Il provvedimento di omologazione quale fonte di produzione degli effetti riorganizzativi societari

10 Giugno 2024

Lo scritto analizza il contenuto del novellato art. 120-quinquies comma 1, c.c.i.i., introdotto dal d.lgs. n. 83/2022 nel novero delle norme dedicate alle modalità di accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell’insolvenza da parte delle società.

Alla stesura del contributo ha partecipato la dott.ssa Veronica Pagliarini.

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Premessa

l'art. 25 d.lgs. n. 83/2022 ha dato attuazione alla direttiva Insolvency introducendo un'intera sezione del codice della crisi dedicata agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società. Ci si riferisce, in particolare, all'inserimento della sezione VI-bis nel Capo II, del Titolo IV della Prima parte del codice, composta dagli articoli dal 120-bis a 120-quinquies c.c.i.i.

L'art. 120-quinquies comma 1, c.c.i.i. tratta dell'ultima fase del procedimento di omologazione del piano presentato dalla società preponente, la c.d. fase di esecuzione, nella quale l'organo amministrativo ha il compito di dare seguito alla corretta attuazione del piano, mediante una serie di attività realizzate in conformità allo stesso. In particolare, la norma prevede che “Il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza determina la riduzione e l'aumento del capitale e le altre modificazioni statutarie nei termini previsti dal piano, demanda agli amministratori l'adozione di ogni atto necessario a darvi esecuzione e li autorizza a porre in essere, nei successivi trenta giorni o nel diverso termine previsto dal piano, le ulteriori modificazioni statutarie programmate dal piano. In mancanza il tribunale, su richiesta di qualsiasi interessato e sentiti gli amministratori, può nominare un amministratore giudiziario, attribuendogli i poteri necessari a provvedere in luogo di costoro agli adempimenti di cui al presente articolo, e disporre la revoca per giusta causa degli amministratori”.

Il contenuto della norma in commento si sposa sistematicamente con quanto previsto dall'art. 12 comma 2, della citata direttiva Insolvency, il quale impone agli Stati membri di adottare mezzi idonei ad evitare che i detentori di strumenti di capitali (in altri termini, i soci) impediscano o ostacolino irragionevolmente l'attuazione di un piano di ristrutturazione.

Le disposizioni inserite in questo Capo sembrano evocare una disciplina di rango minore, finalizzata alla regolazione della mera “crisi” dell'impresa, sebbene alcune di esse disciplinino i presupposti e le caratteristiche degli strumenti “pattizi” volti a regolare tanto la crisi, quanto l'insolvenza (la rubrica della Sezione VI-bis del Titolo IV è del resto: “Strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società”).

L'ambito operativo dell'art. 120-quinquies comma 1, c.c.i.i.

L'art. 120-bis c.c.i.i. tratta della procedura di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza. In particolare, il comma 2 della menzionata norma prevede che, ai fini del buon esito della ristrutturazione, il piano possa prevedere qualsiasi modificazione dello statuto della società debitrice, ivi inclusi aumenti e riduzioni di capitale anche con limitazione o esclusione del diritto di opzione e altre modificazioni che incidano direttamente sui diritti di partecipazione dei soci, nonché fusioni, scissioni e trasformazioni.

In questa prospettiva, il comma 1 dell'art. 120-quinquies c.c.i.i. stabilisce, come visto, che è il provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza a legittimare gli amministratori ad attuare le modifiche dell'assetto societario in esso previste.

In questo modo fa rientrare nella competenza esclusiva degli amministratori la modifica dell'atto costitutivo o dello statuto, esautorando dapprima i soci delle società di persone o l'assemblea delle società di capitali o delle cooperative dalla competenza a deliberare le operazioni riorganizzative (sul capitale e straordinarie) previste nel piano di concordato depositato dalla società e successivamente il singolo socio dal manifestare il consenso allorquando necessario per legge o per statuto.  Si è detto al riguardo che “per effetto della decisione degli amministratori di accedere ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, l'assemblea delle società di capitali cessa, almeno temporaneamente, di essere sovrana; e non lo sono più, temporaneamente, nemmeno i soci di società di persone” (Maltoni, Spunti di riflessione sulla disciplina delle modifiche statutarie in caso di accesso della società ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza, in Riv. delle società, fasc.5-6, 1 ottobre 2022, 1293).

Il legislatore ha attribuito al provvedimento di omologazione dello strumento di regolazione della crisi che riguarda una società il potere di realizzare eventuali modificazioni statutarie contenute nel piano, ferma restando la possibilità che quest'ultimo ne preveda altre, rispetto all'attuazione delle quali, il tribunale, nello stesso provvedimento, dovrà preoccuparsi di rilasciare apposita autorizzazione agli amministratori (Nigro, Ristr. Az., 11 ottobre 2022, 11).

La riorganizzazione avrà dunque effetto dal momento in cui il provvedimento di omologazione verrà pubblicato nel registro delle imprese. Tuttavia, sebbene la norma nulla statuisca sul punto, parte della dottrina ritiene che il tribunale, in sede di omologa, debba controllare la legittimità, sotto il profilo del rispetto della disciplina civilistica, delle modificazioni statutarie previste dal piano, poiché dalla legittimità dell'operazione deriva direttamente la legittimità del piano e quindi la fattibilità giuridica (Cagnasso, L'accesso agli strumenti di regolazione della crisi e dell'insolvenza delle società: la posizione degli amministratori, in Diritto della Crisi, 1 febbraio 2023, 14; Nigro, op. cit.,  18).

Dal contenuto della disposizione si evince come la modifica statutaria realizzata in funzione del piano assuma notevole ampiezza e venga realizzata nel binomio tra organo gestorio e tribunale: il primo delinea le modifiche ed il secondo le realizza o stabilisce gli strumenti di attuazione, all'esito dell'omologazione.

È così che l'apertura di una procedura concorsuale non può dirsi neutrale rispetto all'organizzazione dei poteri e alla distribuzione delle competenze tra i vari organi della società, dal momento che determina un'alterazione (nell'arco di tutta la durata della procedura) dell'assetto corporativo della stessa (Spadaro, Il concordato delle società, in Diritto della crisi, 13 ottobre 2022, 15 ss.), mediante la riduzione di alcune prerogative tipiche in capo ai soci (rappresentate in particolare dall'esercizio dei diritti amministrativi), per affidare all'organo gestorio quei poteri deliberativi di cui i primi erano titolari.

La norma, così formulata, ha permesso di superare alcune criticità tipiche del sistema previgente, tra cui la possibilità dei soci di adottare un atteggiamento ostruzionistico verso le operazioni di riorganizzazione societaria a seguito del perfezionamento del piano, quando questo avrebbe comportato una riduzione, ovvero un azzeramento del valore delle partecipazioni sociali.

In sostanza, dunque, si è voluto sottrarre ai soci ed alla loro mera discrezionalità il potere di ostacolare o rallentare la ristrutturazione della società e la riorganizzazione del capitale, mediante una soluzione drastica che realizza una sorta di “estromissione dei soci dalla società e che secondo parte della dottrina poteva essere evitata attraverso l'inserimento di meccanismi meno invasivi di governance, con lo scopo, ad esempio di mettere i soci nelle condizioni di assumere una delibera o a non negarla ove immotivatamente contraria agli interessi sociali (Michieli, Il ruolo dell'assemblea dei soci nei processi ristrutturativi dell'impresa in crisi alla luce del d.lgs. n. 83/2022, in Riv. delle Società, fasc. 4, 1 agosto 2022, 843).

La preoccupazione che la fase di accesso tempestivo agli strumenti di soluzione della crisi da parte dell'organo gestorio potesse essere ostacolata dai soci ha spinto il legislatore a “congelare” (Michieli, ibidem) il più tipico tra i diritti gestori riconosciuti ai soci, precisando che la presentazione della domanda di accesso ad uno strumento di regolazione della crisi e dell'insolvenza non rappresenta una giusta causa di revoca in presenza delle condizioni di legge.

In questo modo, gli amministratori sono liberi di agire senza il pericolo di essere ostacolati dai soci. In quest'ottica, la soluzione adottata dal legislatore sembrerebbe giustificata esclusivamente dalla volontà di non mettere a rischio la buona riuscita dello strumento di regolazione della crisi adottato dalla società.

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