l'unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207 c.c.), l'adozione da parte del conduttore di altre modalità aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) - purché serie, concrete e tempestive, tali da mettere l'immobile nella disponibilità del locatore, e sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore stesso - pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore nell'obbligo di adempiere la prestazione e, dunque, di evitare il pagamento del corrispettivo convenuto.

Il disallineamento di posizioni, che parrebbe evincersi tra l'affermazione della sufficienza, rispetto al venire meno dell'obbligazione di corresponsione del canone, dell'offerta reale non formale rispetto a quella reale formale, è da ricondurre piuttosto - nella maggior parte dei casi, salvo talune eccezioni (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2012, n. 22924; Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2002, n. 6090) - al venire in rilievo, o meno, della fattispecie di interdipendenza tra le prestazioni di pagamento dell'indennità commerciale e di restituzione dell'immobile, nel senso che, ove non si ponga questione degli effetti dell'anzidetta interdipendenza e si discuta esclusivamente della restituzione del bene, allora si è ritenuto sufficiente che il conduttore-debitore si possa liberare della sua obbligazione restitutoria con offerta ai sensi dell'art. 1220 c.c., mettendo l'immobile medesimo nella piena disponibilità del locatore (Cass. civ., sez. III, 17 gennaio 2012, n. 550; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2004, n. 5841), e con ciò, perdendone comunque la detenzione, liberarsi anche dell'obbligazione di pagamento dei canoni, correlata geneticamente alla mancata restituzione del bene (e non già al suo godimento), salvo, ovviamente, il legittimo rifiuto del locatore.

Invero, tale effetto liberatorio presuppone, in ogni caso, la cooperazione del locatore nel ricevere il bene, ossia che quest'ultimo rientri effettivamente nel pieno possesso, materiale e giuridico dell'immobile - in quest'ottica, si colloca la consegna delle chiavi al locatore, che le riceva, restituendolo nella piena disponibilità del bene - poiché, senza tale cooperazione, la liberazione del conduttore dalla prestazione cui è obbligato può aversi non solo con la costituzione in mora del creditore, ma anche con la nomina del sequestratario ex art. 1216, comma 2, c.c., al quale venga consegnata la “cosa dovuta” alla stregua di un complessivo procedimento i cui esiti sono soggetti, pur sempre, alla convalida giudiziale (v. la remota Cass. civ., sez. III, 7 aprile 1970, n. 958; in analoga prospettiva, v., più di recente, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2004, n. 7982).

Del resto - aggiunge sempre Cass. n. 890/2016, cit. - mentre l'offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) non libera il debitore dall'eseguire la propria prestazione, ma unicamente dagli effetti del ritardo nel suo adempimento, e, dunque, delle conseguenze risolutorie e risarcitorie connesse all'inadempimento, la stessa offerta reale formale (artt. 1208, 1209, 1216 c.c.) è istituto giuridico volto, di per sé, a provocare soltanto la mora accipiendi ed i relativi effetti indicati dall'art. 1207 c.c. - tra cui, quello, di peculiare rilievo, dell'immediato trasferimento del rischio in capo al creditore dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile - ma non già a liberare immediatamente il debitore dall'obbligo di adempiere all'obbligazione (v., più in generale, anche se non recente, Cass. civ., sez. III, 16 gennaio 1969, n. 84), tanto che il comma 3 dell'art. 1207 c.c. impone ancora al debitore di custodire e conservare la “cosa” (salvo esonerarlo dalle relative spese), mentre il momento che segna la liberazione del debitore è proprio quello di consegna dell'immobile al sequestratario - per la fattispecie che interessa in questa sede - come espressamente stabilito dall'ultimo periodo del comma 2 del citato art. 1216.

Ove, invece, rilevi il nesso di interdipendenza tra l'obbligazione di corresponsione dell'indennità di avviamento e quella di restituzione dell'immobile locato, allora - come prima rilevato - il conduttore, che intenda ottenere il pagamento dell'indennità, deve provocare la mora del locatore, attivando, quindi, il meccanismo dell'offerta reale formale, ai sensi della citata disciplina dettata dagli artt. 1206 ss. c.c., e, segnatamente (trattandosi di bene immobile), di quella recata dagli artt. 1216 e 1209 c.c., potendo altresì (ove il locatore non accetti l'offerta e non entri, altrimenti, nella disponibilità del bene) addivenire alla liberazione dalla propria obbligazione restitutoria (e con essa al pagamento dei canoni) in forza del disposto dal citato comma 2 dell'art. 1216.

L'eccezione di inadempimento nei contratti sinallagmatici

Ulteriore questione è se, nell'ipotesi - assai frequente - di interdipendenza tra le anzidette prestazioni, l'offerta formale di restituzione dell'immobile possa essere, o meno, “condizionata” al pagamento dell'indennità di avviamento.

Sebbene si registri in senso contrario a detto “condizionamento” l'affermazione di una pronuncia (Cass. civ., sez. III, 25 marzo 2010, n. 7179), sorretta esclusivamente dal richiamo alla sentenza del supremo organo di nomofilachia (Cass. n. 1177/2000, cit.), proprio quest'ultima sentenza ha evidenziato che il conduttore, ai fine di ottenere il pagamento dell'indennità di avviamento, deve offrire la riconsegna dell'immobile oppure può offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità, e ciò perché - lo si ripete - “se il debitore di una prestazione la deve a condizione che l'altra esegua in suo favore una prestazione cui ha diritto, il debitore della prima può condizionare la propria offerta all'esecuzione di quella del proprio debitore”.

A tale ultimo enunciato, la Cassazione ha inteso dare continuità, osservando, in un'ottica più ampia, che, sulla possibilità, o meno, di “condizionare” l'offerta formale all'adempimento di una controprestazione, la contraria opinione si sostanzia - in assenza di un divieto espresso posto dalla disciplina codicistica di riferimento (artt. 1206 ss. c.c.) - nella tesi secondo cui, nel caso di contratti a prestazioni corrispettive, le esigenze di tutela del debitore/creditore troverebbero soddisfazione con l'eccezione di inadempimento di cui all'art. 1460 c.c.

Invece, nel consentire il “condizionamento” dell'offerta reale formale all'adempimento della controprestazione, si verrebbe ad attribuire al creditore di quest'ultima un quid pluris rispetto agli effetti della mora credendi, ossia quella stessa controprestazione che, comunque, potrebbe essere adempiuta, anche se in ritardo (in altri termini, il debitore conseguirebbe un risultato che va aldilà del proprio adempimento).

Tuttavia, nell'àmbito dello stesso orientamento propendente per la soluzione che esclude la facoltà del debitore di “condizionare” l'offerta reale formale, si è ritenuto che una siffatta opzione sarebbe, comunque, configurabile e giustificata - in riferimento, per l'appunto, a situazioni di corrispettività delle prestazioni, mentre, altrimenti, la giustificazione al “condizionamento” discenderebbe solo dalla necessità del debitore di salvaguardare la propria persona o i propri beni - nei casi in cui si possa apprezzare un legame strumentale forte tra le due prestazioni, sicché le finalità alle quali esse si volgono non siano realizzabili indipendentemente l'una dall'altra e, dunque, una di esse abbia lo scopo di rendere possibile l'altra prestazione.

In giurisprudenza, nel caso di reciproche obbligazioni inerenti a contratti sinallagmatici, si è invece affermato - in tempi risalenti, ma con enunciazione non smentita in seguito - che “l'offerta reale collegata alla richiesta di adempimento della controparte non può considerarsi sottoposta a condizione, in quanto la pretesa di adempimento è ragione, e non condizione, dell'offerta” (così Cass. civ., sez. III, 6 maggio 1966, n. 1159).

Tale ultima affermazione - secondo il Supremo Collegio - in prospettica consonanza con le aperture che l'orientamento dottrinale negativo è incline a concedere, esalta, quindi, il nesso di interdipendenza tra le due prestazioni che trovano la loro fonte nello stesso contratto, tale da rendere determinante per ciascuna parte la prestazione dell'altra e ciò ai fini della realizzazione della causa stessa del negozio.

Il fattore dinamico dell'esercizio dell'impresa

Nella specie, poi, l'interdipendenza strutturale e funzionale tra la prestazione del locatore di pagare l'indennità di avviamento commerciale e quella del conduttore di restituire l'immobile in cui si è svolta l'attività imprenditoriale si atteggiano secondo un legame strumentale che, alla luce della ratio legis ispiratrice della disciplina recata dalla l. n. 392/1978, da cui il contratto di locazione ad uso non abitativo trae la propria causa e cornice regolamentativa, valorizza in modo peculiare la posizione del conduttore, in una prospettiva - sottolineata da C. Cost. 6 ottobre 1983, n. 300 - che privilegia il fattore dinamico dell'esercizio dell'impresa (ex art. 41 Cost., nei limiti posti dal comma 2 della stessa disposizione), idoneo a funzionalizzare socialmente il diritto proprietario in capo al locatore (art. 42, comma 2, Cost.).

Ottica, questa, che è coltivata dalla stessa decisione del supremo organo di nomofilachia (Cass. n. 1177/2000, cit.), e non solo rammentando che la l. n. 392/1978 inserisce la disciplina dell'indennità di avviamento (artt. 34 e 69) tra gli istituti che, nel loro complesso, sono volti ad assicurare “la conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate, tutelate mediante il mantenimento della clientela, che costituisce una componente essenziale dell'avviamento commerciale” (così C. Cost. 5 maggio 1983, n. 128), ma anche dove si evidenzia che “la funzione di detta indennità non si esaurisce nel ristoro del pregiudizio subìto dal conduttore per la perdita dell'avviamento, essendo rivolta anche ad agevolare lo stesso conduttore nella fase di impianto dell'azienda in nuovi locali, in una situazione in cui un avviamento va di nuovo suscitato”.

Posto, quindi, che la posizione creditoria del conduttore non può trovare pieno soddisfacimento nell'esercizio dell'eccezione di cui all'art. 1460 c.c. - che, come già evidenziato, è volta a legittimare il solo rifiuto di adempiere alla propria prestazione - la rilevanza del nesso di interdipendenza tra le due prestazioni in campo e la loro necessaria strumentalità, siccome orientata (dalla volontà del legislatore) a privilegiare il credito d'impresa, rende compatibile, alla luce del principio di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., informatore della buona fede e correttezza nell'attuazione del rapporto obbligatorio(artt. 1175 e 1375 c.c.), una cooperazione debitore/creditore tale da consentire allo stesso conduttore - come affermato dalla sentenza più volte richiamata delle Sezioni Unite - di “offrire la riconsegna a condizione che gli sia pagata l'indennità”.

In quest'ottica - conclude la Cassazione - il complesso meccanismo dell'offerta formale reale, ex art. 1216, commi 1 e 2, c.c., opererebbe in guisa tale da impedire al locatore di entrare nella disponibilità dell'immobile sino a che non adempia al pagamento dell'indennità, laddove, al contempo, il conduttore, ove intenda liberarsi della propria obbligazione, dovrà consegnare l'immobile al sequestratario nominato dal giudice, con l'ulteriore precisazione che, alla verifica della legittimità dei comportamenti negoziali delle parti, nell'ottica delle menzionate buona fede e correttezza, si provvederà tramite il procedimento della convalida giudiziale.

La soluzione equilibrata nell'ambito dei contrapposti interessi

In quest'ordine di concetti, appaiono maggiormente tutelate le aspettative del conduttore e, comunque, la soluzione adottata dal Supremo Collegio risulta oltremodo equilibrata.

Dunque, già il condizionamento dell'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile locato all'avvenuta corresponsione dell'indennità, ai sensi degli artt. 34 e 69 della l. n. 392/1978, costituiva un'ulteriore manifestazione di tutela dell'avviamento, permettendo al conduttore la protrazione dell'esercizio dell'attività imprenditoriale, nell'immobile condotto in locazione, fino al momento in cui potesse avvalersi di una somma idonea a reperire un'altra congrua sistemazione.

Tuttavia, occorreva fare i conti con la reciproca inesigibilità delle obbligazioni contrattuali, da un lato, quella del locatore di corrispondere l'indennità di avviamento e, dall'altro, quella del conduttore di restituzione dell'immobile locato, che potevano registrare i rifiuti di adempiere ad opera della controparte, legittimamente addotti dal condizionamento del contestuale adempimento ex adverso.

Dunque, la buona fede è essenziale criterio di reciprocità, che abbraccia totalmente il contegno di cooperazione dei contraenti, ed è idoneo ad integrare gli obblighi contrattuali; più precisamente, la buona fede comporta anche obblighi strumentali susseguenti all'adempimento del contratto ed allo svolgimento del relativo rapporto; l'obbligo di rilascio e l'obbligo di pagare l'indennità precedono la definitiva cessazione del rapporto locativo tra le parti, e perciò il legislatore ha ritenuto di tipizzare i due residui impegni contrattuali, delineando una situazione bilaterale di reciprocità, che va vicendevolmente rispettata e nella quale ancora traspare la solidarietà che aveva animato la cooperazione obbligatoria.

In definitiva, interagiscono in regime di reciprocità due obblighi strumentali, susseguenti alla scadenza della locazione e legalmente tipizzati: essi comportano la permanenza minima effettuale delle obbligazioni fisionomiche del cessato rapporto contrattuale e la sussistenza del dovere di correttezza imposto dal persistente contatto sociale tra le due sfere di interessi contigue.

La rilevanza del contratto precedentemente concluso induce a disciplinare, secondo lo schema convenzionale prescelto dalle parti, il rapporto creato, che è giuridicamente nuovo, se non nel contenuto, certamente nel titolo: un rapporto che non sembra, peraltro, riconducibile ad un'accettazione, ma solo esecutivo di norme di legge, cui va riferita la determinazione causale.

In conclusione

Per completezza, va accennato al fatto che l'ultimo comma dell'art. 34 - introdotto dall'art. 9 del d.l. 30 dicembre 1988, n. 551, convertito, con modificazioni, in l. 21 febbraio 1989, n. 61 (contenente misure urgenti per fronteggiare l'eccezionale carenza di disponibilità abitative) - stabilisce che, nel giudizio relativo alla spettanza ed alla determinazione dell'indennità per la perdita dell'avviamento, le parti hanno l'onere di quantificare specificatamente l'entità della somma reclamata o offerta, e che la corresponsione dell'importo indicato dal conduttore, o, in difetto, offerto dal locatore o, comunque, risultante dalla sentenza di primo grado, consente, salvo conguaglio all'esito del giudizio, l'esecuzione del provvedimento di rilascio dell'immobile.

Tale disposizione trova il proprio fondamento nell'esigenza di reprimere l'uso strumentale del processo al fine di procrastinare l'esecuzione per rilascio dell'immobile: essendo, infatti, questa condizionata al pagamento dell'indennità, le lungaggini del giudizio sull'accertamento del compenso precluderebbero al locatore di porre sollecitamente in esecuzione il titolo già conseguito, imponendogli di attendere che, sull'an e il quantum della propria pretesa, scenda il giudicato.

La norma pone, dunque, a carico delle parti del processo vertente sulla liquidazione dell'indennità, l'onere di indicare l'ammontare della somma pretesa (nel caso del conduttore) o offerta (nel caso del locatore), con enunciazione “seria e motivata” (come precisato da Cass. civ., sez. III, 5 marzo 2003, n. 3267).

L'onere di quantificazione deve essere, poi, assolto in sede processuale e, in particolare, non in sede di opposizione all'esecuzione, quanto piuttosto nell'apposito giudizio di cognizione preordinato all'accertamento circa la spettanza e la determinazione dell'indennità, non rilevando, quindi, l'offerta che il locatore formuli in via stragiudiziale (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 1996, n. 11163).

In caso di discordanza tra gli importi indicati dal conduttore e dal locatore, l'offerta dell'indennità, da parte di quest'ultimo, nella misura che egli stesso ha indicato, non ha valenza liberatoria e, di conseguenza, non è idonea ad impedire la protrazione della detenzione dell'immobile da parte del conduttore (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 1994, n. 5471).

L'esecuzione del rilascio è sempre consentita a seguito della corresponsione della somma liquidata nella sentenza di primo grado; secondo una pronuncia di merito (Pret. Salerno 13 ottobre 1990), nell'individuazione della somma che il locatore deve offrire al conduttore, a titolo di indennità, per procedere all'esecuzione del provvedimento di rilascio, l'importo richiesto dal conduttore prevarrebbe sia su quello indicato in giudizio dallo stesso locatore che su quello determinato in sentenza di primo grado non ancora definitiva.

Si è obiettato, però, che la locuzione “somma comunque risultante dalla sentenza di primo grado” debba riferirsi ad ogni possibile atteggiarsi delle parti rispetto all'onere di quantificazione giudiziale, e che il criterio alternativo della quantificazione giudiziale sarebbe destinato ad operare sia nel caso di omessa indicazione della somma da parte del conduttore, sia nell'opposta ipotesi in cui tale enunciazione abbia avuto luogo, ma il locatore non abbia ritenuto di corrispondere quanto preteso, preferendo attendere la pronuncia del giudice.

In ragione della prevalenza della statuizione giudiziale, poi, è da ritenere che, ove la sentenza di primo grado abbia escluso il diritto all'indennità, l'esecuzione possa aver luogo senza corresponsione della somma pretesa dal conduttore.

Comunque, il meccanismo di determinazione provvisoria dell'indennità resta insensibile all'eventuale estinzione del giudizio relativo all'accertamento della stessa (Cass. n. 5116/2006, cit.).

Riferimenti

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